RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 29 LUGLIO 2013, N. 18196 IMPIEGO PUBBLICO IMPIEGATI DELLO STATO IN GENERE. Recesso dal rapporto di lavoro Modalità Necessità Sopravvenuta inidoneità fisica di dipendente del Ministero della Giustizia Licenziamento per giustificato motivo oggettivo Riconducibilità Risoluzione automatica del rapporto Esclusione Esercizio del potere di recesso da parte del datore di lavoro Necessità. In materia di pubblico impiego contrattualizzato, il recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato può attuarsi unicamente nella duplice forma del licenziamento intimato dal datore di lavoro ovvero delle dimissioni rassegnate dal lavoratore, sicché in caso di sopravvenuta inidoneità del lavoratore nella specie, dipendente del Ministero della Giustizia allo svolgimento delle mansioni assegnate che costituisce giustificato motivo oggettivo di licenziamento ove lo stesso non possa essere astrattamente impiegato in mansioni diverse non si determina una risoluzione automatica del rapporto di lavoro, dovendo pur sempre l’amministrazione, per provocarne la cessazione, esercitare il potere di recesso, in conformità, del resto, a quanto previsto dall’art. 21, comma 4, c.c.n.l. comparto Ministeri del 16 maggio 1995. Per Cassazione 12942/1999, il recesso dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato può attuarsi unicamente nella duplice forma del licenziamento intimato dal datore di lavoro ovvero delle dimissioni rassegnate dal lavoratore pertanto, mentre è possibile che le parti contraenti collettive od individuali, assegnino a determinati comportamenti di uno dei soggetti del rapporto il significato e l’efficacia dell’atto unilaterale di recesso ed, in particolare per il lavoratore, delle dimissioni, deve invece escludersi la possibilità di introdurre un terzo genere di recesso con la previsione di un comportamento, giudicato significativo dell’intenzione di recedere, che sia svincolato dall’effettiva volontà della parte e che non ammetta la possibilità di prova contraria, giacché in tal caso il patto costituirebbe in realtà un’inammissibile ed invalida clausola risolutiva espressa del rapporto. In materia di pubblico impiego contrattualizzato, secondo Cassazione 8642/2010, la contestazione di fatti che comportino asseritamente la decadenza dall’impiego, o comunque una giusta causa o giustificato motivo di recesso, ha natura ontologicamente disciplinare, e deve essere effettuata nel rispetto delle garanzie dettate in favore del lavoratore dall’art. 7, secondo e terzo comma, della legge 300/1970, applicabile alle Pubbliche Amministrazioni, a prescindere dal numero dei dipendenti, in virtù del disposto dell’art. 51, comma 2, del D.Lgs. 165/2001. Pertanto, per procedere al licenziamento del lavoratore l’ente datore di lavoro deve basarsi sulle condotte regolarmente contestate al lavoratore nel rispetto della normativa in materia di procedimento disciplinare, non potendo addurre in corso di causa nuovi addebiti non preceduti da adeguate contestazioni. SEZIONE LAVORO 26 LUGLIO 2013, N. 18166 LAVORO LAVORO SUBORDINATO PERIODO DI RIPOSO FERIE ANNUALI. Periodo feriale Determinazione Potere Spettanza esclusiva al datore di lavoro Fondamento. L’esatta determinazione del periodo feriale, presupponendo una valutazione comparativa di diverse esigenze, spetta unicamente al datore di lavoro, nell’esercizio del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa, dovendosi riconoscere al lavoratore la mera facoltà di indicare il periodo entro il quale intenda fruire del riposo annuale. In argomento si veda Cassazione 9816/2008 per la quale il lavoratore non può scegliere arbitrariamente il periodo di godimento delle ferie, né imputare a ferie le assenze per malattia, trattandosi di evento che va coordinato con le esigenze di un ordinato svolgimento dell’attività dell’impresa e la cui concessione costituisce una prerogativa riconducibile al potere organizzativo del datore di lavoro. Tra i precedenti conformi più risalenti si veda anche Cassazione 5393/1992 per la quale il lavoratore subordinato non può, contro l’espresso diniego dell’imprenditore, assentarsi unilateralmente, a titolo di ferie o di permessi, in un periodo, da lui scelto arbitrariamente, che non coincida con quello stabilito dall’imprenditore medesimo o concordato con le rappresentanze aziendali oppure preventivamente stabilito all’inizio dell’anno, ciò contrastando con le esigenze di un ordinato svolgimento dell’attività tecnico produttiva dell’impresa. In tema di rapporto di lavoro dirigenziale, secondo Cassazione 13953/2009 non spetta a tutti i dirigenti, in quanto tali, la piena autonomia decisionale nella determinazione del se e quando godere delle ferie, non potendo presumersi il contrario in forza del principio per cui il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non eserciti il potere medesimo e non usufruisca quindi del periodo di riposo annuale, non ha il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non provi la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive ostative alla suddetta fruizione.