RASSEGNA DEL CONSIGLIO DI STATO

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV SENTENZA 2 MARZO 2018, N. 1309 EDILIZIA PRIVATA. PRESUPPOSTI LEGALI. Copertura di un terrazzo e distanze legali . La copertura realizzata in legno lamellare con copertura in policarbonato e e cannucciato, posata su tre pilastri in legno ancorati con basamento in cemento e bulloni al pavimento, a prescindere dalla sua incidenza in termini di superficie o di incremento volumetrico, per il suo carattere di costruzione rileva in ordine alla distanza tra edifici. Per ricorrente giurisprudenza, ha precisato il Collegio, la realizzazione di una tettoia va configurata sotto il profilo urbanistico come intervento di nuova costruzione e non di natura pertinenziale, essendo assente il requisito della individualità fisica e strutturale propria della pertinenza. Il manufatto costituisce, infatti, parte integrante dell'edificio e la nozione di costruzione deve estendersi a qualsiasi manufatto non completamente interrato che abbia i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica preesistente o contestualmente realizzato, indipendentemente dal livello di posa e di elevazioni dell'opera. Per la tettoia come realizzata, necessitava, quindi, la sua conformità alle disposizioni del testo unico dell'edilizia D.P.R. n. 380/2001 e alle norme dallo stesso richiamate in tema di disciplina urbanistica ed edilizia cfr. art. 12 , tra cui quella sulle distanze previste dal codice civile. La Sezione ha ritenuto di non condividere la tesi degli appellanti che l'art. 3, comma 1, lett. e del D.P.R. n. 380/2001 prevederebbe che gli interventi come quello di interesse possono essere considerati nuova costruzione solo se le N.T.A. del P.R.G. del Comune lo evidenzino espressamente o nel caso in cui si realizzino opere che abbiano un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale, atteso che nulla si evince al riguardo dalla disciplina di settore del Comune e, comunque, a rilevare è la disciplina statale sulle distanze tra edifici, che essendo volta alla salvaguardia di imprescindibili esigenze igienico-sanitarie, è tassativa ed inderogabile nell'imporre al proprietario dell'area confinante di costruire il proprio edificio ad almeno 10 metri, senza alcuna deroga. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV SENTENZA 2 MARZO 2018, N. 1306 ENERGIA ELETTRICA. FONTI RINNOVABILI. TARIFFE INCENTIVANTI Rimessione inutile ma necessaria alla Corte di giustizia UE . Impianto fotovoltaico, contributi statali e diritto comunitario. Il Consiglio di Stato, Sez. IV, pur consapevole della manifesta infondatezza della pretesa della società che aveva impugnato il decreto del Ministero dello sviluppo economico relativo alle modalità di incentivazione per la produzione di energia fotovoltaica, e pur consapevole della ingiustificata protrazione dei tempi del processo collegati alla pendenza della questione pregiudiziale, ha rimesso la questione alla Corte di giustizia UE. E ciò al solo fine di ottemperare al dovere di rinvio pregiudiziale da parte del Giudice nazionale di ultima istanza ed in considerazione del fatto che l’inosservanza di siffatto dovere determina una diretta responsabilità dello Stato membro di carattere sostanzialmente oggettivo. E’ stata rimessa alla Corte di giustizia UE la questione se l’art. 3, comma 3, lett. a della Direttiva 2009/28/CE debba essere interpretato - anche alla luce del generale principio di tutela del legittimo affidamento e del complessivo assetto della regolazione apprestata dalla Direttiva in punto di incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili - nel senso di escludere la compatibilità con il diritto UE di una normativa nazionale che consenta al Governo italiano di disporre, con successivi decreti attuativi, la riduzione o, financo, l’azzeramento delle tariffe incentivanti in precedenza stabilite. La decisione di rimessione è conseguente al fatto che non consta che la Corte di giustizia si sia specificamente occupata della disciplina recata dalla direttiva 2009/28/CE, volta a favorire la produzione di energia da fonti rinnovabili, sotto i profili che, nel caso specifico, sono venuti in considerazione. Pertanto, in assenza di un precedente specifico, non può farsi sicuro riferimento alla teorica del cd. atto chiaro”, tanto più a fronte di un’espressa istanza di parte che sollecita la rimessione, della astratta rilevanza della questione pregiudiziale e della valenza generale del dovere di sollevare una questione pregiudiziale in capo ai Giudici di ultima istanza. E’ noto, infatti, precisa la sentenza, che l’art. 267, par. 3, TFUE deve essere interpretato nel senso che il giudice nazionale le cui decisioni non sono impugnabili con un ricorso giurisdizionale è tenuto, in linea di principio, a procedere al rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto dell’Unione anche nel caso in cui, nell’ambito del medesimo procedimento nazionale, la Corte costituzionale dello Stato membro di cui trattasi abbia valutato la costituzionalità delle norme nazionali alla luce delle norme di riferimento aventi un contenuto analogo a quello delle norme del diritto dell’Unione Corte giust. comm. ue 20 dicembre 2017, C-322/2016 id. 18 luglio 2013, C-136/2012 e 19 novembre 2009, C-314/2008 . CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV SENTENZA 28 FEBBRAIO 2018, N. 1244 CONTRATTO PRELIMINARE DI PERMUTA. GIURISDIZIONE Legnaia in cambio di aree da destinare a parcheggio . Il contenuto dell’accordo stipulato tra le parti, il privato si impegnava a cedere le aree al Comune, il quale, a sua volta, in luogo dell’indennità d’esproprio, avrebbe ceduto un locale legnaia di circa 40 mq è assimilabile allo schema del contratto preliminare ad effetti anticipati, dal momento che, da una parte, i privati si erano obbligati a trasferire la proprietà delle particelle oggetto di esproprio entro il termine che sarebbe stato stabilito dal Comune, dall’altra il Comune s’era obbligato a cedere in permuta un piccolo locale legnaia, in luogo dell’indennizzo di esproprio. L’immissione in possesso dei beni, come stabilito tra le parti al punto 4 del preliminare di permuta, - ha chiarito la Sezione - non era comunque idonea a produrre effetti traslativi. Le parti dunque non avevano inteso utilizzare l’istituto tipizzato dal legislatore della cessione volontaria, ma avevano fatto ricorso ad un accordo dal contenuto atipico. Ciò esclude che possa utilizzarsi, al fine di determinare il corretto riparto di giurisdizione, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione secondo la quale la procedura di cessione volontaria, in considerazione del suo carattere vincolato rispetto ai parametri legali, non è riconducibile agli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento le cui controversie, a norma dell'art. 11, commi 1 e 5, della legge n. 241 del 1990, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo Cass., Sez. Un., 6 dicembre 2010, n. 24687 . Al contrario, precisa la sentenza - deve ritenersi applicabile l’orientamento della stessa Cassazione rappresentato dalla pronuncia n. 2029/2008, secondo la quale Atteso che la convenzione stipulata nel corso di una procedura espropriativa, con cui l'espropriato cede al Comune l'area necessaria per la realizzazione dell'opera pubblica ed il Comune si obbliga a trasferire al privato la proprietà di altra area da destinare a parcheggio, viene conclusa in funzione della programmata espropriazione in corso e, quindi, dell'attuazione della relativa attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, così realizzando l'individuazione convenzionale del contenuto di uno o più provvedimenti che l'amministrazione avrebbe dovuto emettere a conclusione del procedimento in atto. Nel caso di mancata esecuzione dell'accordo, la relativa controversia rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sia perché la convenzione rientra tra quelle di cui all'art. 11 della legge n. 241 del 1990 sia perché la stessa attiene alla materia urbanistica ai sensi dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, come modificato dalla legge n. 205 del 2000, senza che abbia incidenza la parziale illegittimità costituzionale sent. n. 204 del 2004 , giacché nella specie l'uso del territorio consegue ad atti della P.A. e non a meri comportamenti”. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV SENTENZA 28 FEBBRAIO 2018, N. 1229 AMBIENTE. RIFIUTI. CLASSIFICAZIONE. Qualificare i rifiuti spetta allo Stato e non alle regioni . Se, in linea generale, la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto” è riservata alla normativa comunitaria, nondimeno questa ha consentito che, in assenza di proprie previsioni, gli Stati membri possano valutare caso per caso tale possibile cessazione, solo in assenza di indicazioni comunitarie e, dunque, non in contrasto con le stesse – dandone informazione alla Commissione. Il destinatario del potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è, per la Direttiva, lo Stato”, che assume anche obbligo di interlocuzione con la Commissione. La stessa Direttiva UE, quindi, non riconosce il potere di valutazione caso per caso” ad enti e/o organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato medesimo, posto che la predetta valutazione non può che intervenire, ragionevolmente, se non con riferimento all’intero territorio di uno Stato membro. Ciò è quanto ha fatto il legislatore statale, attribuendo tale potere al Ministero dell’Ambiente, ed anzi fornendo una lettura del caso per caso”, non già riferito al singolo materiale da esaminare ed eventualmente declassificare con specifico provvedimento amministrativo, bensì inteso come tipologia” di materiale da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria. D’altra parte, la previsione della competenza statale in materia di declassificazione caso per caso” del rifiuto appare del tutto coerente, oltre che con la citata Direttiva UE, anche con l’art. 117, comma secondo, lett. s della Costituzione che, come è noto, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva e, dunque, anche alla potestà regolamentare statale , la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. È del tutto evidente che, - precisa la sentenza - laddove si consentisse ad ogni singola Regione, di definire, in assenza di normativa UE, cosa è da intendersi o meno come rifiuto, ne risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni.