RASSEGNA DELLE SEZIONI PENALI DELLA CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE UP 9 SETTEMBRE 2016, N. 3354/17 RICORRENTE P.G. IN PROC. C. MISURE DI SICUREZZA. Espulsione dal territorio dello Stato - Pericolosità sociale – Accertamento – Necessità - Fattispecie. L'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a due anni prevista dall'art. 235 c.p. costituisce una misura di sicurezza personale che trova la sua disciplina generale negli artt. 199 e ss. c.p. e che non consegue automaticamente a detta condanna ma può essere ordinata dal giudice solo ove lo stesso accerti, alla luce dei criteri posti dell'art. 133 c.p., la sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato la quale si può manifestare principalmente con la reiterazione dei fatti criminosi Nella specie, in applicazione di detto principio, la Corte è pervenuta al rigetto del ricorso del PM che lamentava l’omessa adozione della misura dell’espulsione ritenendo implicita, nella intervenuta concessione della sospensione condizionale della pena da parte del giudice di merito, la valutazione circa la prognosi negativa di assenza della pericolosità sociale . In precedenza, già nel senso che l’espulsione può essere ordinata dal giudice solo ove, con congrua e logica motivazione, accerti, alla luce dei criteri posti dall'art. 133 c.p., la sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, la quale si può manifestare principalmente con la reiterazione dei fatti criminosi, sez. IV, n. 15447/2012, CED 253507 . Nel senso, aderente alla fattispecie in esame, che la concessione del beneficio della sospensione condizionale può costituire una remora alla decisione di espulsione, e, dunque andrebbe appunto letta in senso non compatibile con la sussistenza della pericolosità, sez. III, n. 26696/11, CED 251001, secondo la quale, peraltro, non è affetta da vizio di contraddizione nella motivazione la sentenza di condanna che disponga l'espulsione dello straniero dal territorio dello Stato, e quindi ne attesti la pericolosità sociale, e che, nel contempo, sostituisca la misura cautelare della custodia carceraria con la meno grave misura degli arresti domiciliari. QUINTA SEZIONE UP 12 GIUGNO 2017, N. 34160/17 RICORRENTE I. REATI CONTRO LA PERSONA. Diffamazione – Scriminante del diritto di critica - Onere di allegazione. In tema di diffamazione, l’esercizio del diritto di critica richiede la verità del fatto attribuito e assunto a presupposto delle espressioni criticate, in quanto non può essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti mai tenuti o espressioni mai pronunciate. Ne consegue che, limitatamente alla verità del fatto, non sussiste alcuna apprezzabile differenza tra l'esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operatività sicché colui che, con riferimento alla causa di giustificazione ex art. 51 c.p., invochi la scriminante dell'esercizio del diritto di critica, non può limitarsi alla mera allegazione dell'esistenza del fatto che intende criticare, essendo invece onerato di indicare e fornire tutti gli elementi comprovanti la dedotta causa di giustificazione al fine di porre il giudice in condizione di valutare seriamente la fondatezza di tale argomento difensivo. La pronuncia ribadisce, in relazione al diritto di critica, quanto già affermato, in particolare con riferimento al diritto di cronaca infatti, nel senso che l'imputato che invochi il diritto di cronaca ha l'onere di provare la verità della notizia riportata o, quantomeno, offrire la prova della cura posta negli accertamenti svolti per vincere dubbi ed incertezze prospettabili in ordine alla verità della notizia, tra le altre, sez. V, n. 10964/2013, CED 255434 sez. V, n. 23695/10, CED 24752401 sez. V, n. 15643/05, CED 232134. SESTA SEZIONE UP 25 MAGGIO 2017, N. 32952/17 RICORRENTE F. REATI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE. Abusivo esercizio della professione di avvocato - Redazione di una consulenza in procedimento penale su carta intestata a studio legale - Insussistenza del reato - Ragioni. Non commette il reato di abusivo esercizio della professione di avvocato il soggetto che rediga una relazione di consulenza, su carta intestata studio legale, in ordine ad un procedimento penale , in quanto la consulenza non rientra tra gli atti tipici per i quali occorre una speciale abilitazione, ma è un'attività relativamente libera, solo strumentalmente connessa con la professione forense. La pronuncia ribadisce il principio già affermato da sez. VI, n. 17921/03, CED 224959 si è tuttavia anche precisato che il reato non è configurabile e sempre che tale attività non venga compiuta con modalità tali, per continuità, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato Sez. Unite, n. 11545/11, CED 251819 .