RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 3 FEBBRAIO 2012 N. 1639 IMPIEGO PUBBLICO - ACCESSO AI PUBBLICI IMPIEGHI IN GENERE - IN GENERE. Lavoro subordinato presso ente pubblico non economico - Prestazione in difetto di nomina o con violazione di norma imperativa - Diritto del lavoratore alla retribuzione e alla contribuzione - Sussistenza ex art. 2126 cod. civ. Il rapporto di lavoro subordinato instaurato da un ente pubblico non economico per i suoi fini istituzionali, affetto da nullità perché non assistito da regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra nella sfera di applicazione dell'art. 2126 cod. civ., con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo e alla contribuzione previdenziale per il tempo in cui il rapporto stesso ha avuto materiale esecuzione. In senso conforme si era già espressa Cassazione 12749/2008 ritenendo che la prestazione di lavoro subordinato svolta alle dipendenze di un ente pubblico non economico in violazione di norme imperative deve essere qualificata come pubblico impiego, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2126 cod. civ., con il conseguente diritto del dipendente non solo ai compensi previsti per quel tipo di rapporto, ma anche alla regolarizzazione della posizione contributiva previdenziale secondo le regole previste per gli impiegati pubblici tale principio si applica anche ai dipendenti delle Università, per le quali, anche a seguito dell'autonomia loro riconosciuta dalle leggi n. 168 del 1989 e n. 537 del 1993, non è stata introdotta alcuna norma di modifica del regime pensionistico dei loro dipendenti, che rimane omogeneo a quello dei dipendenti delle altre amministrazioni statali. Analogamente, per Cassazione 20009/2005 un rapporto di lavoro subordinato di fatto con un ente pubblico non economico, per i fini istituzionali dello stesso, ancorché non assistito da un regolare atto di nomina e, al limite, vietato da norma imperativa, rientra nella nozione di impiego pubblico e non impedisce la applicazione dell'art. 2126 cod. civ., con conseguente diritto alla retribuzione e alla contribuzione previdenziale propria di un rapporto di impiego pubblico regolare . In senso conforme si veda Cassazione 10551/2003 la quale estende il principio anche ai medici dipendenti dei policlinici universitari, con la conseguenza che i medici che hanno lavorato in regime di subordinazione presso i policlinici universitari hanno diritto ad essere iscritti presso la gestione separata dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato presso l'Inpdap. SEZIONE LAVORO 2 FEBRBAIO 2012 N. 1464 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RETRIBUZIONE - IN GENERE. Retribuzione corrisposta in eccesso - Ritenute fiscali operate sulla quota indebita - Ripetibilità da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore - Esclusione - Fondamento. Nel rapporto di lavoro subordinato, il datore di lavoro versa al lavoratore la retribuzione al netto delle ritenute fiscali e, quando corrisponde per errore una retribuzione maggiore del dovuto, opera ritenute fiscali erronee per eccesso. Ne consegue che, in tale evenienza, il datore di lavoro, salvi i rapporti col fisco, può ripetere l'indebito nei confronti del lavoratore nei limiti di quanto effettivamente percepito da quest'ultimo, restando esclusa la possibilità di ripetere importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. Secondo Cassazione 18584/2008 l'accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dall'art. 19, legge 4 aprile 1952, n. 218, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell'art. 23, comma primo, medesima legge e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare - salva la prova di fatti a lui non imputabili - debitore esclusivo dei contributi stessi anche per la quota a carico del lavoratore ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell'accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d'imposta, sul quale il giudice chiamato all'accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d'interferire. Ne consegue che, in sede di accertamento contabile delle differenze retributive spettanti ad un lavoratore, dalle somme lorde spettanti allo stesso devono essere detratte le somme corrisposte dal datore nel loro concreto ed effettivo importo, a nulla rilevando che il datore non abbia operato le ritenute previdenziali e fiscali prescritte. In tema di obbligazione contributiva nelle assicurazioni obbligatorie, per Cassazione 239/2006, il datore di lavoro - che, ai sensi dell'art. 19 della legge n. 218 del 1952 - è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte a carico dei lavoratori che egli trattiene sulla retribuzione corrisposta ai medesimi - è direttamente obbligato verso l'ente previdenziale anche per la parte a carico dei lavoratori dei quali non è rappresentante ex lege . Ne consegue che, in ipotesi di indebito contributivo, il datore di lavoro è l'unico legittimato all'azione di ripetizione nei confronti dell'ente anche con riguardo alle quota predetta e pertanto, diversamente da quanto avviene nel rapporto tra datore sostituto d'imposta e lavoratore contribuente sostituito, egli ha l'obbligo, e non la facoltà, di richiedere all'ente previdenziale la restituzione della quota a carico del prestatore di lavoro e, comunque, deve effettuare il conguaglio tra i contributi versati per conto dei lavoratori medesimi e quelli effettivamente a carico di questi ultimi, mentre il lavoratore che abbia subito l'indebita trattenuta può agire soltanto nei confronti del datore di lavoro che ha eseguito la trattenuta stessa. SEZIONE LAVORO 1 FEBBRAIO 2012 N. 1430 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ORARIO DI LAVORO - IN GENERE. Contratto di lavoro a tempo parziale - Indicazione scritta della distribuzione dell'orario - Omissione o genericità delle indicazioni - Conseguenze - Nullità - Beneficio contributivo ex art. 5, comma 5, del d.l. n. 726 del 1984 - Spettanza - Esclusione - Art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 61 del 2000 - Efficacia retroattiva - Esclusione - Fondamento. La distribuzione dell'orario della prestazione, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno, integra il nucleo stesso del contratto di lavoro a tempo parziale e la ragion d'essere della particolare garanzia costituita dalla forma scritta, che assolve alla funzione di evitare che il datore di lavoro, avvalendosi di una carente o generica pattuizione sull'orario, possa modificarla a proprio piacimento a fini di indebita pressione sul lavoratore. Ne consegue che il contratto di lavoro part-time che non rechi l'indicazione scritta della distribuzione oraria è nullo e non dà titolo al beneficio contributivo previsto dall'art. 5, comma 5, del d.l. n. 726 del 1984, dovendosi escludere che la previsione di cui all'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 61 del 2000, che ha escluso la sanzione della nullità in caso di mancanza o indeterminatezza delle indicazioni sulla collocazione temporale, abbia efficacia retroattiva non trattandosi di norma di interpretazione autentica. Nell'affermare il principio in fattispecie relativa a contratti anteriori all'entrata in vigore dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 61 del 2000, la S.C. ha escluso la retroattività di tale disposizione, ai sensi della quale l'eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto delle indicazioni sulla collocazione temporale dell'orario non comporta la nullità del contratto di lavoro a tempo parziale . Per Cassazione 20989/2010 l'art. 5 d.l. n. 726 del 1984, convertito nella legge n. 863 del 1984, deve essere interpretato nel senso che il requisito della pattuizione per iscritto dell'orario di svolgimento delle prestazioni a tempo parziale è soddisfatto allorché, anche mediante rinvio alle tipologie contrattuali previste in sede collettiva, risulti precisata la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa e la distribuzione di tale riduzione per ciascun giorno cosiddetto part-time orizzontale ovvero con riferimento alle giornate di lavoro comprese in una settimana, in un mese o in un anno cosiddetto part-time verticale . Ne consegue che è perfettamente valido un contratto di lavoro a tempo parziale che non specifichi l'orario di inizio e di cessazione della prestazione lavorativa nei giorni in cui deve essere resa. In senso conforme si veda anche Cassazione 6903/2000. In senso conforme si veda anche Cassazione 6903/2000.