RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 29 OTTOBRE 2013 N. 24335 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - DEL RAPPORTO A TEMPO DETERMINATO - IN GENERE. Lavoro dirigenziale a termine - Licenziamento illegittimo - Risarcimento del danno subito - Commisurazione alle retribuzioni perse fino alla scadenza del contratto - Legittimità - Indennità sostitutiva del preavviso - Spettanza - Esclusione - Fondamento. Nei contratti di lavoro dirigenziale a tempo determinato, in caso di licenziamento dichiarato illegittimo, e in mancanza di una diversa previsione nel contratto individuale, il risarcimento del danno dovuto va commisurato all'entità dei compensi retributivi che sarebbero maturati dalla data del recesso fino alla scadenza del contratto, mentre non è dovuta alcuna indennità sostitutiva del preavviso, essendo questa legislativamente prevista solo per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In argomento si veda Cassazione 11692/2005 per la quale il dipendente a tempo determinato illegittimamente licenziato in difetto di giusta causa non potendosi ritenere tale la situazione di transeunte difficoltà economica del datore di lavoro ha diritto non alla reintegrazione nel posto di lavoro ma al risarcimento del danno, che può legittimamente quantificarsi, in via equitativa, sulla base delle retribuzioni che gli sarebbero spettate fino alla scadenza del termine né da esso può essere legittimamente dedotto, a titolo di aliunde perceptum , quanto dal lavoratore percepito a seguito di altra sua occupazione, qualora risulti la non esclusività della prestazione illegittimamente interrotta per volontà unilaterale del datore di lavoro. Il rapporto di lavoro del dirigente secondo quanto ricordato da Cassazione 27197/2006 non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui agli artt. 1 e 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e la nozione di giustificatezza posta dalla contrattazione collettiva al fine della legittimità del suo licenziamento non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplata dall'art. 3 della stessa legge n. 604 del 1966. Ne consegue che, ai fini dell'indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento del dirigente, la suddetta giustificatezza non deve necessariamente coincidere con l'impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, garantita dall'art. 41 Cost., che verrebbe realmente negata ove si impedisse all'imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell'impresa. In ogni caso, il recesso in questione non può risultare privo di qualsiasi giustificazione sociale perché concretizzantesi unicamente in condotte lesive, nella loro oggettività, della personalità del dirigente e, al fine di accertare la configurabilità del diritto del dirigente all'indennità supplementare di preavviso, l'ingiustificatezza del recesso datoriale può evincersi da una incompleta o inveritiera comunicazione dei motivi di licenziamento ovvero da un'infondata contestazione degli addebiti, potendo tali condotte rendere quantomeno più disagevole la verifica che il recesso sia eziologicamente riconducibile a condotte discriminatorie ovvero prive di adeguatezza sociale.