RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

6 MARZO 2019, N. 38 PARLAMENTO. Intercettazioni occasionali di conversazioni o comunicazioni di membri del Parlamento – utilizzazione, nel procedimento penale, subordinata all’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, anche nel caso in cui sia necessario utilizzare i tabulati di comunicazioni relativi ad utenze intestate a terzi venuti in contatto con il parlamentare – non fondatezza. La previsione, di cui all’art. 6, comma 2, della legge n. 1/2003, della necessaria autorizzazione all’utilizzo, quale mezzo di prova, del tabulato telefonico, in grado di rivelare elementi di non secondario rilievo inerenti alle comunicazioni di un membro del Parlamento, non costituisce inammissibile lesione del principio di uguale soggezione alla legge, ma attuazione del pertinente trattamento richiesto dalla garanzia costituzionale. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 9/1970 la ratio della garanzia prevista all’art. 68, terzo comma, Cost. non mira a tutelare un diritto individuale, ma a proteggere la libertà della funzione che il soggetto esercita, in conformità alla natura stessa delle immunità parlamentari, volte primariamente alla protezione dell’autonomia e dell’indipendenza decisionale delle Camere rispetto ad indebite invadenze di altri poteri, e solo strumentalmente destinate a riverberare i propri effetti a favore delle persone investite della funzione. 6 MARZO 2019, N. 37 REATI E PENE. Abrogazione del reato di cui all’art. 594 codice penale [ingiuria] – disparità di trattamento rispetto all’analoga fattispecie criminosa prevista dall’art. 595 codice penale [diffamazione] – inammissibilità. Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, lett. a , n. 2 , della legge n. 67/2014 e dell’art. 1, comma 1, lett. c , del d.lgs. n. 7/2016, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., sono inammissibili. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 330/1996 in linea di principio, sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale che concernano disposizioni abrogative di una previgente incriminazione, e che mirino al ripristino nell’ordinamento della norma incriminatrice abrogata. 6 MARZO 2019, N. 35 PATROCINIO A SPESE DELLO STATO. Condizioni per l’ammissione al beneficio di enti o associazioni – richiesta duplice condizione negativa dell’assenza dello scopo di lucro e dell’esercizio di attività economica – non fondatezza. Non può reputarsi manifestamente irragionevole la scelta legislativa di cui all’art. 119 d.P.R. n. 115/2002, recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia Testo A ”, in base alla quale, in controversie civili, amministrative, contabili o tributarie, è esclusa l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato di enti o associazioni, i quali, se pure non perseguono fini di lucro, esercitano una attività economica che – proprio perché tale, e a prescindere dalla destinazione degli eventuali utili e dalla consistenza di cespiti patrimoniali – consente accantonamenti in vista, fra l’altro, proprio di eventuali contenziosi giudiziali. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 219/2017 è inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 2, del D.P.R. n. 115/2002 recante Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia Testo A ”, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 31, comma 1, Cost., atteso che la prospettata questione di costituzionalità, con la previsione dell’obbligo di tenere in considerazione l’incidenza di dati fattori, quali il numero, l’età e le condizioni di salute dei familiari conviventi, sulla capacità di spesa del nucleo familiare, rimetterebbe la concessione del beneficio alla discrezionale determinazione del singolo giudice, quando invece la determinazione dei presupposti di accesso a tale provvidenza è riservata alla competenza del legislatore. 6 MARZO 2019, N. 34 GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA. Domanda di equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo – giudizi pendenti alla data del 16 settembre 2010 e per la loro intera durata – preventiva formulazione dell’istanza di prelievo come condizione di proponibilità della domanda di indennizzo – condizione di proponibilità della previa presentazione dell’istanza di prelievo, in relazione alla durata del giudizio presupposto, successiva alla data di entrata in vigore della norma impugnata [25 giugno 2008] – condizione di proponibilità della previa presentazione dell’istanza di prelievo, in relazione alla durata dei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della norma impugnata [25 giugno 2008] e per il periodo successivo a tale data – illegittimità costituzionale. L’art. 54, co. 2, del decreto-legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, nella legge n. 133/2008, come modificato dall’art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 al decreto legislativo n. 104/2010 e dall’art. 1, comma 3, lett. a , n. 6, del decreto legislativo n. 195/2011, è costituzionalmente illegittimo. Ed infatti, la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89/2001, ma non può viceversa condizionare la proponibilità della domanda, senza con ciò venire in contrasto con l’esigenza del giusto processo, per il profilo della sua ragionevole durata. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 30/2014 la CEDU, pur accordando allo Stato aderente ampia discrezionalità nella scelta del rimedio interno per la garanzia della ragionevole durata del processo, esige, qualora si opti per la tutela risarcitoria, che detta discrezionalità rispetti il limite dell’effettività del rimedio stesso. 1° MARZO 2019, N. 32 IMPOSTE E TASSE. Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili – definizione agevolata, secondo le disposizioni di cui all’art. 6 del decreto-legge n. 193 del 2016, dei debiti relativi ai carichi affidati agli agenti della riscossione per il periodo 2000-2006, che non siano stati già oggetto di dichiarazione o per i quali il debitore non sia stato ammesso alla definizione agevolata, e per i carichi affidati dal 1° gennaio al 30 settembre 2017. Definizione agevolata delle entrate regionali e degli enti locali – previsione che, con riferimento alle entrate, anche tributarie, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle Città metropolitane non riscosse, a seguito di provvedimenti di ingiunzione fiscale, i medesimi enti territoriali possono stabilire l’esclusione delle sanzioni relative alle predette entrate – manifesta infondatezza. L’art. 1, commi 4 e 11-quater, del decreto-legge n. 148/2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 172/2017 – recante la c.d. rottamazione delle cartelle” – si inserisce nell’ambito di una riforma di sistema avente ad oggetto una procedura la riscossione mediante ruoli caratterizzata da esigenze unitarie pertanto, ricorrono le condizioni che legittimano l’esercizio della potestà legislativa concorrente dello Stato e va, quindi, esclusa una lesione delle competenze regionali in materia di autonomia finanziaria. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 29/2018 la disciplina della rottamazione delle cartelle” è riconducibile alla materia della riscossione e, più precisamente, della riscossione mediante ruoli l’intervento del legislatore statale non è principalmente diretto a disciplinare i tributi e le relative sanzioni e la stessa incidenza su queste ultime costituisce un passaggio ritenuto necessario in vista della finalità perseguita, che è quella della riorganizzazione della procedura esecutiva in questione. 28 FEBBRAIO 2019, N. 29 LAVORO. Lavoro subordinato – trasferimento d’azienda – inefficacia, nullità, inopponibilità della cessione di ramo d’azienda – inottemperanza del datore di lavoro cedente all’ordine di ripristino del rapporto di lavoro – disciplina della mora credendi - Interpretazione della Corte di cassazione assunta come diritto vivente inapplicabilità della disciplina in favore dei dipendenti del datore di lavoro cedente per il periodo successivo alla sentenza che abbia dichiarato nullo, inefficace o inopponibile il trasferimento, persistendo solo un obbligo da inadempimento [ex art. 1218 cod. civ.], ovvero applicabilità della disciplina limitata al riconoscimento di un obbligo risarcitorio da mora credendi [ex art. 1207 cod. civ.] in capo al cedente per gli eventuali danni patiti dai dipendenti, sia per il periodo anteriore sia per quello successivo [e ad libitum] alla suddetta sentenza – non fondatezza. In caso di cessione del ramo d’azienda dichiarata illegittima, sul datore di lavoro che persista nel rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa, ritualmente offerta dopo l’accertamento giudiziale che ha ripristinato il vinculum iuris, continua a gravare l’obbligo di corrispondere la retribuzione. In senso conforme, cfr. Cass. Civ., Sez. Un., n. 2990/2018 in caso di accertamento di interposizione fittizia, laddove il giudice ordini vanamente il ripristino del rapporto di lavoro con il soggetto interponente, quest’ultimo è tenuto a pagare le retribuzioni a partire dalla messa in mora, che corrisponde al momento in cui il lavoratore offre la propria prestazione. Infatti, il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato ordinario non può non comportare tutti gli obblighi conseguenti in capo al datore, e non solo quelli di carattere risarcitorio.