RASSEGNA DELLE SEZIONI PENALI DELLA CASSAZIONE

TERZA SEZIONE 5 LUGLIO 2019, N. 29406/2019 RICORRENTE G. IMPUGNAZIONI. Traduzione della sentenza per l'imputato alloglotta Non spetta nel caso di pronunzia ricorribile in Cassazione. In base allo ius superveniens, l'imputato non è più legittimato a ricorrere personalmente per cassazione, con la conseguenza che l'impugnazione del difensore, azionata, come nella specie in data 13 ottobre 2017, consuma interamente il diritto di impugnazione. Ne deriva che, ai fini dell'esercizio del diritto ad impugnare, non ha alcun rilievo, per l'imputato alloglotta, la mancata traduzione della sentenza di condanna, quando il difensore di fiducia abbia, in virtù della legittimazione conferitagli iure proprio, esercitato il diritto di impugnazione. La pronunzia segnala che, dopo l'entrata in vigore della legge 23 giugno 2017 n. 103, a prescindere dalla data di emissione del provvedimento impugnato, l'imputato non è più legittimato a proporre personalmente il ricorso per cassazione, incidendo la novella normativa relativa all'articolo 613, comma 1, del codice di procedura penale non già sul diritto ad impugnare, bensì soltanto sulla disciplina delle modalità del suo esercizio. Donde l'irrilevanza della traduzione della sentenza. Non risultano precedenti in termini. SEZIONI UNITE 3 LUGLIO 2019, N. 28912/2019 RICORRENTE I. PROCESSO. Restituzione in termini nella previgente disciplina Conoscenza del processo Notifica dell'avviso di conclusione indagini Insufficienza. Ai fini della restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale ex art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nella formulazione antecedente alla modifica intervenuta con legge n. 67 del 2014, la effettiva conoscenza del procedimento deve essere riferita all'accusa contenuta in un provvedimento formale di vocatio in iudicium tale non può ritenersi la conoscenza dell'accusa contenuta nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis cod. proc. pen., che non è di per sé sufficiente a garantire all'imputato anche quella del processo, fermo restando che l'imputato non deve avere rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione oppure non deve essersi deliberatamente sottratto a tale conoscenza. SEZIONI UNITE 3 LUGLIO 2019, N. 28911/2019 RICORRENTE P.C. in proc. S. IMPUGNAZIONI. Impugnazione della Parte civile avverso sentenza di prescrizione Ammissibilità. Nei confronti della sentenza di primo grado che dichiari l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione, così come contro la sentenza di appello che tale decisione abbia confermato, è ammessa l'impugnazione della parte civile che lamenti l'erronea applicazione della prescrizione. La pronunzia richiama il precedente delle stesse Sezioni Unite, n. 40049/08, CED 240815 secondo cui la sussistenza del carattere di concretezza dell'interesse della parte civile ad impugnare la pronuncia di proscioglimento va verificata tenendo conto degli specifici effetti favorevoli che, nella concreta vicenda, la parte civile si ripromette di ottenere dall'impugnazione e valutando se il suo accoglimento davvero le arrecherebbe una situazione di vantaggio o le eliminerebbe una situazione pregiudizievole. E, con riferimento all'ipotesi in esame, evidenzia che, in caso di accoglimento del ricorso della parte civile nei confronti di sentenza di proscioglimento, la Corte di cassazione deve annullare quest'ultima con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello giusta quanto previsto dall'art. 622 cod. proc. pen. E dunque il fatto che proprio per effetto della previsione di cui all'art. 622 cod. proc. pen., il giudizio civile non debba ricominciare dal primo grado, ma da quello di appello rappresenta in concreto un vantaggio la cui presenza dà corpo al requisito dell'interesse alla base della proposizione del ricorso. E ciò, va aggiunto, specie ove la sentenza di prescrizione non si sia semplicemente arrestata a constatare la mancanza di elementi tale da imporre l'assoluzione nel merito ex art. 129 cod. proc. pen, ma abbia accertato, sia pure solo incidentalmente, la responsabilità dell'imputato, con la conseguente possibilità di valorizzare gli elementi di prova già emersi in sede penale, pur nell'assenza di ogni efficacia di giudicato della sentenza. SEZIONI UNITE 3 LUGLIO 2019, N. 28910/2019 RICORRENTE S. ed altri REATO. Pene accessorie per le quali non è previsto un termine fisso di durata Criteri di determinazione. Le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen. La pronunzia si è resa necessaria a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 216, ultimo comma, nella parte in cui prescrive che la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa per la durata di dieci anni l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità per la stessa durata ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa , anziché la condanna per uno dei fatti previsti dal presente articolo importa l'inabilitazione all'esercizio di una impresa commerciale e l'incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni . A seguito di detta pronunzia ha assunto rilevanza la soluzione offerta dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6240/15, CED 262328, seguita dalle successive pronunce delle Sezioni semplici, per la quale rientrano nel novero delle pene accessorie di durata non espressamente determinata dalla legge penale quelle per le quali sia previsto un minimo e un massimo edittale, ovvero uno soltanto di tali limiti, con la conseguenza che la loro durata deve essere uniformata dal giudice, ai sensi dell'art. 37 cod. pen., a quella della pena principale. La Corte costituzionale, peraltro, nella motivazione della suddetta sentenza aveva ritento non praticabile la diversa opzione, suggerita nell'ordinanza di rimessione, del ricorso al criterio residuale, già esistente nel sistema e dettato dall'art. 37 cod. pen., di ancorare la durata delle sanzioni accessorie fallimentari all'entità della pena principale della reclusione questa soluzione finirebbe per sostituire un diverso automatismo a quello legale, reputato incostituzionale, con effetti distonici rispetto all'intento del legislatore storico di punire severamente gli autori di delitti di bancarotta che sono considerati gravemente lesivi degli interessi individuali e collettivi al buon funzionamento del sistema economico. Le Sezioni unite, superando il proprio precedente, hanno ritenuto di conformarsi a tali argomentazioni della Consulta attribuendo al giudice, caso per caso e senza automatismi, la determinazione della durata della pena accessorie, sulla base dei parametri di cui all'art. 133 cod. pen