RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 11 FEBBRAIO 2019 N. 3896 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - SUBORDINAZIONE - SANZIONI DISCIPLINARI. Irrogabilità - Potere esclusivo del datore di lavoro - Limiti - Possibilità di riduzione, da parte del giudice, in caso di opposizione del lavoratore alla sanzione inflitta - Ammissibilità - Condizioni - Legittimazione del datore di lavoro di richiedere in sede giudiziale la mitigazione della sanzione adottata perché eccessiva - Sussistenza - Fondamento - Fattispecie. Il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell'illecito accertato rientra nel potere di organizzazione dell'impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost., onde è riservato esclusivamente al titolare di esso ne consegue che è precluso al giudice, chiamato a decidere circa la legittimità di una sanzione irrogata, esercitarlo anche solo procedendo ad una rideterminazione della sanzione stessa riducendone la misura. Solo nel caso in cui l'imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, soltanto in una riconduzione a tale limite, ovvero nel caso in cui sia lo stesso datore di lavoro, costituendosi nel giudizio di annullamento della sanzione, a chiederne la riduzione, è consentito al giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, applicare una sanzione minore, poiché in tal modo non è sottratta autonomia all'imprenditore e si realizza l'economia di un nuovo ed eventuale giudizio valutativo, avente ad oggetto la sanzione medesima nella specie, la S.C. ha ritenuto che la società datrice, mediante la generica richiesta di una valutazione anche diversa della congruità della sanzione rispetto al fatto - priva di indicazione circa la diversa misura disciplinare irrogabile in via alternativa -, avesse demandato al giudice una valutazione discrezionale di proporzionalità tra condotta e sanzione da irrogare, e, quindi, in concreto, la scelta della misura disciplinare da adottare, così in sostanza sollecitando l'esercizio di quel potere disciplinare che è invece precluso al giudice . In senso conforme si veda Cassazione n. 144/08 per la quale in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, la sanzione disciplinare deve essere proporzionale alla gravità dei fatti contestati sia in sede di irrogazione della sanzione da parte del datore nell'esercizio del suo potere disciplinare, avuto riguardo alle ragioni che lo hanno indotto a ritenere grave il comportamento del dipendente, sia da parte del giudice del merito, il cui apprezzamento della legittimità e congruità della sanzione applicata, se sorretto da adeguata e logica motivazione, si sottrae a censure in sede di legittimità. In tema di licenziamento disciplinare, per Cassazione n. 25534/18, qualora vi sia sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta in addebito non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa in tal caso il difetto di proporzionalità ricade, difatti, tra le altre ipotesi di cui all'art. 18, comma 5, st. lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, l. n. 92/2012, in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento ed è accordata la tutela indennitaria cd. forte. SEZIONE LAVORO 8 FEBBRAIO 2019 N. 2822 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - IN GENERE. Causa della risoluzione del rapporto - Licenziamento orale o dimissioni del lavoratore - Contrapposizione in giudizio delle due ipotesi - Accertamento - Distribuzione dell'onere probatorio tra lavoratore e datore di lavoro - Conseguenze. Il lavoratore che impugni il licenziamento allegandone l'intimazione senza l'osservanza della forma scritta ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa nell'ipotesi in cui il datore eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore e all'esito dell'istruttoria - da condurre anche tramite i poteri officiosi ex art. 421 c.p.c. - perduri l'incertezza probatoria, la domanda del lavoratore andrà respinta in applicazione della regola residuale desumibile dall'art. 2697 c.c In argomento si veda Cassazione n. 25847/18, qualora il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio la inefficacia o invalidità di tale licenziamento, mentre il datore di lavoro deduca la sussistenza di dimissioni del lavoratore, il materiale probatorio deve essere raccolto, da parte del giudice di merito, tenendo conto che, nel quadro della normativa limitativa dei licenziamenti, la prova gravante sul lavoratore è limitata alla sua estromissione dal rapporto, mentre la controdeduzione del datore di lavoro assume la valenza di un'eccezione in senso stretto, il cui onere probatorio ricade sull'eccipiente ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c Per Cassazione n. 5061/2016, qualora l'estinzione del rapporto per licenziamento sia circostanza incontroversa tra le parti, rimanendo dubbie le modalità dello stesso, si verifica un'inversione dell'onere probatorio, sicché è il datore di lavoro a dover dimostrare la sussistenza di tutti i requisiti formali e di efficacia del recesso, che afferma di avere ritualmente intimato, e, non adempiendovi, il licenziamento rimane illegittimo. Nei rapporti sottratti al regime della tutela reale di cui all'art. 18 l. n. 300/1970, come modificato dall'art. 1 della legge n. 108 del 1990, secondo Cassazione n. 11946/2005, il licenziamento orale non produce effetti sulla continuità del rapporto di lavoro e non è applicabile la disciplina sanzionatoria dettata dall'art. 8 l. n. 604/1966 per la diversa ipotesi di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, ma, nel caso di difetto di attuazione della prestazione lavorativa imputabile al datore di lavoro, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, normalmente quantificabile con riferimento alle retribuzioni perse, per la determinazione del quale deve essere valutata sia l'incidenza di un eventuale successivo licenziamento formale idoneo a produrre ex nunc effetti risolutivi del rapporto, sia la tempestiva deduzione dell' aliunde perceptum .