RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZ. LAVORO SENTENZA 17 SETTEMBRE 2020, N. 19419 IMPIEGO PUBBLICO - IMPIEGATI DELLO STATO - IN GENERE. Mansioni accessorie inferiori - Adibizione - Esigibilità - Limiti - Fondamento - Fattispecie. Nel pubblico impiego privatizzato, il lavoratore può essere adibito a mansioni accessorie inferiori rispetto a quelle di assegnazione, a condizione che sia garantito al lavoratore medesimo lo svolgimento, in misura prevalente e assorbente, delle mansioni proprie della categoria di appartenenza, che le mansioni accessorie non siano completamente estranee alla sua professionalità e che ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro pubblico, restando ininfluente che la P.A., nell'esercizio della discrezionalità amministrativa, non abbia provveduto alla integrale copertura degli organici per il profilo inferiore, venendo in rilievo il dovere del lavoratore di leale collaborazione nella tutela dell'interesse pubblico sotteso all'esercizio della sua attività. In applicazione del suddetto principio, è stato escluso il demansionamento ai danni del dipendente di un'azienda sanitaria, inquadrato come operatore tecnico specializzato con mansioni di autista di ambulanza, che aveva prestato collaborazione nelle attività di soccorso del servizio 118 una volta alla settimana ed aveva coadiuvato l'unico operatore sanitario nella preparazione della barella e nel trasporto dell'ammalato . Ai fini della verifica del legittimo esercizio dello ius variandi da parte del datore di lavoro, per Cassazione 8910/2019 l'attività prevalente ed assorbente svolta dal lavoratore deve rientrare tra quelle previste dalla categoria di appartenenza, ma il lavoratore, per motivate e contingenti esigenze aziendali, può essere adibito anche a compiti inferiori purché marginali rispetto a quelli propri del suo livello. In tema di pubblico impiego privatizzato, secondo Cassazione 18817/2018 l'art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, assegna rilievo solo al criterio dell'equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare la natura equivalente della mansione, non potendosi avere riguardo alla norma generale di cui all'art. 2103 c.c. In argomento si veda altresì Cassazione 18602/2009 per la quale in materia di pubblico impiego privatizzato, non è configurabile un diritto del lavoratore subordinato a pretendere che il datore di lavoro non conferisca talune mansioni a dipendenti di qualifica inferiore, attesa l'assenza di un obbligo, in capo al datore, di farle svolgere in via esclusiva ai dipendenti in possesso di determinate professionalità, potendosi realizzare una lesione di interessi tutelati solo ove la concreta operatività del sistema abbia incidenza negativa, anche indiretta, su rilevanti aspetti quantitativi o qualitativi della prestazione di lavoro del dipendente di qualifica superiore ovvero sui pregressi livelli retributivi. SEZ. LAVORO 8 SETTEMBRE 2020, N. 18662 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO TUTELA REALE . Lavoratore in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia - Recedibilità ad nutum - Sufficienza - Esclusione - Conseguimento del trattamento pensionistico - Necessità - Fondamento - Fattispecie. La possibilità del recesso ad nutum , con sottrazione del datore all'applicabilità del regime dell'art. 18 st.lav., è condizionata non alla mera maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi idonei per la pensione di vecchiaia, ma al momento in cui la prestazione previdenziale è giuridicamente conseguibile dall'interessato, ai sensi dell'art. 12, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, conv. con modif. nella l. n. 122 del 2010. Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che, con riguardo a un lavoratore che aveva maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia il 1° aprile 2011, aveva considerato legittimo il recesso del datore di lavoro con decorrenza da tale data, anziché dopo dodici mesi dalla stessa, secondo quanto disposto dall'art. 12 del d.l. n. 78 del 2010 . Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 13181/2018 e Cassazione 6157/2018 per la quale nell'ambito del rapporto di lavoro privato, il compimento dell'età pensionabile da parte del lavoratore non ha effetti risolutivi automatici, ma determina l'inizio del regime di recedibilità ad nutum , attribuendo al datore di lavoro il potere di far cessare immediatamente il rapporto, purché il lavoratore, fuori dall'ipotesi di recesso per giusta causa, abbia avuto la possibilità di giovarsi del periodo di preavviso grazie a una tempestiva intimazione del licenziamento ai sensi dell'art. 2118 c.c., valida anche se intervenuta durante il periodo di recedibilità causale è pertanto legittimo, e non dà diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, il licenziamento intimato prima del raggiungimento dell'età pensionabile, ma destinato a produrre effetto solo a decorrere da tale data. In argomento si veda altresì Cassazione 1743/2017 per la quale la comunicazione del datore di lavoro di collocamento a riposo del dipendente, in forza di clausola contrattuale di automatica risoluzione del rapporto lavorativo al raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, non integra un'ipotesi di licenziamento, ma esprime solo la volontà datoriale di avvalersi di un meccanismo risolutivo previsto in sede di autonomia negoziale, sicché, in siffatta ipotesi, non compete al lavoratore il diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, in assenza delle finalità sottese all'art. 2118 c.c.