RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 21 SETTEMBRE 2011, N. 19234 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - DIRITTO ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO - INFORTUNI E MALATTIE – COMPORTO . Licenziamento per superamento del periodo di comporto - Impugnazione - Contestazione del superamento del periodo - Ritenuta applicabilità del termine cosiddetto lungo per riferibilità della malattia allo stesso episodio morboso - Onere della prova - A carico del dipendente - Configurabilità - Obbligo del giudice di disporre consulenza tecnica di ufficio - Esclusione. In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, qualora il dipendente abbia impugnato in sede giudiziale il licenziamento, contestando l’avvenuto superamento del periodo, per essere applicabile nel caso di specie il termine cosiddetto lungo in quanto i giorni di malattia erano riferibili allo stesso episodio morboso art. 11 del contratto collettivo nazionale per i dipendenti degli istituti di vigilanza privata , grava su di lui l’onere di dimostrare l’assunto, depositando idonea documentazione o anche una perizia stragiudiziale che, pur essendo qualificabile come un semplice mezzo di difesa al pari delle deduzioni e delle argomentazioni dell’avvocato, fa sorgere il potere dovere del giudice di esaminarla, mentre non può ritenersi obbligo del giudice disporre una consulenza di ufficio sulla tipologia della malattia medesima. In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, secondo Cassazione 7946/2011 le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l’infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza art. 2087 cc o di specifiche norme. Peraltro, incombe sul lavoratore l’onere di provare il collegamento causale tra la malattia che ha determinato l’assenza e le mansioni espletate, in mancanza del quale deve ritenersi legittimo il licenziamento. Sotto questo ultimo profilo si veda Cassazione 3187/2006 per la quale quando la nomina di un consulente tecnico non sia imposta dalla legge in considerazione della particolare natura della controversia, il giudice ha solo una facoltà di fare ricorso, anche di ufficio, al parere di un suo perito per le valutazioni che richiedono specifiche conoscenze tecniche. In assenza di istanza di parte il giudice non ha, dunque, alcun dovere di motivazione sulle ragioni che lo hanno indotto a non avvalersi di questa facoltà. Per Cassazione 1250/2011, in caso di licenziamento motivato per superamento del periodo di comporto e per impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione per inidoneità fisica del lavoratore, è necessario che l’impugnazione del recesso del datore di lavoro abbia ad oggetto entrambe le ragioni poste a fondamento dello stesso, senza che sia possibile, ove il lavoratore abbia proposto ricorso solamente contro una di esse, l’estensione dell’impugnazione all’altra giustificazione, atteso che il superamento del periodo di comporto attiene al protrarsi nel tempo di uno stato di malattia a carattere transitorio o, comunque, non necessariamente irreversibile , mentre l’inidoneità fisica attiene all’esistenza di una condizione permanente a carattere irreversibile concernente l’incapacità del lavoratore a svolgere le prestazioni tipiche delle sue mansioni, dovendosi escludere che tra le due causali esista un necessario rapporto di dipendenza. SEZIONE LAVORO 19 SETTEMBRE 2011, N. 19090 PREVIDENZA ASSICURAZIONI SOCIALI - ASSICURAZIONE PER L’INVALIDITÀ, VECCHIAIA E SUPERSTITI - ASSICURAZIONE - IN GENERE. Lavori usuranti - Conservazione dei limiti di età di maggior favore ai sensi dell’art. 5, comma 2 del D.Lgs. 503/1992 - Personale viaggiante addetto ai servizi pubblici di trasporto - Requisito - Iscrizione al Fondo di previdenza di settore al momento del compimento dell’età anagrafica – Necessità. L’art. 5, comma 2, del D.Lgs. 503/1992, che conserva i più favorevoli limiti di età per il pensionamento di vecchiaia previsti dalla legislazione previgente a favore del personale viaggiante addetto ai servizi pubblici di trasporto” attesa la natura di lavoro usurante, richiede, ai fini dell’applicabilità della deroga, l’attualità dell’iscrizione al Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto al momento del compimento dell’età anagrafica. Identico principio di diritto è affermato da Cassazione 20321/2008 per la quale l’ art. 5, comma 2, del D.Lgs. 503/1992, che conserva i più favorevoli limiti di età per il pensionamento di vecchiaia previsti dalla legislazione previgente a favore del personale viaggiante addetto ai servizi pubblici di trasporto” attesa la natura di lavoro usurante, si applica ove detta mansione, avuto riguardo all’intero corso del rapporto lavorativo, sia stata svolta con assoluta prevalenza, dovendosi intendere la locuzione personale viaggiante” nel senso di personale che viaggi normalmente”. In argomento si veda anche Cassazione 14127/1999 per la quale l ’indennità di diaria ridotta - riconosciuta dall’art. 21 del c.c.n.l. 23 luglio 1976 in favore del personale viaggiante dei servizi automobilistici e di linea extraurbana per il servizio prestato fuori della sede di lavoro per periodi non inferiori alle sei ore e non superiori alle dieci ore continuative - non spetta agli addetti al settore movimento e traffico, ancorché nelle relative mansioni rientri il controllo sul personale viaggiante e sull’utenza, posto che tali lavoratori non appartengono alla categoria del personale viaggiante per tale intendendosi il personale che viaggi normalmente ne’ l’indennità in questione può considerarsi estesa a tali addetti per il solo fatto che ad essi venga corrisposta la diaria per le trasferte nella stessa misura ridotta prevista per il personale viaggiante ed in misura inferiore a quella prevista per l’altro personale non viaggiante, non potendo desumersi dalla corresponsione di un trattamento economico deteriore rispetto a quello contrattuale la volontà aziendale di riconoscere un trattamento superiore. SEZIONE LAVORO 16 SETTEMBRE 2011, N. 18948 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ORARIO DI LAVORO - IN GENERE. Pubblico impiego contrattualizzato - Part - Time - Limite orario - Prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento del tempo pieno - Necessità - Applicazione al personale della scuola – Ragioni. In materia di pubblico impiego contrattualizzato, il rapporto di lavoro part-time non può essere costituito con prestazione lavorativa superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno trovando applicazione la medesima regola - introdotta in via generale dall’art. 58 del D.Lgs. 29/1993 e dall’art. 1, comma 56, della legge 662/1996 - anche al personale docente statale, attesa l’espressa indicazione contenuta nell’ordinanza ministeriale 446/1997 del Ministero della Pubblica istruzione che ha abrogato per incompatibilità la precedente ordinanza 179/1989 che consentiva, invece, al personale docente la possibilità del part-time con un minimo di 7 ore ed un massimo di 12. In materia di pubblico impiego contrattualizzato, secondo Cassazione 8642/2010, alla luce delle disposizioni dei decreti legislativi 165/2001 art. 53 e 267/2000 art. 92 , nonché della legge 662/1996 art. 1, comma 58 bis, aggiunto dall’art. 6 del Dl 79/1997, convertito con modifiche dalla legge 40/1997 , non sussiste un divieto di cumulo di impieghi per i dipendenti degli enti locali, essendo invece prevista la possibilità per i medesimi di svolgere prestazioni per conto di altri enti, previa autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, a meno che tale divieto non sia espressamente contemplato dallo Statuto del singolo ente locale o dalla contrattazione collettiva, secondo quanto disposto dall’art. 89, lett. g , del D.Lgs. 267 citato. Per Cassazione 18608/2009, la disciplina dell’incompatibilità prevista dagli att. 60 e seguenti del Dpr 3/1957, - applicabile a tutti i dipendenti pubblici, contrattualizzati e non, a norma dell’art. 53, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 nonché ai dipendenti degli enti locali, in virtù dell’abrogazione, da parte dell’art. 64 della legge 142/1990, dell’art. 241 del Rd 393/1934 - prevede che l’impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità venga diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall’incarico. Ne consegue che soltanto nel caso in cui l’impiegato ottemperi alla diffida, il suo comportamento assume rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all’art. 55 del decreto citato, posto che, diversamente, trova applicazione l’istituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine”, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro.