RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 17 SETTEMBRE 2019 N. 23105 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - CONTRATTO COLLETTIVO - DISCIPLINA EFFICACIA - DURATA – DENUNZIA. Contratto collettivo aziendale - Durata non predeterminata - Facoltà di recesso unilaterale - Sussistenza - Diritti del personale - Mantenimento - Condizioni. Qualora il contratto collettivo non abbia un predeterminato termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione ve estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all'esigenza di evitare - nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto - la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione. Tra i precedenti in argomento si veda Cassazione 24268/13 per la quale il contratto collettivo, senza predeterminazione di un termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, purché sia esercitato nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell'esecuzione del contratto e non vengano lesi i diritti intangibili dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole ed entrati in via definitiva nel loro patrimonio. In senso conforme si veda altresì Cassazione 28456/18 per la quale qualora un contratto collettivo di diritto comune venga stipulato a tempo indeterminato, senza l'indicazione di un termine di scadenza, le parti sono libere di recederne unilateralmente, salva la valutazione dell'idoneità del singolo atto ad assumere valore di disdetta. SEZIONE LAVORO 13 SETTEMBRE 2019 N. 22932 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - A TEMPO DETERMINATO - IN GENERE. Contratto di lavoro a termine - Disciplina straniera meno favorevole - Applicabilità - Esclusione - Limite dell'ordine pubblico internazionale - Sussistenza - Ragioni - Fattispecie. In tema di contratto di lavoro a termine, la disciplina straniera, sebbene richiamata dalle parti quale lex contractus , non può trovare applicazione se meno favorevole per il lavoratore rispetto alla legge italiana applicabile quale lex fori , determinandosi, in caso contrario, la violazione del limite dell'ordine pubblico internazionale nella cui nozione, anche in considerazione della normativa dell'Unione Europea, rientrano la centralità dell'impiego stabile e la limitazione all'utilizzo del lavoro precario. Fattispecie verificatasi sotto la vigenza della l. n. 230 del 1962 che non consentiva, contrariamente alla legge inglese richiamata dalle parti, la acausalità e la reiterazione di contratti a termine . Ai fini del diritto internazionale privato italiano, per Cassazione 1302/13, la domanda con la quale il lavoratore chiede dichiararsi l'illegittimità del licenziamento e la reintegra nel posto di lavoro, in relazione ad un rapporto di lavoro che sia sorto all'estero, che all'estero abbia avuto esecuzione e ivi si sia risolto, introduce una controversia relativa ad obbligazioni contrattuali ai sensi dell'art. 57 della legge 31 maggio 1995, n. 218. Pertanto la legge applicabile a tale controversia dev'essere individuata secondo le disposizioni della Convenzione di Roma del 19 giugno 1980, resa esecutiva con legge 18 dicembre 1984, n. 975. In argomento si vedano Sezioni Unite 10994/2002 per le quali l'art. 57 della legge 31 maggio 1995, n. 218, nel prevedere che le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla convenzione di Roma 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili , è norma di diritto internazionale privato e, come tale, non regola la giurisdizione, ma, all'interno della giurisdizione italiana, è diretta ad individuare la legge sostanziale, italiana o straniera, applicabile ai rapporti di diritto privato che presentino elementi di estraneità.