RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 12 OTTOBRE 2018 N. 25543 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - DONNE - IN GENERE. Discriminazioni basate sul sesso - Rimedi giudiziali - Disciplina dell'onere probatorio - Alleggerimento in favore del ricorrente - Prospettazione di elementi di fatto precisi e concordanti, anche se non gravi - Necessità - Conseguenze - Presunzione circa l'esistenza di comportamenti discriminatori. In tema di comportamenti datoriali discriminatori, l'art. 40 d.lgs. n. 198/2006 - nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria, promossi dal lavoratore ovvero dal consigliere di parità - non stabilisce un'inversione dell'onere probatorio, ma solo un'attenuazione del regime probatorio ordinario in favore del ricorrente, prevedendo a carico del datore di lavoro, in linea con quanto disposto dall'art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 luglio 2011, C-104/10 , l'onere di fornire la prova dell'inesistenza della discriminazione, ma a condizione che il ricorrente abbia previamente fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, anche se non gravi, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso. Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 14206/2013. Per Cassazione 28147/2005 l'accertamento relativo all'esistenza all'interno di una azienda di trattamento discriminatorio nei confronti di alcuni dei dipendenti per ragioni di sesso discriminazione relativa, nella specie, alla progressione in carriera , è volto a verificare, alla stregua di quanto previsto dall'art. 1 l. n. 125/1991, se siano stati adottati criteri idonei a svantaggiare in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell'uno o dell'altro sesso, riguardanti requisiti non essenziali per lo svolgimento dell'attività lavorativa, e si traduce in un apprezzamento in fatto, non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. Sul tema si veda altresì Cassazione 23286/2016 per la quale in relazione alla tutela contro le molestie sessuali nel rapporto di lavoro, l'equiparazione alle discriminazioni di genere enunciata nell'art. 26, comma 2, d.lgs. n. 198/2006, secondo l'interpretazione più conforme alle finalità proprie del diritto comunitario, si estende al regime probatorio presuntivo ex art. 40 del medesimo decreto, sia per l'assenza di deroghe al principio generale, sia per la configurabilità del tertium comparationis nel trattamento differenziale negativo rispetto ai lavoratori del diverso genere che non patiscono le medesime condotte. SEZIONE LAVORO 12 OTTOBRE 2018 N. 25535 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - DIRITTO ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO - INFORTUNI E MALATTIE – COMPORTO. Superamento del periodo di comporto - Recesso del datore di lavoro - Tempestività - Valutazione - Criteri - Fattispecie. A differenza del licenziamento disciplinare, che postula l'immediatezza del recesso a garanzia della pienezza del diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia, l'interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con quella del datore di lavoro a disporre di un ragionevole spatium deliberandi , in cui valutare convenientemente la sequenza di episodi morbosi del lavoratore, ai fini di una prognosi di sostenibilità delle sue assenze in rapporto agli interessi aziendali ne consegue che, in tale caso, il giudizio sulla tempestività del recesso non può conseguire alla rigida applicazione di criteri cronologici prestabiliti, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice deve compiere caso per caso, apprezzando ogni circostanza al riguardo significativa. Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva evinto la volontà abdicativa del diritto di recesso da parte del datore, oltre che dal ritardo nella comunicazione del licenziamento, dall'accettazione del rientro in servizio e della prestazione lavorativa per un breve lasso di tempo, nonché dal riconoscimento di un ulteriore periodo di ferie e dalla fissazione della visita di sorveglianza sanitaria del dipendente . Identico principio di diritto è affermato da Cassazione 7037/2011. In senso conforme si veda altresì Cassazione 23920/2010 per la quale la tempestività del recesso conseguente al superamento del periodo di comporto deve essere considerata in relazione all'esigenza di un ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa convenientemente valutare nel suo complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore in rapporto agli interessi dell'azienda. Ne consegue che il giudizio sulla tempestività, o meno, del recesso non può conseguire alla rigida e meccanica applicazione di criteri temporali prestabiliti, ma va condizionato, invece, ad una compiuta considerazione di ogni significativa circostanza idonea a incidere sulla valutazione datoriale circa la sostenibilità, o meno, delle assenze del lavoratore in rapporto con le esigenze dell'impresa, in un'ottica delle relazioni aziendali improntata ai canoni della reciproca lealtà e della buona fede, che comprendono, fra l'altro, la possibilità, rimessa alla valutazione dello stesso imprenditore nell'ambito delle funzioni e delle garanzie di cui all'art. 41 Cost., di conservazione del posto di lavoro anche oltre il periodo di tutela predeterminato dalle parti collettive, compatibilmente con le esigenze di funzionamento dell'impresa. In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto si veda infine Cassazione 20761/2018 per la quale tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in quello del succedersi di diversi episodi morbosi cosiddetta eccessiva morbilità , la risoluzione del rapporto costituisce la conseguenza di un caso di impossibilità parziale sopravvenuta dell'adempimento, in cui il dato dell'assenza dal lavoro per infermità ha una valenza puramente oggettiva non rileva, pertanto, la mancata conoscenza da parte del lavoratore del limite cd. esterno del comporto e della durata complessiva delle malattie e, in mancanza di un obbligo contrattuale in tal senso, non costituisce violazione da parte del datore di lavoro dei principi di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto la mancata comunicazione al lavoratore dell'approssimarsi del superamento del periodo di comporto, in quanto tale comunicazione servirebbe in realtà a consentire al dipendente di porre in essere iniziative, quali richieste di ferie o di aspettativa, sostanzialmente elusive dell'accertamento della sua inidoneità ad adempiere l'obbligazione.