RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 14 AGOSTO 2012, N. 14493 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - RISARCIMENTO DEL DANNO. Revoca del licenziamento intervenuta prima della scadenza del preavviso - Diritto al risarcimento - Insussistenza - Ragioni. La previsione dell’art. 18 della legge 300/1970, concernente il diritto del lavoratore licenziato al risarcimento del danno, non trova applicazione nel caso in cui la revoca del licenziamento sia intervenuta prima della scadenza del preavviso e sia espressamente accettata dal lavoratore, il quale abbia dichiarato di voler proseguire nel rapporto di lavoro, dovendosi ritenere che, in tale ipotesi, sia venuto meno, per concorde volontà delle parti, il fatto generatore del danno, in quanto il recesso non ha spiegato efficacia alcuna sulla continuità del rapporto e sulla ordinaria funzionalità del sinallagma contrattuale. In tema di rapporto di lavoro subordinato, per Cassazione 28703/2011, il datore di lavoro, che abbia sospeso l’efficacia del recesso intimato per una determinata causa o motivo nella specie, per riduzione di personale , può intimare al lavoratore un nuovo licenziamento per altra causa o motivo nella specie, per superamento del periodo di comporto , con la conseguenza che l’estromissione dall’azienda va imputata esclusivamente al secondo licenziamento e il giudice, innanzi al quale sia stato impugnato il primo recesso, può, ricorrendone le condizioni, dichiararne l’illegittimità ma non ordinare la reintegra del lavoratore. In argomento si veda anche Cassazione 36/2011 per la quale in tema di licenziamento del lavoratore, la revoca del recesso datoriale non può, di per sé, avere l’effetto di ricostituire il rapporto di lavoro, occorrendo a tal fine una manifestazione di volontà, anche tacita, del lavoratore, restando, tuttavia, escluso che il consenso al ripristino del rapporto possa derivare dalla prestazione di lavoro nel periodo di preavviso, che ha efficacia solo obbligatoria. Ne consegue che la revoca non può sottrarre al lavoratore il diritto all’indennità sostitutiva, prevista dall’art. 18, quinto comma, della legge 300/1970, nel testo introdotto dall’art. 1 della legge 108/1990, il cui esercizio verrebbe altrimenti ad essere di fatto rimesso al datore di lavoro. SEZIONE LAVORO 9 AGOSTO 2012, N. 14343 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - PER MUTUO CONSENSO DIMISSIONI. Dimissioni del lavoratore - Principio della libertà di forma - Vigenza - Deroga - Forma scritta convenzionale - Necessità ad substantiam” - Presunzione - Fondamento - Conseguenze - Dimissioni orali - Invalidità - Fattispecie. Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato può essere risolto dal lavoratore con una dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia dimissioni , per la quale vige il principio della libertà di forma, a meno che le parti non abbiano espressamente previsto nel contratto, collettivo o individuale, una forma convenzionale, quale la forma scritta in tal caso, quest’ultima si presume voluta per la validità dell’atto di dimissioni, a norma dell’art. 1352 cc, applicabile anche agli atti unilaterali, con la conseguenza che le dimissioni rassegnate oralmente, anziché per iscritto come richiesto dalla contrattazione collettiva applicabile nella specie, art. 130 del c.c.n.l. 8 luglio 1982 per i dipendenti del settore turismo , sono invalide per difetto della forma ad substantiam” . Tra i precedenti conformi si vedano Cassazione 9554/2001 e Cassazione 5922/1998. Da ultima si veda Cassazione 6342/2012 per la quale la dichiarazione di recesso del lavoratore, una volta comunicata al datore di lavoro, è idonea ex se” a produrre l’effetto dell’estinzione del rapporto, che è nella disponibilità delle parti, a prescindere dai motivi delle dimissioni purché non inficiate da minaccia di licenziamento e perciò viziate come atto di volontà ed anche in assenza di una giusta causa, atteso che l’effetto risolutorio si ricollega pur sempre, a differenza di quanto avviene per il licenziamento, all’atto negoziale del lavoratore, preclusivo di un’azione intesa alla conservazione del rapporto ne consegue che il lavoratore a termine, receduto anticipatamente senza giusta causa, non ha diritto alla riammissione in servizio, né al pagamento delle retribuzioni fino alla scadenza naturale del rapporto, neppure qualora abbia costituito in mora il datore di lavoro. SEZIONE LAVORO 9 AGOSTO 2012, N. 14326 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – DISCIPLINARE. Licenziamento per condotta manchevole del lavoratore - Natura - Ontologicamente disciplinare - Previsione nella disciplina specifica del rapporto - Irrilevanza - Conseguenze - Garanzie ex art. 7 Stat. lav. su contestazione dell’addebito e diritto di difesa - Applicazione. Il licenziamento per giusta causa, irrogato per una condotta tenuta dal dipendente nell’ambito del rapporto di lavoro e ritenuta dal datore di lavoro tanto scorretta da minare il vincolo fiduciario, è un licenziamento ontologicamente disciplinare, a prescindere dalla sua inclusione tra le misure disciplinari dello specifico regime del rapporto, e deve essere assoggettato, quindi, alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell’art. 7 Stat. lav. circa la contestazione dell’addebito e il diritto di difesa. In senso conforma si veda Cassazione 17652/2007 secondo cui il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto, deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 circa la contestazione dell’addebito ed il diritto di difesa. Analogamente per Cassazione 5855/2003 il licenziamento intimato a motivo di una colpevole condotta del prestatore di lavoro, sia pur essa idonea a configurare la giusta causa di cui all’art. 2119 cc, ha natura ontologicamente” disciplinare ed implica, per tale ragione, la previa osservanza delle garanzie procedimentali stabilite dall’art. 7 della legge 300/1970, la cui violazione, tuttavia, non comporta nullità dell’atto di recesso, ma lo rende ingiustificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente, non fatto valere attraverso quel procedimento, non può, quand’anche effettivamente sussistente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere addotto dal datore di lavoro per sottrarsi all’operatività della tutela apprestata dall’ordinamento nelle diverse situazioni e cioè a quella massima, così detta reale, ex art. 18 della citata legge 300/1970, ovvero all’alternativa fra riassunzione e risarcimento del danno, secondo il sistema della legge 604/1966.