RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 23 DICEMBRE 2014, N. 27303 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - INDENNITÀ - DI TRASFERTA E MISSIONE. Lavoro fuori dalla sede prestabilita - Lavoro in una sede stabile, ma all’estero - Regime fiscale applicabile. Le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori che svolgono la propria attività presso una sede di lavoro stabile, ma all’estero, sono soggette alle ritenute solamente per la parte eccedente l’importo giornaliero di lire 150.000, ai sensi dell’art. 51, comma 5, del Dpr 917/1986, risultando inapplicabile il successivo comma 6, che si riferisce, invece, all’ipotesi in cui la normale attività lavorativa sia espletata, in base alle previsioni contrattuali, al di fuori di una sede di lavoro prestabilita, in luoghi sempre variabili e diversi. In argomento si veda Cassazione 22440/2014 per la quale l’indennità di missione prevista dall’art. 40, ultimo comma, della legge 195/1958, come sostituito dall’art. 7 della 1/1981, corrisposta ai componenti del Consiglio di presidenza della Corte dei conti, ha natura mista in quanto destinata in parte a rimborsare le spese sostenute per le trasferte di lavoro ed in parte a remunerare l’attività svolta del maggior disagio derivante dalla trasferta ed è, quindi, riconducibile non agli artt. 52, comma 1, lett. b , e 50, comma 1, lett. g , disposizioni eccezionali e non suscettibili di interpretazione analogica, ma all’art. 51, comma 5, del Dpr 917/1986, che, in via generale e forfettaria, stabilisce i limiti quantitativi entro i quali le somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità di trasferta sono esenti da tassazione ed oltre i quali, invece, concorrono alla formazione del reddito, a nulla rilevando la facoltà di scelta tra l’indennità forfettaria ed il rimborso a piè di lista, in quanto in caso di opzione per la prima, il trattamento tributario è quello previsto, in generale, dal citato art. 51, comma 5. Per Cassazione 396/2012 l’art. 51, sesto comma, del testo unico delle imposte sui redditi - in cui si prevede che le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre diversi, pur se corrisposte con continuità, concorrano a formare il reddito, anche a fini contributivi, nella misura del cinquanta per cento - si riferisce, testualmente e per lo scopo perseguito, al caso in cui la normale attività lavorativa si debba svolgere contrattualmente al di fuori di una sede di lavoro prestabilita, ancorché l’assunzione del dipendente sia avvenuta per una determinata sede, e ha riguardo al pagamento di un’indennità o maggiorazione erogata in ragione di questa caratteristica, anche se non in giorni quali ferie o malattia, e anche se in misura variabile in relazione alle località di volta in volta assegnate. SEZIONE LAVORO 18 DICEMBRE 2014, N. 26741 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – DISCIPLINARE. Recidiva prevista dalla contrattazione collettiva come motivo di licenziamento - Valutazione in concreto della gravità dei singoli fatti addebitati - Potere del giudice ai fini dell’accertamento della proporzionalità della sanzione - Sussistenza. La previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva, in relazione a precedenti mancanze, come ipotesi di licenziamento non esclude il potere-dovere del giudice di valutare la gravità dell’addebito ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva, ai sensi degli artt. 3 della legge 604/1966, 2119 cc e 7 della legge 300/1970. Per Cassazione 14041/2002, gli artt. 3 della legge 604/1966, 2119 cc e 7 della legge 300/1970, che costituiscono norme inderogabili in favore del lavoratore come contraente più debole, prevedono per il lavoratore, nei cui confronti debba essere applicata una sanzione disciplinare e, tra queste, il licenziamento il principio della proporzionalità della sanzione all’infrazione commessa e quello della difesa. Ne consegue che sono nulle, per contrasto con norme imperative di legge, le clausole della contrattazione collettiva che prevedano l’applicazione automatica di una sanzione disciplinare conservativa o espulsiva che prescinda dalla valutazione della sua proporzionalità rispetto alla infrazione commessa dal lavoratore, sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto quello oggettivo la previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva in relazione a precedenti mancanze come ipotesi di licenziamento non esclude quindi il potere - dovere del giudice di valutare la gravità dell’addebito ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva. In argomento si veda Cassazione 21213/2005 per la quale la verifica giudiziale sulla correttezza del procedimento disciplinare in tutte le sue fasi e sulla sussistenza del presupposto della giusta causa di licenziamento - riguardo ai profili valutati nel giudizio di merito, siccome applicativi di norme elastiche - è soggetta a controllo di legittimità al pari di ogni altro giudizio fondato su qualsiasi norma di legge. Nell’esprimere il giudizio di valore necessario per integrare una norma elastica, il giudice di merito compie un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa, per cui dà concretezza a quella parte mobile della disposizione che il legislatore ha voluto tale onde adeguarla ad un determinato contesto storico. Conseguentemente, la valutazione di conformità dei giudizi di valore espressi dal giudice di merito per la funzione integrativa che essi hanno delle regole giuridiche spetta al giudice di legittimità nell’ambito della funzione nomofilattica che l’ordinamento ad essa affida. Inoltre, ove le ragioni addotte dal giudice di merito per pervenire ad una decisione sanzionante la validità di un licenziamento, assunta sulla base di un procedimento disciplinare di cui sia stata contestata la legittimità, siano state sviluppate giusta un percorso argomentativo caratterizzato da carenze motivazionali, il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica della correttezza dell’aspetto formale, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa e, comunque, spetta al giudice di legittimità il controllo sulla logicità della motivazione della decisione del giudice di merito.