RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 15 FEBBRAIO 2013, N. 3795 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - A TEMPO INDETERMINATO. Art. 1 della legge 1369/1960 - Interposizione fittizia dell’appaltatore - Nullità del contratto tra committente ed appaltatore - Conseguenze - Imputazione degli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro e dei correlati obblighi contributivi in capo all’appaltante o interponente - Sussistenza - Concorrente responsabilità dell’appaltatore o interposto - Esclusione - Fattispecie in materia di sostituto d’imposta. Nelle prestazioni di lavoro cui si riferiscono - prima dell’intervenuta abrogazione ad opera dell’art. 85, comma primo, lett. c , del D.Lgs. 276/2003 - i primi tre commi dell’art. 1 della legge 1369/1960 divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell’impiego della manodopera negli appalti di opere e di servizi , la nullità del contratto fra committente ed appaltatore o intermediario e la previsione dell’ultimo comma dello stesso articolo - secondo cui i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni - comportano che solo sull’appaltante o interponente gravano gli obblighi in materia di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonché gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, non potendosi configurare una concorrente responsabilità dell’appaltatore o interposto in virtù dell’apparenza del diritto e dell’apparente titolarità del rapporto di lavoro, stante la specificità del suddetto rapporto e la rilevanza sociale degli interessi ad esso sottesi. Ne consegue che, per tali ipotesi, non è configurabile alcuna violazione del principio di doppia imposizione, sussistendo anche gli obblighi propri del sostituto di imposta e di cui agli artt. 23 del Dpr 600/1973 e del Dpr 602/1973 in capo al solo soggetto che si considera appaltante. La massima fa applicazione del principio di diritto già sancito da Sezioni Unite 22910/2006. Analogo principio è affermato da Cassazione 21837/2012 in tema di fornitura di lavoro interinale, in cui si afferma cha la violazione delle disposizioni della legge 196/1997, ed in particolare dell’art. 1, comma 2, lett. a , comporta la sostituzione della parte datoriale e, salvo che non ricorrono specifiche ragioni che consentano l’apposizione di un termine, l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’utilizzatore interponente, senza che assuma rilievo che al rapporto con l’interposto fosse a termine, atteso che la medesima sanzione è prevista per la meno grave violazione dell’obbligo di stipulare il contratto con forma scritta e che, sul piano sistematico, una diversa conclusione, porterebbe alla inammissibile situazione per cui la violazione del divieto di interposizione di manodopera consentirebbe all’interponente di beneficiare di una prestazione a termine altrimenti preclusa. SEZIONE LAVORO 20 FEBBRAIO 2013 N. 4186 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO COLLETTIVO - IN GENERE. Legge 223/1991 - Determinazione concordata dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare - Fondamento e requisiti di validità - Criterio della maturazione dei requisiti per essere collocato in pensione di anzianità - Razionalità - Fondamento. In materia di licenziamenti collettivi, tra imprenditore e sindacati può intercorrere, secondo quanto indicato dall’art. 5 della legge 223/1991, un accordo inteso a disciplinare l’esercizio del potere di collocare in mobilità i lavoratori in esubero, stabilendo criteri di scelta anche difformi da quelli legali, purché rispondenti a requisiti di obiettività e razionalità in tale ottica, deve ritenersi razionalmente giustificato il ricorso al criterio della maturazione dei requisiti per essere collocato in pensione di anzianità, trattandosi di un criterio oggettivo che permette di scegliere, a parità di condizioni, il lavoratore che subisce il danno minore dal licenziamento, potendo sostituire il reddito da lavoro con il reddito da pensione. In materia di licenziamenti collettivi - come sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale 268/1994 - la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare che si traduce in accordo sindacale che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell’approvazione dell’unanimità , poiché adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dall’art. 15 della legge 300/1970, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell’obiettività e della generalità oltre a dover essere coerenti con il fine dell’istituto della mobilità dei lavoratori. Deve, conseguentemente, considerarsi razionalmente adeguato il criterio della prossimità al trattamento pensionistico con fruizione di mobilità lunga”, oltretutto menzionato come esempio nella suddetta sentenza costituzionale, stante la giustificazione costituita dal minore impatto sociale dell’operazione e il potere dell’accordo di cui all’art. 5, comma primo, della legge 223/1991 di sostituire i criteri legali e di adottare anche un unico criterio di scelta, a condizione che il criterio adottato escluda qualsiasi discrezionalità del datore di lavoro Cassazione 9866/2007.