RASSEGNA DEL CONSIGLIO DI STATO

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III SENTENZA 20 APRILE 2018, N. 2399 GIURISDIZIONE. PUBBLICO IMPIEGO PRIVATIZZATO. Decadenza per mancati requisiti. La decadenza dall’impiego pubblico, quando sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile , ai sensi dell’art. 127, comma primo, lett. d , d.P.R. n. 3 del 1957, è tipica ed eccezionale espressione di una potestà pubblicistica, riconosciuta dalla legge alla pubblica amministrazione a fronte di condotte fraudolente o decettive aventi ad oggetto la documentazione, in apparenza attestante l’esistenza di tutti requisiti di partecipazione al concorso, grazie alle quali il pubblico dipendente ha conseguito il proprio impiego. E, in quanto tale, di competenza del Giudice amministrativo in quanto attiene ai procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro , di cui all’art. 2, comma 1, lett. c , n. 4 , della l. n. 421 del 1992 espressamente esclusi dal processo di privatizzazione del pubblico impiego avviato da tale legge, avendo il citato articolo escluso dalla giurisdizione del giudice ordinario le materie di cui ai numeri da 1 a 7 della presente lettera . In tal senso si è anche espressa la Corte costituzionale nella sentenza n. 327 del 27 luglio 2009. Il potere di decadenza è giustificato, per un verso, dal divieto di instaurare o proseguire rapporti di pubblico impiego con soggetti che abbiano agito in violazione del principio di lealtà, che costituisce uno dei cardini dello stesso rapporto art. 98 Cost. , e per altro dall’esigenza di tutelare l’eguaglianza dei concorrenti, pregiudicati dalla sleale competizione con chi abbia partecipato alla selezione con documenti falsi e/o viziati art. 97 Cost. . Se tale è la ratio di questo potere, non vi è dubbio che a fronte del suo esercizio, inteso a sanzionare ex post, una volta che sia emersa, la slealtà e la scorrettezza delle gravi condotte che hanno falsato la selezione, vi sia una situazione di interesse legittimo del pubblico dipendente al corretto esercizio di un simile potere connesso, in modo più o meno diretto, al procedimento di selezione, potere che radica la giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 63, comma 4, del d. lgs. n. 165 del 2001 e, comunque, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III SENTENZA 18 APRILE 2018, N. 2345 PERMESSO DI SOGGIORNO. LIMITE REDITTUALE. Reddito del richiedente e reddito familiare. Non è legittimo sanzionare con il diniego di rinnovo i ripetuti tentativi di ingannare la p.a.” Il requisito reddituale, da parte della questura, deve essere oggetto di una valutazione non rigidamente ancorata al conseguimento nel pregresso periodo di validità del permesso di soggiorno di redditi non inferiori alla soglia prevista dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998, bensì comprensiva della capacità reddituale futura desumibile da nuove opportunità di lavoro, se formalmente e tempestivamente documentate. Nel caso specifico sottoposto all’attenzione della Sezione, i relativi versamenti fiscali e previdenziali erano stati tardivi, e comunque parziali. Ma ciò non può comportare di per sé l’irrilevanza del dato reddituale semmai una responsabilità per l’omissione, da attivare nelle forme previste dalla legge. Peraltro, non possono essere considerati irrilevanti i redditi percepiti dal figlio convivente. La giurisprudenza del Consiglio ha affermato, infatti, che, se ai sensi dell'art. 29, comma 3, lett. b , ultimo periodo, del d.lgs. 286/98, ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente”, il sostegno economico di soggetti non familiari ed estranei all’obbligo alimentare non può essere considerato ai fini della dimostrazione del requisito reddituale, in quanto potrebbe cessare in qualsiasi momento. Di contro, è sicuro che tra i familiari” rientrino quelli coniuge, genitori, figli indicati nel comma 1 dello stesso art. 29. In sostanza, ancorché l’appellante negli ultimi anni si sia dimostrato propenso a ricorrere ad espedienti, se non a condotte fraudolente, al fine di ottenere il rinnovo del titolo che gli permettesse di rimanere in Italia, non per questo può venir meno, nei suoi confronti, l’applicazione delle previsioni di legge come quelle sulla valutazione reddituale prospettica e sul cumulo dei redditi familiari che consentono la valutazione dei requisiti a ciò necessari secondo criteri improntati ad un favor per la salvaguardia degli stranieri i quali hanno un risalente radicamento sociale e familiare in Italia. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III SENTENZA 18 APRILE 2018, N. 2343 INFORMATIVA ANTIMAFIA. PRINCIPIO DEL PIÙ PROBABILE CHE NON”. Ambito di applicazione e presupposti dell’informativa antimafia. Il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’interdittiva prefettizia deve dar conto, in modo organico e coerente, ancorché sintetico, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del più probabile che non”, il giudice amministrativo, chiamato a verificare l’effettivo pericolo di infiltrazione mafiosa, possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole della effettiva sussistenza di tale rischio. La regola del più probabile che non” integra un criterio di giudizio di tipo empirico-induttivo, che ben può essere integrato da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali qual è quello mafioso e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informazione antimafia, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante. L’interdittiva antimafia, in sostanza, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la necessaria prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali sia plausibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un possibile condizionamento da parte di queste. Pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri. La Sezione, a tale proposito, ha anche ricordato che sia in sede consultiva sia soprattutto, in sede giurisdizionale, è stato affermato che anche le attività soggette al rilascio di autorizzazioni, licenze o a s.c.i.a. soggiacciono alle informative antimafia e che è pertanto superata la rigida bipartizione e la tradizionale alternatività tra comunicazioni antimafia, applicabili alle autorizzazioni, e informazioni antimafia, applicabili ad appalti, concessioni, contributi ed elargizioni. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III SENTENZA 13 APRILE 2018, N. 2229 TUTELA DELLA SALUTE. CONTENIMENTO SPESA PUBBLICA. FARMACI SOTTO BREVETTO E BREVETTO SCADUTO. Equivalenza terapeutica e medicinali equivalenti. Il complesso delle disposizioni legislative dedicate a regolare la materia affida all’AIFA le funzioni relative al rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio di medicinali, alla loro classificazione, alle relative indicazioni terapeutiche e, quindi, all’equivalenza terapeutica con altri farmaci , ai criteri delle pertinenti prescrizioni, alla determinazione dei prezzi, al regime di rimborsabilità ed al monitoraggio del loro consumo. Tali competenze sono state ripetutamente ed univocamente qualificate come esclusive - nel senso che le suddette funzioni legislative ed amministrative spettano solo all’autorità statale e, a tale proposito, la giurisprudenza ha precisato che resta preclusa alle Regioni la previsione di un regime di utilizzabilità e di rimborsabilità contrastante ed incompatibile con quello stabilito in via generale e sulla base dei pareri emessi dalla competente Commissione Consultiva Tecnico Scientifica dall’AIFA a livello nazionale. Tuttavia, la Regione ben può prevedere misure di razionalizzazione della spesa farmaceutica, sia per contenerla sia per impegnare le somme limitate a sua disposizione nel modo ritenuto più congruo alle esigenze della popolazione. In particolare, con riferimento ai poteri in materia farmaceutica delle Regioni, che nell'ambito della competenza regionale concorrente in materia di tutela della salute, hanno discrezionalità organizzativa e di scelta, ben può la Regione - nell'individuare i farmaci da inserire nel prontuario ospedaliero - orientare i medici all'utilizzo dei farmaci nelle condizioni cliniche per le quali risultano migliori evidenze di efficacia, richiamando altresì l'attenzione sul rapporto costo/benefici. Ed invero, è stato proprio il legislatore che, nel tempo, ha previsto tali tipi di interventi, seppure dettando alcune prescrizioni da seguire al fine di garantire il giusto equilibrio tra la tutela della salute e la sostenibilità per il bilancio pubblico della relativa spesa. E’ il caso della preferenza accordata dalla legge ai farmaci generici che, a differenza di quelli ad equivalenza terapeutica”, contiene gli stessi principi attivi del brevettato rispetto agli originator, la cui prescrizione da parte del medico deve essere espressa e motivata. In sostanza, le prescrizioni regionali dettate per esigenze di razionalizzazione della spesa sanitaria non possono integrare, di per se stesse, il vizio di eccesso o, addirittura, di sviamento di potere, ma risultano illegittime solo se, e nella misura in cui, per raggiungere tale obiettivo di contenimento della spesa finiscono per essere violate disposizioni normative a tutela della salute, come ad esempio la necessità della previa acquisizione della valutazione dell’AIFA per stabilire l’equivalenza terapeutica tra farmaci contenenti principi attivi diversi.