RASSEGNA DEL CONSIGLIO DI STATO

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III SENTENZA 16 FEBBRAIO 2018, N. 999 RICUSAZIONE SIMBOLO ELETTORALE Difetto assoluto di giurisdizione sulle elezioni politiche. Il contenzioso pre-elettorale è ripartito tra l’Ufficio centrale nazionale – competente per quanto concerne le controversie relative alla esclusione di liste e candidature – e le Assemblee di Camera e Senato, cui è attribuito il controllo del procedimento elettorale, in virtù di una norma eccezionale di carattere derogatorio, basato su un regime di riserva parlamentare strumentale alla necessità di garantire l’assoluta indipendenza del Parlamento e riconducibile all’autodichia. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 126 e 129 del codice del processo amministrativo, in sostanza, il giudice amministrativo ha giurisdizione in materia di operazioni elettorali relative al rinnovo degli organi elettivi dei comuni, delle province, delle regioni e all'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, ma non anche in materia di elezioni politiche” nazionali. Tali norme delimitano con chiarezza l’ambito di estensione della giurisdizione amministrativa in materia di contenzioso elettorale, dal quale sono escluse le controversie concernenti l’esclusione delle liste dalle elezioni politiche e, dunque, riferite al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni politiche alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica. Esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo, ha ricordato il Collegio, va rilevato che i mezzi di tutela avverso i provvedimenti di esclusione sono disciplinati dal d.P.R. n. 361/1957, il cui art. 23 prevede che, avverso le decisioni di eliminazione di liste o di candidati adottate dall'Ufficio centrale circoscrizionale, può essere proposto ricorso all'Ufficio centrale nazionale, istituito presso la Corte Suprema di Cassazione. È, altresì, attribuita espressamente alla Camera dei Deputati, secondo quanto disposto dall’art. 87 d.P.R. n. 361/1957, la competenza a pronunciare il giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami presentati agli Uffici delle singole sezioni elettorali o all’Ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente”, e ciò coerentemente con la previsione di cui all’art. 66 Costituzione, ai sensi del quale Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità”. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. III SENTENZA 15 FEBBRAIO 2018, N. 971 DISCIPLINA ANTIMAFIA. BLACKLIST. PRESUPPOSTI. Rapporti parentali e principio di precauzione. I legami familiari non sono sufficienti a denotare il pericolo di condizionamento mafioso, se non si colorino di ulteriori connotati – di cui è onere dell’Amministrazione dare conto nel contesto motivazionale del provvedimento interdittivo, dopo averli puntualmente lumeggiati in sede istruttoria – atti ad attribuire ad essi valore sintomatico di un collegamento che vada oltre il mero e passivo dato genealogico, ma si traduca nella volontaria condivisione di aspetti importanti di vita quotidiana ovvero, nelle ipotesi di maggiore evidenza dell’influenza mafiosa, nella sussistenza di cointeressenze economiche e commistioni imprenditoriali. Gli elementi qualificanti tuttavia, che possono consentire di fondare il ragionamento logico-presuntivo che mette capo alla valutazione di permeabilità criminale dell’impresa, devono essere dotati di sufficienti requisiti di certezza storico-fattuale, mentre la catena deduttiva che di essi si alimenta per approdare alla conclusione interdittiva deve ispirarsi a canoni di logica e verosimiglianza, la cui corretta applicazione spetta in ultima analisi al giudice, nella eventuale sede contenziosa, verificare. Tuttavia, le condotte criminose, se ritenute sintomatiche di una personalità mafiosa” per poter essere ragionevolmente configurate, richiederebbero l’imputabilità all’interessato di azioni effettivamente riconducibili al modus operandi proprio delle organizzazioni criminali e non solo espressive di una generica ed astratta mentalità” mafiosa . CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI SENTENZA 13 FEBBRAIO 2018, N. 899 CONCESSIONI MARITTIME DEMANIALI Competenza ex ante della Soprintendenza. Nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, con l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2010 dell’art. 146 del codice d.lgs. 42/2004, la Soprintendenza esercita, non più un sindacato di legittimità ex post come previsto dall’art. 159 del citato codice nel regime transitorio vigente fino al 31 dicembre 2009 sulla autorizzazione già rilasciata dalla Regione o dall’ente delegato, con il correlativo potere di annullamento, ma un potere che consente di effettuare ex ante valutazioni di merito amministrativo, con poteri di cogestione del vincolo paesaggistico. il giudizio affidato all’organo ministeriale è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecniche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari della storia, dell’arte e dell’architettura, caratterizzati da ampi margini di opinabilità. L’apprezzamento compiuto dall’Amministrazione preposta alla tutela è quindi sindacabile, in sede giudiziale, esclusivamente sotto i profili della logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l’aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto, ma fermo restando il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, sicché, in sede di giurisdizione di legittimità, può essere censurata la sola valutazione che si ponga al di fuori dell’ambito di opinabilità, affinché il sindacato giudiziale non divenga sostitutivo di quello dell’Amministrazione attraverso la sovrapposizione di una valutazione alternativa, parimenti opinabile. Legittimo, pertanto, il divieto del mantenimento delle strutture balneari durante tutto l’anno, nel caso specifico ammesso dalla legge regionale Puglia per una più ampia visuale del litorale marino e per il pieno godimento delle zone interessate dal vincolo paesaggistico CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI SENTENZA 12 FEBBRAIO 2018, N. 873 CONCESSIONI MARITTIME DEMANIALI Illegittima la proroga automatica per contrasto con diritto eurounitario. Va disapplicata la normativa interna che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime, con finalità turistico-ricreative, ivi comprese le concessioni destinate ad approdi e porti turistici, per il contrasto della stessa con l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006, cosiddetta direttiva Bolkestein e, comunque, anche con l’articolo 49 TFUE. Sulla questione specifica, peraltro, si è già pronunciata la Corte di giustizia UE la quale, con la sentenza 14 luglio 2016, ha dichiarato che le suddette disposizioni devono essere interpretate nel senso che osta a una misura nazionale, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati. E ciò, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo. Inoltre, ha sottolineato il Collegio, non può trovare applicazione la fattispecie limitativa di cui al paragrafo 3 dell’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE per cui [] gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto [dell’Unione] . Ciò in quanto, le esigenze giustificative di un’eventuale disciplina limitativa, per ragioni di trasparenza e di parità di trattamento tra i potenziali interessati al conseguimento della concessione, avrebbero dovuto essere articolate sin dal momento della enunciazione delle regole della procedura di selezione in occasione del rilascio della concessione iniziale. Mentre, nel caso di specie, mancava una procedura selettiva regolata da una correlativa lex specialis che, in tesi, avrebbe dovuto prevedere un’eventuale deroga alle regole dell’evidenza pubblica in sede di rinnovo. In sostanza, una giustificazione fondata sul principio della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto richiederebbe una valutazione caso per caso e la dimostrazione che il titolare dell’autorizzazione possa legittimamente attendersi il rinnovo della propria autorizzazione in funzione degli investimenti effettuati, mentre una siffatta giustificazione non può essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in essere.