RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 26 SETTEMBRE 2019 N. 24100 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - A TEMPO DETERMINATO - IN GENERE. Indennità prevista dall'art. 32, comma 5, della l. numero 183 del 2010 - Ambito di applicazione - Contratto di collaborazione a progetto illegittimo - Inclusione - Fondamento. Il regime indennitario istituito dall'art. 32, comma 5, della l. numero 183 del 2010, si applica anche al contratto di collaborazione a progetto illegittimo, quale fattispecie in cui ricorrono le condizioni della natura a tempo determinato del contratto di lavoro e della presenza di un fenomeno di conversione. In argomento si veda Cassazione 20500/2018 per la quale l'indennità prevista dall'art. 32 della l. numero 183 del 2010, nel significato chiarito dall'art. 1, comma 13, della l. numero 92 del 2012, si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell'illegittimità di un contratto di lavoro autonomo a termine, convertito in contratto a tempo indeterminato, poiché la predetta indennità consegue a qualsiasi ipotesi di riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in sostituzione di altra fattispecie contrattuale a tempo determinato. In tema di contratto di lavoro a progetto, per Cassazione 5418/2019, la definizione legale di cui all'art. 61 del d.lgs. numero 276 del 2003 richiede la riconducibilità dell'attività ad un progetto o programma specifico - senza alcuna differenza concettuale tra i due termini - il cui contenuto, sebbene non inerente ad una attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto alla ordinaria attività di impresa, sia comunque suscettibile di una valutazione distinta da una routine ripetuta e prevedibile, dettagliatamente articolato ed illustrato con la preventiva individuazione di azioni, tempi, risorse, ruoli e aspettative di risultato, e dunque caratterizzato da una determinata finalizzazione, anche in termini di quantità e tempi di lavoro. SEZIONE LAVORO 24 SETTEMBRE 2019 N. 23789 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTIFICATO MOTIVO – OBIETTIVO. Presupposti - Obbligo di repêchage - Contenuto - Oneri di allegazione e prova del datore - Prova del fatto negativo - Modalità - Fattispecie. In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ai fini all'adempimento dell'obbligo di repêchage , la dimostrazione del fatto negativo costituito dall'impossibile ricollocamento del lavoratore può essere data dal datore di lavoro con la prova di uno specifico fatto positivo contrario o mediante presunzioni dalle quali possa desumersi quel fatto negativo. Nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento per la mancata prova dell'inesistenza di posizioni nelle quali poter ricollocare il lavoratore per ognuno degli appalti gestiti dal datore e per l'omessa indicazione della qualifica di inquadramento dei nuovi assunti, necessaria per valutare la fungibilità delle relative mansioni con quelle svolte dal lavoratore licenziato . In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per Cassazione 12794/2018, sebbene non sussista un onere del lavoratore di indicare quali siano i posti disponibili in azienda ai fini del repêchage , gravando la prova della impossibilità di ricollocamento sul datore di lavoro, una volta accertata, anche attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti, tale impossibilità, la mancanza di allegazioni del lavoratore circa l'esistenza di una posizione lavorativa disponibile vale a corroborare il descritto quadro probatorio. In argomento si veda altresì Cassazione 24882/2017 per la quale ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’art. 3 della l. numero 604 del 1966 richiede a la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso b la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali - insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati - diretti ad incidere sulla struttura e sull'organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività c l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili. SEZIONE LAVORO 23 SETTEMBRE 2019 N. 23583 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - IN GENERE. Licenziamento per ritorsione - Onere della prova a carico del lavoratore - Valutazione presuntiva in base al complesso degli elementi acquisiti - Ammissibilità - Fattispecie. L'onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento grava sul lavoratore, ben potendo, tuttavia, il giudice di merito valorizzare a tal fine tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, dopo avere escluso la sussistenza in concreto del giustificato motivo, aveva posto in relazione tra loro gli elementi indiziari acquisiti al giudizio, unitamente alla circostanza della contiguità temporale tra il rientro dalla malattia del lavoratore e l'intimazione del recesso, così ritenendo - secondo una valutazione dell' id quod pletumque accidit - che l'iniziativa datoriale non trovasse altra plausibile spiegazione se non nella rappresaglia per la lunga malattia . In argomento si veda altresì la recente Cassazione 9468/2019 per la quale in tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l'unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all'applicazione della tutela prevista dall'art. 18, comma 1, st.lav. novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento. In senso conforme si veda altresì Cassazione 26035/2018 per la quale l'allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall'onere di provare, ex art. 5 della l. numero 604 del 1966, l'esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo del recesso solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore l'onere di dimostrare l'illiceità del motivo unico e determinante del recesso.