RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

12 NOVEMBRE 2018, N. 197 ORDINAMENTO GIUDIZIARIO. Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati – Automatismo della sanzione della rimozione per il magistrato, condannato in sede disciplinare, per i fatti previsti dall’art. 3, comma 1, lett. e , d.lgs. n. 109/2006 – Decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lett. f , legge 25 luglio 2005, n. 150”, art. 12, comma 5 – Non fondatezza. L’automatica rimozione del magistrato che ha ricevuto prestiti o agevolazioni da soggetti che il magistrato stesso sa essere parti o indagati in procedimenti pendenti presso l’ufficio giudiziario di appartenenza o in altro ufficio del medesimo distretto giudiziario, disposta dall’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 109/2006 per il magistrato che sia stato condannato in sede disciplinare per i fatti previsti dall’art. 3, comma 1, lett. e , del medesimo decreto legislativo, risponde ad una scelta legislativa non manifestamente irragionevole. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 112/14 non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lett. c , d.P.R. n. 737/1981, impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui prevede, per gli appartenenti ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, la destituzione di diritto quale conseguenza automatica dell’applicazione di una misura di sicurezza personale. In materia di pubblico impiego, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto illegittimo il sistema degli automatismi sanzionatori collegati all’accertamento compiuto nel giudizio penale in seguito, la disciplina di cui all’art. 9 l. n. 19/1990 ha espunto dall’ordinamento la destituzione di diritto del pubblico dipendente a seguito di condanna penale, abrogando ogni contraria disposizione. Sul piano sistematico, la disciplina oggetto di censura, si pone dunque in termini di specialità sia perché condiziona la prestazione del servizio, da parte del personale dell’amministrazione di pubblica sicurezza, al permanere di specifici requisiti di idoneità, sia perché contempla la contestata ipotesi di destituzione automatica. Tale specialità si giustifica in ragione della peculiarità e delicatezza di compiti connessi alla salvaguardia di diritti fondamentali. Pertanto, infatti, appare compatibile con i principi costituzionali, una disciplina che valuti in termini rigorosi le conseguenze che discendono, sul piano del rapporto di impiego, dalla accertata pericolosità del pubblico dipendente, in particolar modo laddove tale situazione abbia determinato condotte penalmente rilevanti. Tale disciplina trasparentemente riflette la preminenza attribuita dal legislatore all’interesse della collettività ad essere difesa dalla pericolosità sociale di un suo membro, allorché questo sia un dipendente dell’Amministrazione di pubblica sicurezza, rispetto all’interesse del singolo alla graduazione della sanzione disciplinare che gli deve essere applicata. 8 NOVEMBRE 2018, N. 194 LAVORO. Disciplina del contratto di lavoro a tutele crescenti – tutela meramente economica dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015, licenziati illegittimamente in assenza di giustificato motivo soggettivo o oggettivo ovvero di giusta causa – misura dell’indennità risarcitoria – Legge 10 dicembre 2014, n. 183 Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro , art. 1, comma 7, lettera c d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della l. 10 dicembre 2014, n. 183 , artt. 2, 3 e 4 – Illegittimità costituzionale. Il meccanismo di quantificazione dell’indennità risarcitoria introdotto dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 – operante entro limiti predefiniti sia verso il basso sia verso l’alto – connota l’indennità come rigida, in quanto non graduabile in relazione a parametri diversi dall’anzianità di servizio, e la rende uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità l’indennità assume così i connotati di una liquidazione legale forfetizzata e standardizzata, proprio perché ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio, a fronte del danno derivante al lavoratore dall’illegittima estromissione dal posto di lavoro a tempo indeterminato. Nel prestabilirne interamente il quantum in relazione all’unico parametro dell’anzianità di servizio, la disciplina in questione connota l’indennità, oltre che come rigida, come uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità. Tuttavia, è un dato di comune esperienza, ampiamente comprovato dalla casistica giurisprudenziale, che il pregiudizio prodotto dal licenziamento ingiustificato dipende, nei vari casi, da una pluralità di fattori l’anzianità nel lavoro, certamente rilevante, è solo uno dei tanti. La previsione di una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende dei licenziamenti intimati dal datore di lavoro, si traduce, quindi, in un’indebita omologazione di situazioni che possono essere – e sono, nell’esperienza concreta – diverse. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 303/2011 l’adeguatezza del risarcimento forfetizzato richiede che esso sia tale da realizzare un adeguato contemperamento degli interessi in conflitto.