RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 25 MAGGIO 2012, N. 8293 PROCEDIMENTI SPECIALI - PROCEDIMENTI IN MATERIA DI LAVORO E DI PREVIDENZA - IMPUGNAZIONI - APPELLO - RICORSO IN APPELLO - FORMA E CONTENUTO. Licenziamento disciplinare contestato in primo grado per insussistenza dell’addebito - Contestazione in appello per consumazione del potere disciplinare - Mutatio libelli” - Ammissibilità - Esclusione. Qualora il lavoratore abbia dedotto, con il ricorso introduttivo di primo grado, l’illegittimità del licenziamento disciplinare per insussistenza dei fatti addebitatigli, costituisce inammissibile mutamento della domanda la richiesta, formulata per la prima volta in grado d’appello, di accertare l’illegittimità dello stesso licenziamento per la consumazione del potere disciplinare, in conseguenza di una precedente contestazione dei medesimi fatti, seguita dall’irrogazione di una sanzione conservativa. In senso conforme si veda anche Cassazione 13291/2003 per la quale, in caso di deduzione in primo grado della illegittimità del licenziamento per difetto di giusta causa o giustificato motivo, sotto un profilo specifico determinato, il giudice d’appello non può dichiarare la illegittimità dello stesso licenziamento sotto un profilo diverso, ancorché dedotto dal lavoratore con l’atto di appello, senza che ne risulti violato il principio della domanda e quello di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, trattandosi di domanda nuova - quanto a causa petendi - sempreché ne risulti dedotto a fondamento un fatto nuovo, e non già soltanto una diversa qualificazione giuridica di un fatto già dedotto nel corso del giudizio di primo grado. In argomento si veda anche Cassazione 17300/2008 per la quale il divieto di mutatio libelli” - mutatio” che si concretizza nella formulazione di una pretesa nuova, diversa da quella originaria, della quale innova l’oggetto, introducendo nel giudizio nuovi temi di indagine - trova la sua ratio”, segnatamente nel rito del lavoro, nella disciplina degli atti introduttivi del giudizio, fondata su esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento del processo ed all’attuazione dei principi di immediatezza e concentrazione, al fine di consentire alle parti ed al giudice la costruzione tendenzialmente irreversibile del quadro della controversia e del corrispondente progetto istruttorio. Sicché detto divieto rileva, nei termini anzidetti, nel caso di continuità del giudizio che si svolga nei confronti del medesimo soggetto inizialmente convenuto, ma non già nell’ipotesi in cui, a seguito di chiamata in causa di un’altra parte, il giudizio di primo grado si svolga anche nei confronti di un altro soggetto, nei cui confronti, nella permanenza dell’originario petitum”, è possibile articolare diversamente la causa petendi”, determinandola in base alle stesse ragioni della chiamata, in quanto ciò, per un verso, è necessità processuale accertata dal giudice nel contesto originario della controversia e, per altro verso, non lede le esigenze difensive del chiamato, per il quale si tratta di un’iniziale vocatio”. Ne consegue che non sussiste la violazione del divieto di mutatio libelli” nel caso in cui la domanda di risarcimento dei danni determinati dall’impossibilità di calcolare a fini pensionistici un periodo di attività lavorativa, in conseguenza del mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, venga proposta nei confronti dell’Istituto previdenziale, chiamato in causa dal datore di lavoro a causa dell’omesso accredito di contributi. SEZIONE LAVORO 25 MAGGIO 2012, N. 8286 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - A TEMPO DETERMINATO - IN GENERE. Apposizione del termine - Specificazione scritta delle ragioni giustificatrici - Relatio” del contratto a testi ulteriori - Possibilità - Fattispecie di rinvio ad accordi sindacali su processi di mobilità aziendale. In tema di apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato, la specificazione delle ragioni giustificatrici ex art. 1 del D.Lgs. 368/2001 può risultare dall’atto scritto non solo per indicazione diretta, ma anche per relationem” ad altri testi, richiamati nel contratto di lavoro. Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto generica l’indicazione delle ragioni giustificatrici, senza valutare che il contratto scritto rinviava ad accordi sindacali su processi di mobilità aziendale legittimanti le assunzioni a termine quale strumento di riequilibrio territoriale e funzionale delle risorse umane . In tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, secondo Cassazione 2279/2010, il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro delle specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia cfr. sentenza del 23 aprile 2000, in causa C-378/07 ed altre sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04 , un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia quanto al contenuto, che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificablità delle stesse nel corso del rapporto tale specificazione può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem” ad altri testi scritti accessibili alle parti. Per Cassazione 10033/2010 l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall’art. 1 del D.Lgs. 368/2001 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare - con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità - la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto. SEZIONE LAVORO 16 MAGGIO 2012, N. 7640 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RETRIBUZIONE – PRESCRIZIONE. Prescrizione dei crediti retributivi - Decorrenza in costanza di rapporto - Requisito occupazionale della stabilità reale - Onere della prova - A carico del datore di lavoro - Fondamento - Tutela ex art. 36 Cost. - Regola probatoria dell’impugnativa di licenziamento - Rilevanza - Esclusione. In tema di prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore, l’onere di provare la sussistenza del requisito occupazionale della stabilità reale, ai fini della decorrenza del termine in costanza di rapporto di lavoro grava sul datore di lavoro, che tale decorrenza eccepisca, dovendosi ritenere, alla luce della tutela ex art. 36 Cost., che la sospensione in costanza di rapporto costituisca la regola e l’immediata decorrenza l’eccezione. Né, in senso contrario, rileva il diverso principio, operante nelle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa del licenziamento, secondo il quale, a fronte della richiesta di tutela reale del lavoratore, spetta al datore di lavoro la prova dell’assenza della suddetta condizione, che rileva quale fatto impeditivo del diritto del lavoratore alla reintegrazione. In tema di riparto dell’onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l’invalidità, si veda Sezioni Unite 141/2006 per la quale, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall’art. 18 della legge 300/1970, costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro. Con l’assolvimento di quest’onere probatorio il datore dimostra - ai sensi della disposizione generale di cui all’art. 1218 cc - che l’inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto di lavoro non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il rimedio esercitato dal lavoratore al risarcimento pecuniario. L’individuazione di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue, inoltre, la finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della disponibilità” dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa. Sul tema si veda anche Cassazione 23472/2007 per la quale atteso che, ai sensi dell’art. 2948, n. 4, cc nel testo risultante dalle sentenze della Corte costituzionale , la prescrizione quinquennale resta sospesa durante l’esecuzione del rapporto di lavoro non assistito da garanzia di stabilità, e che nelle ipotesi di prestazioni di fatto con violazione di legge - incompatibili con il licenziamento, ma comportanti la più assoluta libertà del datore di lavoro di rifiutare la prestazione - è radicalmente esclusa la situazione di stabilità, i relativi crediti, spettanti ex art. 2126 cc, restano sospesi durante il rapporto.