RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

31 MAGGIO 2018, N. 116 PARTECIPAZIONI PUBBLICHE. Alienazione, con procedura di evidenza pubblica, di partecipazioni detenute da pubbliche amministrazioni locali in società controllate [nella specie quote di società a partecipazione mista pubblico-privata per la gestione del servizio farmaceutico] – non fondatezza. L’art. 1, comma 568- bis , della l. n. 147/2013 ha introdotto alcuni incentivi per sollecitare lo scioglimento delle società controllate o l’alienazione delle partecipazioni detenute da pubbliche amministrazioni locali. Si tratta di una misura di razionalizzazione che mira a provocare la dismissione delle società a partecipazione pubblica la cui attività non sia strettamente necessaria per il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente, ovvero di quelle scarsamente redditizie o in perdita. La norma persegue l’obiettivo di favorire l’alienazione delle partecipazioni societarie di pubbliche amministrazioni attraverso la previsione di un duplice ordine di vantaggi per i soggetti della potenziale operazione di vendita alla pubblica amministrazione locale alienante è riconosciuto un beneficio fiscale, consistente nel fatto che, ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, le plusvalenze non concorrono alla formazione del reddito e del valore della produzione netta e le minusvalenze sono deducibili nell’esercizio in cui sono realizzate e nei quattro successivi” al privato acquirente – di un bene che può essere di scarsa attrattività nel mercato – è concesso l’affidamento del servizio per cinque anni nel caso di società mista, inoltre, al socio privato che già detenga una quota di almeno il 30% viene assegnato il diritto di prelazione per acquistare la quota pubblica. Sull’argomento, cfr. CGUE, 19 giugno 2014, nella causa C-574/12 la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi, poiché qualunque investimento di capitale privato in un’impresa obbedisce a considerazioni proprie degli interessi privati e persegue obiettivi di natura differente rispetto a quelli di interesse pubblico. 31 MAGGIO 2018, N. 115 REATI E PENE. Frode all’IVA – prescrizione – obbligo per il giudice, in applicazione dell’art. 325 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea [TFUE], come interpretato dalla Corte di giustizia europea [sentenza 8 settembre 2015, causa C-105/14, Taricco], di disapplicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161, secondo comma, codice penale, anche nel caso in cui dalla disapplicazione discendano effetti sfavorevoli per l’imputato, per il prolungamento del termine di prescrizione e, in presenza delle circostanze indicate nella sentenza, allorquando ne derivi la sistematica impunità delle gravi frodi in materia di IVA, anche se dalla disapplicazione e dal conseguente prolungamento del termine di prescrizione discendano effetti sfavorevoli per l’imputato – non fondatezza. La più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sentenza del 5 dicembre 2017, nella causa C-42/17 , in primo luogo, ha chiarito che, in virtù del divieto di retroattività in malam partem della legge penale, la regola Taricco” non può essere applicata ai fatti commessi anteriormente alla data di pubblicazione della sentenza che l’ha dichiarata, ovvero anteriormente all’8 settembre 2015, trattandosi di un divieto che discende immediatamente dal diritto dell’Unione e non richiede alcuna ulteriore verifica da parte delle autorità giudiziarie nazionali in secondo luogo, ha demandato a queste ultime il compito di saggiare la compatibilità della regola Taricco” con il principio di determinatezza in materia penale in tal caso, per giungere a disapplicare la normativa nazionale in tema di prescrizione, è necessario che il giudice nazionale effettui uno scrutinio favorevole quanto alla compatibilità della regola Taricco” con il principio di determinatezza, che è, sia principio supremo dell’ordine costituzionale italiano, sia cardine del diritto dell’Unione, in base all’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea CDFUE , proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e, in una versione adattata, il 12 dicembre 2007 a Strasburgo. In senso conforme, cfr. CGUE, 5 dicembre 2017, nella causa C-42/17 l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la normativa interna in materia di prescrizione, sulla base della regola Taricco”, viene meno quando ciò comporta una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile o dell’applicazione retroattiva di una normativa che prevede un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato. 31 MAGGIO 2018, N. 114 RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE. Esecuzione esattoriale – limiti alla proponibilità delle opposizioni regolate dagli artt. 615 e 617 c.p.c. – inammissibilità delle opposizioni all’esecuzione, fatta eccezione per quelle concernenti la pignorabilità dei beni, e delle opposizioni agli atti esecutivi relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo – conseguente impossibilità per il contribuente-debitore di far valere le patologie o l’inesistenza della notificazione dell’atto di pignoramento – applicabilità di tale regime all’attività di riscossione mediante ruolo effettuato da Equitalia S.p.A. – illegittimità costituzionale parziale. L’art. 57, comma 1, lett. a , del d.P.R. n. 602/1973 Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito , come sostituito dall’art. 16 del d.lgs. n. 46/1999 Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all’avviso di cui all’art. 50 del d.P.R. n. 602/1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall’art. 615 c.p.c In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 239/1997 è costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., l’art. 17 della legge n. 6/1981 Norme in materia di previdenza per gli ingegneri e gli architetti , nella parte in cui, rinviando alle norme previste per la riscossione delle imposte dirette, impedisce al debitore - nell’ipotesi in cui contesti l’esistenza o l’entità del credito - di proporre opposizione all’esecuzione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria, in quanto l’inapplicabilità dell’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c. alla riscossione esattoriale di entrate non tributarie tanto più denota l’arbitrarietà della scelta legislativa di questo sistema privilegiato di riscossione, quanto più si consideri il contrasto con la stessa disciplina positiva delle entrate tributarie, in base alla quale, in caso di contestazione giudiziaria, la riscossione coattiva delle imposte avviene in maniera graduale in relazione all’andamento del processo, sicché l’esecutorietà risulta ope legis” graduata con riferimento alla probabilità di fondamento della pretesa tributaria rilevabile in base alle decisioni che intervengono nei vari gradi del giudizio ed in quanto la carenza di graduazione” dell’esecutività, nella disciplina legislativa in esame, non solo appare discriminatoria ed irragionevole, imponendo al debitore un sacrificio assolutamente sproporzionato rispetto alle finalità ed alla natura dell’ente creditore, ma comporta altresì, anche in considerazione di taluni effetti di irreversibilità” tipici del processo esecutivo, un’inammissibile limitazione della tutela alla proponibilità di sole iniziative risarcitorie, le quali possono corrispondere alla specificità ed all’intensità della tutela giurisdizionale dei diritti, postulata dall’art. 24 Cost., solo se inserite in un più ampio quadro di garanzie, quale si delinea per le stesse entrate tributarie.