RASSEGNA DEL CONSIGLIO DI STATO

CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE V SENTENZA 23 FEBBRAIO 2018, N. 1148 DIRITTO DI ACCESSO. Atti pubblicati per legge. A proposito della richiesta di ostensione di tutti gli atti comprovanti l’esistenza dei beni di proprietà del Comune ed il loro stato giuridico detenzione, affitto, comodato, concessione, ecc. , il Giudice di primo grado aveva ritenuto la domanda infondata in quanto, sussistendo l’obbligo ex l. n. 33 del 2013, a carico degli enti locali, di procedere alla pubblicazione di tutti gli atti concernenti i beni immobili e la gestione del patrimonio, l’istanza era superflua, potendo ogni cittadino interessato accedere al sito online e ottenerne le informazioni ovvero i dati richiesti. Tale interpretazione è stata condivisa dal Giudice di appello. Nel senso che, nel caso di atti soggetti a pubblicazione - come quelli in questione - il diritto si esercita da parte di chiunque direttamente e immediatamente, senza autenticazioni o identificazioni, rendendo obsoleta e superata la tradizionale forma di accesso documentale che, riguardo ai predetti atti, risulterebbe inefficiente perché comporterebbe una duplicazione di attività e procedimenti amministrativi, priva di utilità pubblica o privata. Ha ritenuto, inoltre, il Collegio, che il diritto di accesso sia riconosciuto solo per atti esistenti e detenuti dall'Amministrazione non si possono accogliere istanze non corredate dalla prova dell'esistenza degli atti di cui viene chiesto l'accesso. Salvo il limite che, se il ricorrente fornisce argomenti e indizi circa l'esistenza degli atti di cui chiede l'accesso, spetterà all’Amministrazione fornire la prova contraria. Nel caso posto all’attenzione della V Sezione, riguardo all’ulteriore documentazione sui contratti di locazione dei beni, il Collegio ha osservato che la sentenza del Giudice di primo grado bene ha rilevato che la loro esistenza era sfornita di prova, avendo l’appellante sviluppato una argomentazione tautologica i documenti non possono non esserci , evidentemente inidonea a fornire valore indiziario circa l’esistenza materiale dei documenti di cui si chiede l’ostensione. CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA SENTENZA 23 FEBBRAIO 2018, N. 2 PROCESSO AMMINISTRATIVO. Principi di diritto enunciati. L’articolo 99, comma 4, c.p.a. deve essere inteso nel senso di rimettere all’Adunanza plenaria la sola opzione fra l’integrale definizione della controversia e l’enunciazione di un principio di diritto, mentre non è predicabile per ragioni sia testuali, che sistematiche l’ulteriore distinzione in princìpi di diritto di carattere astratto e princìpi maggiormente attinenti alle peculiarità del caso concreto. Ai princìpi di diritto enunciati dall’Adunanza plenaria ai sensi dell’articolo 99, comma 4, c.p.a. non può essere riconosciuta l’autorità della cosa giudicata l’attività di contestualizzazione e di sussunzione del principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria ai sensi dell’articolo 99, comma 4, p.a. in relazione alle peculiarità del caso concreto spetta alla Sezione cui è rimessa la decisione del ricorso. Ha chiarito l’Alto Consesso che l’Adunanza plenaria può secondo uno schema concettuale simile a quello delineato dai primi due commi dell’articolo 384 c.p.c. decidere l’intera controversia – in particolare laddove non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto – ovvero enunciare il principio di diritto e rimettere per il resto il giudizio alla Sezione remittente, alla quale spetterà, evidentemente, il compito di contestualizzare il principio espresso in relazione alle peculiarità del caso sottoposto al suo giudizio. Pertanto la richiamata disposizione codicistica la cui portata è già adeguatamente ampia, come adeguato è il novero dei poteri in concreto esercitabili dall’Adunanza plenaria non ammette la possibilità – che sembra invece adombrata nell’ordinanza di rimessione – di articolare ulteriormente l’enunciazione del principio di diritto secondo diversi livelli di astrattezza o – correlativamente – di aderenza alle peculiarità della vicenda di causa. Ha chiarito il Consesso che l’enunciazione da parte dell’Adunanza plenaria di un principio di diritto nell’esercizio della propria funzione nomofilattica non integra l’applicazione alla vicenda per cui è causa della regula iuris enunciata e non assume quindi i connotati tipicamente decisori che caratterizzano le decisioni idonee a far stato fra le parti con l’autorità della cosa giudicata con gli effetti di cui all’articolo 2909 c.c. e di cui all’articolo 395, n. 5 c.p.c In sostanza, la statuizione con cui l’Adunanza plenaria si limita a enunciare un principio di diritto invece di decidere l’intera controversia determina effetti evidentemente diversi rispetto a quelli con cui la stessa Adunanza plenaria definisce l’intero rapporto giuridico controverso. Fra tali effetti non è annoverabile quello proprio delle statuizioni assistite dalla forza del giudicato di far stato fra le parti e di costituire parametro di difformità rilevante ai sensi dell’articolo 395, n. 5 , c.p.c. Il vincolo del giudicato può pertanto formarsi unicamente sui capi delle sentenze dell’Adunanza plenaria che definiscono – sia pure parzialmente – una controversia, mentre tale vincolo non può dirsi sussistente a fronte della sola enunciazione di princìpi di diritto la quale richiede – al contrario – un’ulteriore attività di contestualizzazione in relazione alle peculiarità della vicenda di causa che non può non essere demandata alla Sezione remittente. Deve naturalmente pervenirsi a conclusioni diverse nelle ipotesi in cui l’Adunanza plenaria avvalendosi di un potere decisorio certamente ammesso dall’articolo 99, comma 4, c.p.a. si sia avvalsa della facoltà di definire con sentenza non definitiva la controversia, restituendo per il resto il giudizio alla Sezione remittente se del caso, previa enunciazione di un principio di diritto . In tali ipotesi il Giudice a quo potrà definire con la massima latitudine di poteri decisionali i capi residui della controversia che gli sono stati demandati, restando tuttavia astretto al vincolo del giudicato formatosi sui capi definiti dall’Adunanza plenaria. CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE VI SENTENZA 22 FEBBRAIO 2018, N. 1134 AUTORITA’ ENERGIA. SANZIONI. Interruzione servizio. Registrazione di disservizio e sollecito. La finalità sottesa alla disciplina contenuta nel TIQE è di garantire al cliente finale la continuità del servizio, riducendo al minimo le interruzioni e assicurando tempi ragionevoli di riparazione dei guasti. In un tale contesto, assume certamente primaria importanza l’annotazione della segnalazione del guasto, in quanto consente di verificare l’effettiva durata del disservizio e la tempestività dell’intervento dell'operatore. Di converso, nessun immediato beneficio discende dalla registrazione dei meri solleciti questi, infatti, non pare possano fornire alcuna informazione supplementare circa l’entità e l’estensione del guasto”, posto che le stesse devono ritenersi desumibili in via oggettiva con le apposite verifiche tecniche a seguito della prima segnalazione del guasto, piuttosto che dal dato, del tutto casuale, che venga sollecitata o meno la soluzione dello stesso. Il Consiglio di Stato, Sezione VI, ha annullato la sanzione che l’Autorità per l’energia aveva comminato ala società erogatrice dell’energia per non aver correttamente registrato un sollecito all’interruzione della corrente. Il tenore letterale della norma, – annotare su appositi elenchi tutte le chiamate ricevute per segnalazioni guasti, anche in assenza di interruzione” – precisa la sentenza, depone nel senso che l’onere di annotare le chiamate si collega al fatto che le stesse siano relative ad un guasto, non alla verifica, o sollecito, circa la soluzione di un guasto già segnalato. In altre parole, la definizione di segnalazione guasto” ricomprende certamente la chiamata con cui l’utente rende noto all’operatore il disservizio, ma non anche quelle successive che si limitano soltanto a ribadire una segnalazione già effettuata solleciti . Al più, all’interno dell’obbligo di segnalazione del guasto” può includersi la segnalazione della medesima interruzione, ma proveniente da un utente diverso, rispetto all’originario segnalatore. In tale ipotesi, l’interruzione già segnalata può comunque rappresentare un nuovo” guasto, con conseguente onere di registrare la chiamata. Invero, rispetto alla stessa, in ogni caso deve esserne indagata la causa da parte della società erogatrice, onde verificare se sia riconducibile o meno al guasto già registrato in precedenza. Da cui l’onere di registrare la relativa chiamata. Non così nel caso in cui sia il medesimo utente, che ha già segnalato il guasto, a richiamare per sollecitarne la soluzione, posto che in tal caso, come già evidenziato, le successive chiamate non segnalano alcunché, limitandosi a verificare la soluzione del medesimo problema già noto e già registrato. La fattispecie è stata disciplinata dall’Autorità, con deliberazione 19 dicembre 2007, n. 333, ha approvato il Testo integrato della regolazione della qualità dei servizi di distribuzione, misura e vendita dell’energia elettrica per il periodo di regolazione 2008-2011, c.d. TIQE.