RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 7 MARZO 2012, N. 3552 CONTRATTI IN GENERE - INTERPRETAZIONE - IN GENERE. Protocolli d’intesa tra datori e prestatori di lavoro - Distinzione con i contratti normativi - Criterio interpretativo letterale - Prevalenza su quello sistematico - Sussistenza - Fondamento. I protocolli d’intesa tra datori e prestatori di lavoro, destinati a concretizzarsi in accordi attuativi delle regole e dei principi in essi enunciati così da disciplinare in maniera specifica ed esaustiva singoli rapporti lavorativi, sono assoggettati ai criteri ermeneutici codicistici che di tale funzione possano tenere conto. Conseguentemente, a fronte della lettura dei suddetti protocolli, a fine d’individuare un discrimine con gli accordi o contratti normativi, deve privilegiarsi il criterio interpretativo letterale, in ragione del principio in claris non fit interpretatio” , rispetto a quello sistematico, essendo quest’ultimo più funzionale a un’interpretazione dei negozi normativi che, in quanto attuativi di precedenti intese, possono essere esaminati e compresi nel loro contenuto se letti, in relazione alle suddette intese, in conformità a quanto prescritto dall’art. 1362 cc. Per Cassazione 8576/2004, il contratto collettivo di diritto comune può avere una funzione normativa in quanto diretto a determinare il contenuto dei contratti individuali di lavoro , ovvero una funzione obbligatoria che si esprime nell’instaurazione di rapporti obbligatori che vincolano esclusivamente le parti collettive e gli imprenditori che li stipulano, non anche i singoli lavoratori , nonché una funzione transattiva di conflitti di diritti o interessi, ovvero di mero accertamento. L’interpretazione in ordine alla funzione del contratto collettivo, al suo contenuto ed all’efficacia soggettiva degli obblighi con esso assunti è riservata al giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità se è sorretta da una motivazione logica, completa e conforme ai canoni legali di ermeneutica contrattuale. Analogamente per Cassazione 23635/2011 nel giudizio di legittimità le censure relative all’interpretazione del contratto collettivo offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima. Sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica che la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta e delle ragioni dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata. SEZIONE LAVORO 7 MARZO 2012, N. 3545 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ASSOCIAZIONI SINDACALI - SINDACATI POSTCORPORATIVI - ATTIVITÀ SINDACALE - COSTITUZIONE DELLE RAPPRESENTANZE SINDACALI AZIENDALI. Lavoratore eletto nelle rappresentanze sindacali unitarie - Dimissioni dal sindacato nelle cui liste si sia presentato - Decadenza dall’incarico di rappresentante sindacale aziendale - Esclusione - Decadenza dai connessi diritti sindacali - Esclusione - Ragioni. In tema di rappresentanze sindacali unitarie, l’accordo collettivo interconfederale del 22 luglio 1993 ne disciplina l’elezione a suffragio universale, per cui i lavoratori, una volta eletti, non sono più legati al sindacato nelle cui liste si sono presentati alle elezioni stesse, ma fondano la loro carica sul voto, universale e segreto, dell’intera collettività dei dipendenti aziendali. In coerenza, non è prevista la decadenza dall’incarico per effetto delle dimissioni dell’eletto dal sindacato nelle cui liste si sia presentato, che non determinano né la perdita dei diritti sindacali connessi alla qualifica di rappresentante sindacale aziendale ed eventualmente di rappresentante della sicurezza, né la perdita dei diritti a usufruire dei permessi sindacali - anche in relazione alla diversa associazione sindacale a cui il lavoratore abbia successivamente aderito - secondo quanto previsto dagli artt. 23 e 24 dello Statuto dei lavoratori. In riferimento a una rappresentanza sindacale unitaria, eletta in un’azienda sulla base di liste presentate dalle varie organizzazioni sindacali, per Cassazione 10769/2000, ai sensi di un accordo collettivo interconfederale stipulato in esecuzione del Protocollo del 23 luglio 1993, la domanda proposta dal datore di lavoro contro uno degli eletti, al fine di accertare la decadenza del medesimo dalla funzione a seguito del suo passaggio ad un’organizzazione sindacale diversa da quella che lo aveva candidato, non comporta la necessaria estensione del contraddittorio nei confronti di questa associazione sindacale. In argomento si veda Cassazione 7604/2008 secondo cui la rappresentanza sindacale unitaria è un organismo autonomo, protetto dagli strumenti di garanzia stabiliti dal titolo III dello Statuto dei lavoratori per la tutela della libertà ed attività sindacale ne consegue che, proprio per la detta autonomia, va escluso qualsiasi potere di ingerenza e controllo della P.A. sul funzionamento della RSU e sulla sua composizione. In tema di rappresentanze sindacali unitarie, per Cassazione 16788/2011, l’art. 6 dell’accordo interconfederale 20 dicembre 1993 tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL stabilisce la decadenza della rappresentanza sindacale unitaria con conseguente obbligo di procedere al rinnovo dell’organismo nel caso in cui si dimettano un numero superiore al cinquanta per cento dei suoi componenti, restando possibile la prosecuzione dell’attività e la sostituzione degli stessi solo nell’ipotesi in cui tale soglia non venga superata. Ne consegue che la prosecuzione delle trattative fino, eventualmente, alla stipula di un accordo da parte dell’impresa con i componenti della RSU decaduta, ormai privi di legittimazione a trattare come componenti di una rappresentanza unitaria, costituisce - in assenza di un obbligo a trattare e regolamentare - comportamento antisindacale in quanto altera le dinamiche dei rapporti tra i sindacati in azienda, privilegiando e favorendo la posizione di alcuni di essi, e blocca o, comunque, rende più lento e difficoltoso il meccanismo di rinnovo dell’intera rappresentanza sindacale unitaria previsto dall’accordo interconfederale. SEZIONE LAVORO 5 MARZO 2012, N. 3418 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - IN GENERE NOZIONE, DIFFERENZE DALL’APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI . Criteri di individuazione del datore di lavoro - Criterio dell’effettivo esercizio del potere direttivo - Prevalenza sul criterio dell’apparenza del diritto - Fondamento - Fattispecie. Per l’individuazione del datore di lavoro, al criterio dell’apparenza del diritto il giudice deve preferire il criterio dell’effettività del rapporto, in quanto la subordinazione è la soggezione del lavoratore all’altrui effettivo potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare. Nella specie, una lavoratrice aveva reso prestazioni domestiche in favore di un’anziana, ma, nel corso del rapporto, aveva sempre osservato le direttive della di lei figlia, da questa percependo la retribuzione la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito, correggendone tuttavia la motivazione, nel senso che la legittimazione passiva della figlia era fondata sull’effettività del potere direttivo da lei esercitato e non - come ritenuto dal giudice territoriale - sull’apparenza giuridica determinata dalla sua condotta . In tema di prestazioni lavorative rese in ambito familiare - le quali vengono normalmente compiute affectionis vel benevolentiae causa” - la parte che fa valere in giudizio diritti derivanti da tali rapporti è tenuta ad una prova rigorosa degli elementi costitutivi della subordinazione e della onerosità con particolare riferimento all’attività lavorativa compiuta in agricoltura da parte di parenti o affini, poi, la mera prestazione non costituisce prova sufficiente, essendo necessaria la specifica dimostrazione della subordinazione e della onerosità delle prestazioni, in modo che risulti il nesso di corrispettività tra prestazione lavorativa e retribuzione, pur se in un quadro caratterizzato da maggiore elasticità degli orari Cassazione 9043/2011. La subordinazione o meno del rapporto prescinde, di norma, dalla natura dell’attività lavorativa, attenendo, piuttosto, specificamente alla soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare del datore di lavoro Cassazione 7966/2006.