RASSEGNA DEL CONSIGLIO DI STATO

CONS. STATO, SEZ. III, 17 MARZO 2017, N. 1221 LEGGI, DECRETI E REGOLAMENTI - FORMAZIONE DELLE LEGGI – REFERENDUM. Referendum raccolta firme e divieto di propaganda indiretta. La raccolta di firme relative ad un referendum – essendo attività eseguita a distanza di mesi dalla data in cui gli elettori si recano alle urne per esercitare il loro diritto di voto – seppur attuata nelle stesse date in cui si svolge un altro referendum, avente oggetto differente e dunque non confondibile, non costituisce ragionevolmente propaganda indiretta” vietata dalla legge art. 9 della legge 212/1956 . Il Consiglio di Stato ha affermato che la raccolta di firme relative ad un referendum, attuata nelle stesse date in cui si svolge un altro referendum avente oggetto differente, non costituisce ragionevolmente propaganda indiretta”, vietata dalla legge ai sensi dell’art. 9 della legge 212/1956. Nella specie, la Questura aveva vietato la raccolta di firme in ordine a quesiti referendari in quanto negli stessi giorni vi sarebbe stata la consultazione elettorale relativa ad altro referendum, benché avente ad oggetto una diversa tematica si riteneva, infatti, che tale raccolta costituisse una propaganda indiretta per il voto referendario e che potesse generare disordini, come già avvenuto in passato in occasione di banchetti allestiti da una nota parte politica, tali da richiedere l’uso della Forza Pubblica. A tal proposito, il Consiglio ha invece chiarito, conformemente a quanto già affermato dal primo giudice, che ai sensi degli artt. 17 Cost. e 18 del TULPS doveva ritenersi consentita detta raccolta di sottoscrizioni, stante il mancato riferimento ad una specifica parte politica e non sussistendo, quindi, alcun pericolo notevolmente probabile e comprovato di incisione sulla sicurezza o sull’incolumità pubblica non si ravvisavano infatti - secondo una valutazione prognostica sulla base del principio dell’id quod plerumque accidit - sufficienti elementi dai quali desumere l’esistenza di un reale e concreto rischio di disordini, tale da comportare il sacrificio del diritto di riunione, avente rilevanza costituzionale. Inoltre, il Collegio ha precisato che, anche riguardo al divieto di cui all’art. 9 della legge 212/1956, la raccolta di firme non poteva realisticamente costituire propaganda indiretta”, trattandosi di due referendum aventi oggetto differente e, pertanto, non confondibili tra loro, tenuto conto della maturità degli elettori abituati da anni a votare per i quesiti referendari peraltro, il generico riferimento ad altri quesiti referendari” - ulteriori rispetto alla tematica principale oggetto di raccolta di sottoscrizioni - non poteva ragionevolmente trarre in inganno, atteso che tale attività viene eseguita a distanza di mesi dalla data in cui gli elettori si recano alle urne per esercitare il loro diritto di voto . Ciò posto, la Sezione – evidenziato che la oggettiva diversità dei due referendum evitava il rischio di coartazione della volontà dell’elettore – ha dunque respinto l’appello e, per l’effetto, ha confermato la sentenza di primo grado.