RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 5 APRILE 2016 N. 6575 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - IN GENERE. Licenziamento discriminatorio - Nullità - Fondamento - Licenziamento per ritorsione - Differenze - Motivo economico concorrente - Irrilevanza - Fattispecie. La nullità del licenziamento discriminatorio discende direttamente dalla violazione di specifiche norme di diritto interno, quali l'art. 4 della l. n. 604 del 1966, l'art. 15 st.lav. e l'art. 3 della l. n. 108 del 1990, nonché di diritto europeo, quali quelle contenute nella direttiva n. 76/207/CEE sulle discriminazioni di genere, sicché, diversamente dall'ipotesi di licenziamento ritorsivo, non è necessaria la sussistenza di un motivo illecito determinante ex art. 1345 c.c., né la natura discriminatoria può essere esclusa dalla concorrenza di un'altra finalità, pur legittima, quale il motivo economico. Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito sulla natura discriminatoria di un licenziamento che conseguiva la comunicazione della dipendente di volersi assentare per sottoporsi ad un trattamento di fecondazione assistita . Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 24648/2015 per la quale il divieto di licenziamento discriminatorio, sancito dall'art. 4 della legge n. 604 del 1966, dall'art. 15 st.lav. e dall'art. 3 della legge n. 108 del 1990, è suscettibile - in base all'art. 3 Cost. e sulla scorta della giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di diritto antidiscriminatorio e antivessatorio, in particolare, nei rapporti di lavoro, a partire dalla introduzione dell'art. 13 nel Trattato CE, da parte del Trattato di Amsterdam del 1997 - di interpretazione estensiva, sicché l'area dei singoli motivi vietati comprende anche il licenziamento per ritorsione o rappresaglia, ossia dell'ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore quale unica ragione del provvedimento espulsivo, essendo necessario, in tali casi, dimostrare, anche per presunzioni, che il recesso sia stato motivato esclusivamente dall'intento ritorsivo. Per Cassazione 10834/2015 in tema di licenziamento, laddove vengano in considerazione profili discriminatori o ritorsivi nel comportamento datoriale, il giudice, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata e non in contrasto con la normativa comunitaria, deve tenerne conto senza distinguere tra accertamento della giusta causa e quello avente ad oggetto la verifica della volontà datoriale, sicché, ove risulti che la condotta del datore di lavoro sia univocamente motivata da un intento ritorsivo o discriminatorio nei confronti del lavoratore nella specie, in ragione dell'attività sindacale del lavoratore diretta a contrastare una prassi aziendale che imponeva agli autisti di lavorare oltre i limiti di orario e di peso del carico trasportato , è illegittimo il licenziamento disposto quale conseguenza del cumulo di pluralità di sanzioni, tanto più in assenza di addebiti idonei a giustificare, di per sé, il recesso.