RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

26 NOVEMBRE 2015, N. 242 RESPONSABILITÀ CIVILE. Risarcimento del danno derivante da sinistro stradale – danno biologico per lesioni di lieve entità – irrisarcibilità delle lesioni micropermanenti” non suscettibili di accertamento clinico strumentale o visivo – manifesta infondatezza. Il relazione al danno permanente” per microlesioni, la previsione della diagnostica strumentale come condizione per il relativo accertamento che sarebbe altrimenti sottoposto ad una discrezionalità eccessiva, con rischio di estensione a postumi invalidanti inesistenti o enfatizzati è stata già ritenuta rispondente a criteri di ragionevolezza dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 235/2014. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 235/2014 non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 139 del codice delle assicurazioni private, nella parte in cui prevede che, in ogni caso, le lesioni di lieve entità, che non siano suscettibili di accertamento clinico strumentale obiettivo, non potranno dar luogo a risarcimento per danno biologico permanente. 26 NOVEMBRE 2015, N. 241 REATI E PENE. Reati uniti dal vincolo della continuazione e commessi da recidivi reiterati – previsione che l’aumento di pena non possa essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave – casi in cui la pena per il reato satellite” deve determinarsi inderogabilmente nel massimo edittale – questione che muove da un erroneo presupposto interpretativo – inammissibilità. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 81, co. 4, cod. pen., aggiunto dall’art. 5, legge n. 251/2005, impugnato in riferimento all’art. 3 Cost., è inammissibile perché muove da un erroneo presupposto interpretativo. Nel giudizio a quo, all’imputato sono addebitati i reati di rapina aggravata e di porto di armi od oggetti atti ad offendere e il Tribunale rimettente ha rilevato che il reato più grave, cioè la rapina aggravata, è punito con la pena della reclusione non inferiore a 4 anni e 6 mesi, sicché, a norma dell’ultimo comma dell’art. 81 cod. pen. secondo cui l’aumento di pena per il cosiddetto reato satellite non può essere inferiore a un terzo della pena stabilita per il reato più grave , per il reato di porto di armi od oggetti atti ad offendere, contestato in continuazione con la rapina, si imporrebbe l’applicazione, a titolo di continuazione, di un anno di reclusione, dovendosi rispettare il vincolo del non superamento della pena massima edittale prevista per tale reato. Il giudice a quo, però, non ha considerato che l’art. 81, co. 4, cod. pen., fa salvi i limiti precedentemente indicati al terzo comma, il quale, a sua volta, stabilisce che, nei casi di concorso formale e di reato continuato, la pena non può essere superiore a quella che sarebbe applicabile a norma degli articoli precedenti , cioè degli articoli che disciplinano il cumulo materiale delle pene. Ciò significa che la pena derivante dal cumulo giuridico non può superare la pena che, in concreto, il giudice avrebbe inflitto in caso di cumulo materiale. Perciò, il presupposto interpretativo dal quale muove il giudice a quo – secondo cui in base alla norma impugnata si sarebbe dovuto applicare, a titolo di aumento per la continuazione, il massimo edittale allora vigente per il reato previsto dall’art. 4, legge n. 110/1975, cioè un anno di reclusione – è erroneo. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 218/2014 è inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 c.p.p. e del d.lgs. n. 231/2001, impugnati, in riferimento all’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevedono che nel processo penale le persone offese possono chiedere agli enti il risarcimento dei danni subiti per il comportamento dei loro dipendenti. La questione muove, infatti, dall’erroneo presupposto interpretativo secondo cui l’art. 83, co. 1, c.p.p. non consentirebbe la citazione dell’ente come responsabile civile. 26 NOVEMBRE 2015, N. 240 PROCESSO PENALE. Sospensione del procedimento con messa alla prova – istituto introdotto con legge 28/04/2014 n. 67 – preclusione dell’ammissione all’istituto degli imputati di processi in primo grado, nei quali la dichiarazione di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della legge – assenza di una disciplina transitoria analoga a quella prevista per l’applicazione della disciplina della sospensione del procedimento penale nei confronti degli irreperibili [art. 15-bis, co. 1, legge n. 67/2014] – non fondatezza. Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 464-bis, co. 2, c.p.p, impugnato in riferimento in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, co. 1, Cost. quest’ultimo in relazione all’art. 7 della CEDU , nella parte in cui, in assenza di una disciplina transitoria, analoga a quella di cui all’art. 15-bis, co. 1, legge n. 118/2014, preclude l’ammissione all’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati di processi pendenti in primo grado, nei quali la dichiarazione di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima dell’entrata in vigore della legge n. 67/2014. In una prospettiva processuale ben si giustifica la scelta legislativa di parificare la disciplina del termine per la richiesta, senza distinguere tra processi in corso e processi nuovi. È allo stato del processo che il legislatore ha inteso fare riferimento e sotto questo aspetto ben può dirsi che ha trattato in modo uguale situazioni processuali uguali. Il termine entro il quale l’imputato può richiedere la sospensione del processo con messa alla prova è collegato alle caratteristiche e alla funzione dell’istituto, che è alternativo al giudizio ed è destinato ad avere un rilevante effetto deflattivo. Consentire, sia pure in via transitoria, la richiesta nel corso del dibattimento, anche dopo che il giudizio si è protratto nel tempo, eventualmente con la partecipazione della parte civile che avrebbe maturato una legittima aspettativa alla decisione , significherebbe alterare in modo rilevante il procedimento, e il non averlo fatto non giustifica alcuna censura riferibile all’art. 3 Cost In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 455/2006 il legislatore gode di ampia discrezionalità nello stabilire la disciplina temporale di nuovi istituti processuali o delle modificazioni introdotte in istituti già esistenti, sicché le relative scelte, ove non siano manifestamente irragionevoli, si sottraggono a censure di illegittimità costituzionale.