RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 20 MAGGIO 2011, N. 11189 IMPEGNO PUBBLICO - IMPIEGATI DELLO STATO - STIPENDI - PASSAGGIO AD ALTRO RUOLO O AD ALTRA AMMINISTRAZIONE. Ente Poste Italiane - Trasferimento del lavoratore ad altra amministrazione INPDAP - Pregressa posizione di comando in essa - Continuazione del rapporto di lavoro - Configurabilità - Esatto inquadramento del lavoratore - Criteri - Fattispecie. In tema di mobilità del personale, con riferimento al trasferimento del lavoratore dipendente dell'Ente Poste Italiane all'INPDAP, presso il quale si trovava già in posizione di comando - in base al principio del valore indifferenziato delle mansioni in precedenza di quarta, di quinta e di sesta categoria, e dello svolgimento di esse in maniera indifferenziata da parte di tutto il personale della medesima Area Operativa - non può di per sé essere attribuita rilevanza allo svolgimento di fatto di mansioni classificate come superiori dal precedente ordinamento pubblicistico e ora appartenenti ad un'unica area, non comportando, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, né il diritto alla attribuzione, in via definitiva, di quelle specifiche mansioni, né il diritto all'inserimento in una graduatoria di mobilità che faccia riferimento ad una determinata categoria. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva negato il diritto dei lavoratori ricorrenti, provenienti dalla sesta categoria della società Poste Italiane, ad essere inquadrati nella superiore posizione economica C1 . Tra i precedenti conformi si vedano Cassazione 6043/2007 e 5285/2007. Sul punto per Sezioni Unite 503/2011, verificandosi solo un fenomeno di modificazione soggettiva del rapporto medesimo assimilabile alla cessione del contratto, compete all'ente di destinazione l'esatto inquadramento e la concreta disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti trasferiti, senza che su tali profili possa operare autoritativamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui d.p.c.m. 7 novembre 2000 - atto avente natura amministrativa, in quanto proveniente da una autorità esterna al rapporto di lavoro - non assolve alla funzione di determinare la concreta disciplina del rapporto di lavoro, mancando un fondamento normativo all'esercizio di un siffatto potere, ma solamente a quella di dare attuazione alla mobilità volontaria tra pubbliche amministrazioni. Ne consegue che l'equiparazione della VI qualifica funzionale dell'Ente Poste Italiane all'area B, posizione economica B2, dell'INPDAP, contenuta nel citato d.p.c.m., non ha efficacia vincolante, dovendosi ritenere giuridicamente giustificata la verifica compiuta dal giudice di merito sulla correttezza dell'inquadramento spettante al lavoratore, sulla base dell'individuazione, nel quadro della disciplina legale e contrattuale applicabile nell'amministrazione di destinazione, della qualifica maggiormente corrispondente a quelle di inquadramento prima del trasferimento. In argomento si veda anche Sezioni Unite 25033/2006 secondo cui la contrattazione collettiva, muovendosi nell'ambito, e nel rispetto, della prescrizione posta dal primo comma dell'art. 2103 cc - che fa divieto di un'indiscriminata fungibilità di mansioni che esprimano in concreto una diversa professionalità, pur confluendo nella medesima declaratoria contrattuale ed essendo riconducibili alla matrice comune che connota la declaratoria contrattuale - è autorizzata a porre meccanismi convenzionali di mobilità orizzontale prevedendo, con apposita clausola, la fungibilità funzionale tra le mansioni per sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica, senza incorrere nella sanzione della nullità comminata dal secondo comma del citato art. 2103 cc. SEZIONE LAVORO 20 MAGGIO 2011, N. 11152 PREVIDENZA ASSICURAZIONI SOCIALI - ASSICURAZIONE CONTRO LA DISOCCUPAZIONE - CONTRIBUTI E PRESTAZIONI - INDENNITÀ - IN GENERE - CERTALEX. Lavoratori agricoli - Prestazioni temporanee - Nozione di retribuzione - Comprensiva del trattamento di fine rapporto - Esclusione - Voce denominata quota di TFR - Volontà espressa dalle parti - Rilevanza - Fondamento - Contrasto con gli istituti legali - Esclusione. Ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in agricoltura, ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. 146/1997, la nozione di retribuzione - definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a confronto con il salario medio convenzionale - non è comprensiva del trattamento di fine rapporto. Ne consegue che la voce denominata quota di TFR dai contratti collettivi vigenti, a partire da quello del 27 novembre 1991, va esclusa dal computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della disposizione di cui all'art. 3 Dl 318/1996, convertito in legge 402/1996, a norma della quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi, non può essere individuata in difformità rispetto a quanto definito negli accordi stessi. Non è, pertanto, ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte dell'autonomia collettiva, dovendosi escludere che detta voce abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti. Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, Cpc . In senso conforme si veda Cassazione 10546/2007 e tra le più recenti Cassazione 200/2011 per la quale in tema di indennità di disoccupazione ed ai fini della liquidazione delle prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione - definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 del D.Lgs. 146/1997 - non è comprensiva del trattamento di fine rapporto. Ne consegue che la voce denominata quota di TFR dai contratti collettivi vigenti, a partire da quello del 27 novembre 1991, evidenziata nei prospetti paga ma non erogata se non alla fine del rapporto di lavoro, va esclusa dal computo della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della disposizione di cui all'art. 3 Dl 318/1996, convertito in legge 402/1996, a norma della quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi, non può essere individuata in difformità rispetto a quanto definito negli accordi stessi. Non è, pertanto, ravvisabile alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte dell'autonomia collettiva, dovendosi escludere che detta voce abbia natura diversa rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti. SEZIONE LAVORO 20 MAGGIO 2011, N. 11149 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO - MANSIONI - DIVERSE DA QUELLE DELL'ASSUNZIONE - CERTALEX. Lavoro pubblico privatizzato - Inquadramento del personale - Delegificazione - Delega alla contrattazione collettiva - Conseguenze - Sindacato giurisdizionale sulle scelte della contrattazione - Esclusione - Principio di non discriminazione ex art. 45 del D.Lgs. 165/2001 - Irrilevanza. Nel rapporto di lavoro pubblico privatizzato, la materia degli inquadramenti del personale contrattualizzato è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di contrattazione collettiva del settore pubblico che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità delle norme in materia di mansioni concernenti il lavoro subordinato privato. Ne consegue che le scelte della contrattazione collettiva in materia di inquadramento del personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale, ed il principio di non discriminazione di cui all'art. 45 del D.Lgs. 165/2001 non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo. Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, Cpc . In senso conforme tra le più recenti si veda Cassazione 19007/2010. Per Cassazione 5452/2011in tema di inquadramento del personale dipendente dagli enti locali, la qualifica apicale prevista, per i diversi tipi di ente, dall'art. 40 del Dpr 347/1983, costituisce la qualifica massima che può attribuirsi ai lavoratori, ma l'avvenuto passaggio dell'ente ad una classe superiore non implica l'attribuzione automatica di nuove qualifiche ai capi degli uffici, né uno slittamento generale degli inquadramenti degli impiegati ad una qualifica funzionale superiore, in quanto, anche a seguito della contrattazione collettiva, l'inquadramento del personale nei nuovi livelli deve avvenire sulla base della valutazione comparativa tra il contenuto funzionale delle qualifiche contemplate negli ordinamenti dell'ente e quello delle qualifiche stabilite dall'accordo collettivo, prescindendo da eventuali o diverse mansioni svolte di fatto o effettuate in forza di atti formali diversi da quelli prescritti dalla legge per i conferimenti della qualifica. In argomento si veda Sezioni Unite 9509/2011 secondo cui l'art. 69, settimo comma, del D.Lgs. 165/2001, che trasferisce al giudice ordinario le controversie in materie di pubblico impiego privatizzato, fissa il discrimine temporale per il passaggio dalla giurisdizione amministrativa a quella ordinaria, alla data del 30 giugno 1998, con riferimento al momento storico dell'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia. Ne consegue che, ove la lesione del diritto del lavoratore sia prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all'epoca della sua emanazione, assumendo rilievo, qualora l'amministrazione si sia pronunciata con una pluralità di atti, lo specifico provvedimento che ha inciso sulla posizione del dipendente, la cui eventuale portata retroattiva non influisce sulla determinazione della giurisdizione. SEZIONE LAVORO 11 MAGGIO 2011, N. 10341 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - INDENNITÀ - SOSTITUTIVA DEI RIPOSI SETTIMANALI. Natura risarcitoria e non retributiva - Conseguenze - Prescrizione ordinaria decennale - Decorrenza. L'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti ha natura non retributiva ma risarcitoria e, pertanto, è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, decorrente anche in pendenza del rapporto di lavoro. Secondo Cassazione 11262/2010, l'indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma dell'art. 12 della legge 153/1969, sia perché, essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall'art. 2126 cc a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sia perché un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio - oggi pur escluso dal sopravvenuto art. 10 del d.lgs. n. 66 del 2003, , come modificato dal D.Lgs. 213/2004, , in attuazione della direttiva 93/104/CE - non escluderebbe la riconducibilità all'ampia nozione di retribuzione imponibile delineata dal citato art. 12, costituendo essa comunque un'attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione. In senso conforme anche Cassazione 6607/2004. Per Cassazione 26985/2009 il lavoratore che agisca in giudizio per chiedere la corresponsione della indennità sostitutiva delle ferie non godute ha l'onere di provare l'avvenuta prestazione di attività lavorativa nei giorni ad esse destinati, atteso che l'espletamento di attività lavorativa in eccedenza rispetto alla normale durata del periodo di effettivo lavoro annuale si pone come fatto costitutivo dell'indennità suddetta, mentre incombe al datore di lavoro l'onere di fornire la prova del relativo pagamento. In tema di rapporto di lavoro dirigenziale, Cassazione 13953/2009 ha affermato che non spetta a tutti i dirigenti, in quanto tali, la piena autonomia decisionale nella determinazione del se e quando godere delle ferie, non potendo presumersi il contrario in forza del principio per cui il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non eserciti il potere medesimo e non usufruisca quindi del periodo di riposo annuale, non ha il diritto all'indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non provi la ricorrenza di necessità aziendali assolutamente eccezionali ed obiettive ostative alla suddetta fruizione. SEZIONE LAVORO 10 MAGGIO 2011, N. 10305 PROCEDIMENTI SPECIALI - PROCEDIMENTI IN MATERIA DI LAVORO E DI PREVIDENZA - IMPUGNAZIONI - IN GENERE - CERTALEX. Contrasto tra dispositivo e motivazione - Divergenza solo quantitativa e collegamento tra le indicazioni della motivazione e dati obiettivi - Insanabilità del contrasto - Configurabilità - Esclusione - Errore materiale del dispositivo - Configurabilità - Conseguenze - Procedimento di correzione - Ammissibilità - Impugnazione basata sul contrasto tra dispositivo e motivazione - Ammissibilità - Esclusione. Nel rito del lavoro solo il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo. Tale insanabilità deve tuttavia escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda inoltre sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga sì da potersi escludere l'ipotesi di un ripensamento del giudice in tal caso è configurabile l'ipotesi legale del mero errore materiale, con la conseguenza che, da un lato, è consentito l'esperimento del relativo procedimento di correzione e, dall'altro, deve qualificarsi come inammissibile l'eventuale impugnazione diretta a far valere la nullità della sentenza asseritamente dipendente dal contrasto tra dispositivo e motivazione. Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, comma 1, Cpc . Identico principio è affermato da Cassazione 18202/2008 e 18090/2007. In tema di processo del lavoro, Cassazione 21885/2010 ha di recente affermato che il dispositivo letto in udienza e depositato in cancelleria ha una rilevanza autonoma poiché racchiude gli elementi del comando giudiziale che non possono essere mutati in sede di redazione della motivazione e non è suscettibile di interpretazione per mezzo della motivazione medesima, sicché le proposizioni contenute in quest'ultima e contrastanti col dispositivo devono considerarsi come non apposte e non sono suscettibili di passare in giudicato od arrecare un pregiudizio giuridicamente apprezzabile. In tema di nullità della sentenza, per Sezioni Unite 23198/2009, l'interlineatura, nella parte dispositiva, del nome di uno dei componenti del collegio, astenutosi e sostituito da altro giudice, non comporta alcuna illegittimità della decisione riconducibile ad una difettosa costituzione del collegio o a un contrasto tra dispositivo e motivazione né può qualificarsi come errore materiale, posto che quest'ultimo si sostanzia in una mera svista che non incide sul contenuto concettuale della decisione, ma si concretizza in una divergenza fra l'ideazione e la sua materiale rappresentazione grafica. Per Cassazione 8491/2009 il giudice adito in sede di rinvio sulla base della designazione contenuta nel dispositivo della sentenza di cassazione, nel caso di indicazione in motivazione di un giudice diverso, deve riconoscere l'esatto comando della sentenza mediante un'attività interpretativa condotta anche alla luce della giurisprudenza di legittimità, e non può spogliarsi degli atti restituendoli alla Corte di cassazione per la correzione del preteso errore, essendo riservata la corrispondente facoltà, dall'art. 391 bis Cpc, soltanto alla parte interessata , che, facendone uso, non introduce una nuova fase processuale, bensì solleva un mero incidente nello stesso giudizio, al fine di adeguare l'espressione errata all'effettiva volontà del giudice, espressa in sentenza.