RASSEGNA DEL CONSIGLIO DI STATO

C.G.A., SEZ. GIUR. 15 SETTEMBRE 2011, N. 584 TUTELA CAUTELARE. Decisione ? Decisione immediata nel merito - Quando il G.A., adito in fase cautelare, può trattenere la causa per la decisione nel merito? Per la conversione del rito ed il trattenimento in decisione nel merito della causa direttamente dalla fase cautelare, non è sufficiente la mera comunicazione indistinta effettuata per tutte le cause chiamate per la discussione della istanza di sospensione e concernente la possibilità di una decisione nel merito della controversia. La sentenza in rassegna affronta una questione prettamente processuale, chiarendo in particolare quali sono le condizioni che abilitano il G.A., adito in fase cautelare, a trattenere la causa per la decisione nel merito. Sul punto, il Consesso afferma che, per la conversione del rito ed il trattenimento in decisione nel merito della causa direttamente dalla fase cautelare, non è sufficiente la mera comunicazione indistinta effettuata per tutte le cause chiamate per la discussione della istanza di sospensione e concernente la possibilità di una decisione nel merito della controversia CdS. 612/2004 76/2006 1328/2011 . Ciò perché questa circostanza pone la parte in difficoltà rispetto all'esercizio del proprio diritto di difesa, impedendole un pieno svolgimento di questa, anche quanto ai tempi della discussione della causa. Invero, l'assenza di uno specifico avviso priva la parte delle garanzie poste a tutela della medesima, in attuazione del principio, costituzionalmente assicurato, del contraddittorio. SEZ. III 14 SETTEMBRE 2011, N. 5130 CONTRATTI PUBBLICI. Normativa antimafia - Sulle caratteristiche delle informative prefettizie antimafia tipiche . Mentre nel caso di informativa prefettizia antimafia c.d. atipica la stazione appaltante, a seguito della informativa, conserva la potestà discrezionale di valutare autonomamente le informazioni ricevute sull'impresa, nel caso di informativa antimafia tipica la misura interdittiva deriva direttamente dall'atto emanato dal Prefetto. L'interdittiva prefettizia antimafia tipica costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione. Trattandosi di una misura a carattere preventivo, l'interdittiva comminata dal Prefetto prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell'esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente. Tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità, che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati. Quando l'interdittiva prefettizia antimafia tipica trova il suo presupposto nel rapporto di parentela dei soggetti che svolgono l'attività imprenditoriale con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata, deve essere accertata anche l'eventuale esistenza di ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre effettivi collegamenti tra i soggetti sul cui conto l'autorità prefettizia ha individuato l'esistenza di pregiudizi e l'impresa esercitata da loro congiunti. SEZ. V 12 SETTEMBRE 2011, N. 5085 GIURISDIZIONE. Giurisdizione in materia di Pubblico impiego - Procedure volontarie di mobilità esterna nel pubblico impiego decide il G.O. La mobilità volontaria prevista dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 33, come modificato dalla L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 16, integra una modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, con il consenso di tutte le parti, e quindi una cessione del contratto. Spetta al giudice ordinario risolvere una controversia in materia di procedure volontarie di mobilità esterna nel pubblico impiego. Con la sentenza in rassegna, il Consiglio di Stato chiarisce che spetta al giudice ordinario risolvere una controversia in materia di procedure volontarie di mobilità esterna nel pubblico impiego. A sostegno dell'assunto, il Consiglio rammenta che, ai sensi dell'art. 30, comma 1, del D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante cessione di contratto di lavoro dei dipendenti appartenenti alla stessa qualifica in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso passaggio diretto di personale da altre amministrazioni, fissando preventivamente i criteri di scelta . Ciò posto, si osserva che la procedura volontaria di mobilità esterna nel pubblico impiego non comporta la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro con i soggetti selezionati, ma soltanto la cessione del contratto di lavoro già in essere con la originaria amministrazione di appartenenza. Di conseguenza, il Consesso afferma che nel caso di specie sussiste la giurisdizione del giudice ordinario, come di recente ulteriormente confermato dalla Corte di Cassazione SS.UU. 9 settembre 2010, n. 19251 , secondo cui la mobilità volontaria prevista dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 33, come modificato dalla L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 16, integra una modificazione soggettiva del rapporto di lavoro, con il consenso di tutte le parti, e quindi una cessione del contratto . Infatti, in materia di riparto di giurisdizione nelle controversie relative al pubblico impiego contrattualizzato, solo le procedure selettive di tipo concorsuale per l'attribuzione a dipendenti di p.a. della qualifica superiore, che comportino il passaggio da un'area ad un'altra, hanno una connotazione peculiare e diversa, assimilabile alle procedure concorsuali per l'assunzione , e valgono a radicare - ed ampliare - la fattispecie eccettuata rimessa alla giurisdizione del giudice amministrativo di cui al comma 4, dell'art. 63 citato D.Lgs. fuori da questa ipotesi non opera detta fattispecie eccettuata del comma 4, dell'art. 63 e conseguentemente si riespande la regola del primo comma della medesima disposizione, che predica in generale la giurisdizione del giudice ordinario nelle controversie aventi ad oggetto il lavoro pubblico privatizzato, ivi incluse le procedure di mobilità volontaria interna, che comportino una mera modificazione soggettiva del rapporto di lavoro e non già la costituzione di un nuovo rapporto mediante una procedura selettiva concorsuale. SEZ. VI 12 SETTEMBRE 2011, N. 5112 LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLA P.A Assunzioni ? Principi generali - Scorrimento della graduatoria di altro concorso ancora valida ed efficace obbligo o facoltà? A fronte di una graduatoria valida ed efficace, l'Amministrazione non può trascurare, con l'indizione di una nuova procedura concorsuale, le posizioni di soggetti già in precedenza selezionati come idonei, quanto meno in carenza di valide ragioni giustificatrici ed in presenza di una graduatoria ancora efficace, non potendo ritenersi il reclutamento degli idonei giudicati tali con regolare procedura concorsuale, in rapporto all'esercizio di determinate funzioni contrastante con il principio di cui all'art. 97, terzo comma, della Costituzione e rispondendo tale reclutamento al principio di economicità dell'azione amministrativa. Tuttavia, se è vero che allo scorrimento della graduatoria non corrisponde un diritto, ma un interesse legittimo, è altrettanto vero che tale interesse deve essere rapportato alla specificità delle norme attributive del potere, o al regime corrispondente a forme di autolimitazione dell'Amministrazione. Quando lo scorrimento di una graduatoria di altro concorso ancora valida ed efficace è previsto dal bando di concorso, non come modalità gestionale di auto-organizzazione per inconferenza della sedes materiae , ma come esplicita chance occupazionale per gli idonei, in presenza di nuovi posti in organico che l'Amministrazione intenda ricoprire - ed in presenza di una graduatoria di idonei ancora efficace - detti idonei hanno titolo prioritario per l'immissione in ruolo, a meno di esigenze straordinarie, puntualmente motivate.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 febbraio - 7 ottobre 2011, n. 20689 Svolgimento del processo Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ricorre per cassazione, sulla base di quattro motivi, avverso il decreto in data 29 maggio 2009. con il quale la Corte di appello di Roma lo ha condannato al pagamento in favore di G.C., +Altri della somma di Euro 6.500,00 ciascuno, oltre agli interessi legali a decorrere dalla data del decreto, a titolo di equo indennizzo per la violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso davanti al Tar Lazio il 30 luglio 1997 e definito con sentenza del 13 novembre 2006. Gli intimati non hanno svolto difese. Motivi della decisione Con i quattro motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, il Ministero dell'Economia e delle Finanze si duole che la Corte d'appello abbia determinato in Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo il criterio di computo dell'equo indennizzo, in misura superiore al parametro applicato dalla giurisprudenza della Corte di cassazione e senza tener conto delle specifiche caratteristiche e dalle modalità concrete di svolgimento del giudizio presupposto. Il ricorso è fondato. Il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito in detto giudizio va individuato nell'importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009. Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell'uomo sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001 , gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato , e purché detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l'esigenza di offrire un'interpretazione della legge 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l'obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l'art. 6 della CEDU come interpretata dalla Corte di Strasburgo , la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata. Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenute conto che l'irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno Cass. 2009/16086 2010/819 . Il decreto impugnato deve essere dunque cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c In particolare, determinata in sei anni e quattro mesi la durata non ragionevole del giudizio presupposto, alla stregua dell'accertamento compiuto dalla Corte di merito e non censurato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, nel caso di specie si deve, riconoscere a ciascuno dei ricorrenti l'indennizzo di Euro 5.600,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il menzionato Ministero. Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall'ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa Cass. 2008/23397 2008/25352 e tenuto conto della pluralità di ricorrenti, che però nel giudizio presupposto avevano agito unitariamente cfr. Cass. 2010/10634 , con distrazione delle prime in favore del procuratore dei ricorrenti, avv. P. L., dichiaratosi antistatario. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell'Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 5.600,00, oltre agli interessi legali dalla domanda. Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore dei ricorrenti delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 3.080,00, di cui Euro 1.940,00 per competenze ed Euro 100,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore dei ricorrenti, avv. P. L., dichiaratosi antistatario. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del Ministero dell'Economia e delle Finanze delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 1.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.