RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZ. LAVORO 10 NOVEMBRE 2020, N. 25221 ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE - IN GENERE NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONI . Contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato - Distinzione dal contratto di lavoro subordinato con partecipazione agli utili dell'impresa - Criteri - Fattispecie. La riconducibilità del rapporto di lavoro al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili, esige un'indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l'obbligo del rendiconto periodico dell'associante e l'esistenza per l'associato di un rischio di impresa, il secondo comporta un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell'associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato, con assoggettamento al potere gerarchico e disciplinare di colui che assume le scelte di fondo dell'organizzazione aziendale. Nella specie, la S.C. ha reputato incensurabile l'accertamento compiuto dal giudice di merito, che aveva desunto il carattere simulato del rapporto di associazione in partecipazione dalla mancata prova della consegna del rendiconto da parte dell'associante . In argomento si veda Cassazione 24427/2015 per la quale nel caso di contratto misto di associazione in partecipazione e collaborazione di lavoro è ammissibile che le parti assumano il reddito netto dell'associante quale parametro per determinare, in percentuale, la distribuzione degli utili. Per Cassazione 2371/2015 l’art. 86, comma 2, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, non ha introdotto nel nostro ordinamento una forma di conversione legale del contratto di associazione in partecipazione in contratto a lavoro subordinato, ma ha soltanto previsto - in funzione integrativa della disciplina dell'associazione in partecipazione - che, ove detto contratto sia stato stipulato con finalità elusive delle norme di legge e di contrattazione collettiva a tutela del lavoratore, all'associato si applichino le più favorevoli disposizioni previste per il lavoratore dipendente. Infine secondo Cassazione 12816/2016 l contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente associante di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all'altro associato e l'apporto da quest'ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunanza dell'affare o dell'impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell'associante, sicché soltanto l'associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell'associato, che può unicamente pretendere, una volta che l'affare sia concluso con esito positivo, la liquidazione ed il pagamento di una somma di denaro corrispondente all'apporto ed alla quota spettante degli utili. SEZ. LAVORO 6 NOVEMBRE 2020, N. 24928 PROCEDIMENTO CIVILE - LITISCONSORZIO – FACOLTATIVO. Domanda proposta da più lavoratori contro lo stesso datore di lavoro - Litisconsorzio facoltativo improprio - Configurabilità - Scindibilità delle cause in sede di impugnazione - Sussistenza. La domanda proposta da più lavoratori nei confronti dello stesso datore di lavoro dà luogo a un litisconsorzio facoltativo improprio, nel quale permane l'autonomia dei titoli e la sentenza, formalmente unica, consta in realtà di tante pronunce quante sono le cause riunite, per loro natura scindibili, con la conseguenza che l'impugnazione proposta solo da alcune delle parti non coinvolge la posizione delle parti non impugnanti e rende inapplicabile l'art. 331 c.p.c In tema di impugnazione di decisione riguardante una pluralità di rapporti giuridici distinti ed autonomi, si veda Cassazione 804/2020, ove essa sia proposta nei confronti di alcune soltanto delle parti, l'omessa esecuzione, nel termine perentorio assegnato, dell'ordine del giudice ex art. 332 c.p.c. di eseguire la notificazione nei confronti delle altre determina, venendo in rilievo un litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, l'estinzione del processo limitatamente ai soggetti destinatari del rinnovo della notifica, non potendo il detto ordine avere riflesso sugli altri. Per Cassazione 9773/2017 in presenza di cause scindibili, la sentenza di primo grado, pur essendo unica, ha, in realtà, deciso su distinti rapporti giuridici, sicché, laddove l’impugnazione sia stata proposta soltanto da o nei confronti di una o alcune parti, il giudice deve ordinare, ai sensi dell’art. 332 c.p.c., la notificazione dell’impugnazione, ai fini della litis denuntiatio”, anche alle parti nei cui confronti l’impugnazione non è preclusa o esclusa, per consentire loro di proporre eventualmente appello incidentale, mentre l’omessa esecuzione della notificazione ordinata dal giudice determina soltanto la sospensione del processo fino a che non siano scaduti i termini, previsti dagli artt. 325 e 327 c.p.c., per i soggetti che non l’abbiano ricevuta. SEZ. LAVORO 2 NOVEMBRE 2020, N. 24206 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - IN GENERE. Congedi parentali per assistenza dei congiunti disabili - Disciplina anteriore e successiva all’entrata in vigore del comma 5 quinquies dell’art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001 - Computabilità ai fini della tredicesima - Esclusione - Fondamento - Trattamento discriminatorio - Insussistenza. L'esclusione della computabilità dei congedi parentali per l'assistenza ai disabili ai fini della tredicesima operava anche prima dell'entrata in vigore della previsione espressa di cui al comma 5 quinquies dell'art. 42 del d.lgs. n. 151 del 2001, perché il richiamo al trattamento economico di maternità, di cui al comma 5 dell'art. 42 vigente ratio temporis , andava riferito alle sole modalità di pagamento e non anche alla portata giuridica ed economica dello stesso, nè il mancato computo di tali congedi ai fini degli istituti accessori ingenera una discriminazione in relazione al diverso trattamento previsto per le ipotesi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità, in quanto la diversità dei presupposti fattuali degli istituti giustifica il differente esercizio della discrezionalità legislativa. In argomento si veda Cassazione 14187/2017 per la quale i permessi di cui all’art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992 nella specie accordati per l’assistenza a genitore portatore di handicap , fondati sulla tutela dei disabili prevista dalla normativa interna artt. 2, 3 e 38 Cost. ed internazionale direttiva n. 2000/78/CE e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con l. n. 18 del 2009 , concorrono alla determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato, in quanto il diritto alle ferie, assicurato dall’art. 36 Cost., garantisce il ristoro delle energie a fronte della prestazione lavorativa svolta e ciò si rende necessario anche in caso di assistenza ad un invalido, che comporta un aggravio in termini di dispendio di energie fisiche e psichiche. Per Cassazione 17968/2016 il permesso ex art. 33 della l. n. 104 del 1992 è riconosciuto al lavoratore in ragione dell'assistenza al disabile, rispetto alla quale l'assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, senza che il dato testuale e la ratio della norma ne consentano l'utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l'abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell'Ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari. In tema di limitazione della computabilità, ai fini della tredicesima mensilità o della gratifica natalizia, dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si veda Cassazione 15435/2014. SEZ. LAVORO 2 NOVEMBRE 2020, N. 24201 IMPIEGO PUBBLICO - IN GENERE NATURA, CARATTERI, DISTINZIONI . Pubblico impiego privatizzato - Stabilizzazione - Procedura selettiva superata nel servizio pre-ruolo - Progressione economica pregressa - Riconoscimento - Fondamento. Nel pubblico impiego privatizzato, al lavoratore stabilizzato va riconosciuta la progressione economica raggiunta all'esito del superamento di una procedura selettiva espletata durante il servizio pre-ruolo, sia in quanto la deroga che la stabilizzazione determina rispetto alla regola del pubblico concorso è giustificata proprio dalla sua funzione di valorizzazione delle esperienze professionali pregresse, sia perché la clausola 4 dell'Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CEE impone di non operare discriminazioni tra i dipendenti stabilizzati e quelli assunti ab origine a tempo indeterminato. In materia di impiego pubblico contrattualizzato, per Cassazione 27950/2017 al lavoratore collocato in ruolo a seguito della procedura di stabilizzazione prevista ex l. n. 296 del 2006, deve essere riconosciuta l’anzianità di servizio maturata precedentemente all'acquisizione dello status” di lavoratore a tempo indeterminato, allorché le funzioni svolte siano identiche a quelle precedentemente esercitate nell’ambito del contratto a termine, non potendo ritenersi, in applicazione del principio di non discriminazione, che lo stesso si trovasse in una situazione differente a causa del mancato superamento del concorso pubblico per l’accesso ai ruoli della P.A., mirando le condizioni di stabilizzazione fissate dal legislatore proprio a consentire l’assunzione dei soli lavoratori a tempo determinato la cui situazione poteva essere assimilata a quella dei dipendenti di ruolo. In argomento si veda il principio affermato da Cassazione 15231/2020 per la quale la clausola 4 dell'Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato, recepito dalla direttiva 99/70/CE, di diretta applicazione, impone al datore di lavoro pubblico di riconoscere, ai fini della progressione stipendiale e degli sviluppi di carriera successivi al 10 luglio 2001, l'anzianità di servizio maturata sulla base di contratti a tempo determinato, nella medesima misura prevista per il dipendente assunto ab origine a tempo indeterminato, fatta salva la ricorrenza di ragioni oggettive che giustifichino la diversità di trattamento tale principio è applicabile anche nell'ipotesi in cui il rapporto a termine sia anteriore all'entrata in vigore della direttiva perché, in assenza di espressa deroga, il diritto dell'Unione si applica agli effetti futuri delle situazioni sorte nella vigenza della precedente disciplina.