RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 24 MARZO 2011, N. 6757 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - DEL RAPPORTO A TEMPO INDETERMINATO. Comunicazione dei motivi di recesso datoriale - Trasmissione nel termine di sette giorni - Tempestività - Sussistenza - Ricevimento, da parte del lavoratore, dopo la scadenza del termine - Irrilevanza - Fondamento. L'adempimento dell'onere di comunicazione del recesso del datore di lavoro per iscritto ex art. 2, secondo comma, della legge 604/1966 si collega, secondo i principi generali, al compimento, da parte del soggetto a ciò tenuto, dell'attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio idoneo a garantire un adeguato affidamento, sottratto alla sua ingerenza, in ragione di un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti. Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto che, nel termine di sette giorni, la comunicazione dovesse non solo essere trasmessa, ma anche pervenire al domicilio del lavoratore . La massima fa applicazione del principio di recente espresso da Sezioni Unite 8830/2010 per la quale l'impugnazione del licenziamento ai sensi dell'art. 6 della legge 604/1966, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che - in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale - l'effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell'attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio - idoneo a garantire un adeguato affidamento - sottratto alla sua ingerenza, non rilevando, in contrario, che, alla stregua del predetto art. 6, al lavoratore sia rimessa la scelta fra più forme di comunicazione, la quale, valendo a bilanciare la previsione di un termine breve di decadenza in relazione al diritto del prestatore a conservare il posto di lavoro e a mantenere un'esistenza libera e dignitosa artt. 4 e 36 Cost. , concorre a mantenere un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti. SEZIONE LAVORO 23 MARZO 2011, N. 6625 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTIFICATO MOTIVO - OBIETTIVO. Possibilità di diversa utilizzazione del lavoratore licenziato in mansioni analoghe - Onere probatorio relativo a carico del datore di lavoro - Contenuto - Prova del rifiuto del lavoratore di accettare un ruolo di lavoratore autonomo - Insufficienza. L'onere del datore di lavoro di provare l'impossibilità di ricollocare il lavoratore da licenziare in mansioni analoghe a quelle proprie della posizione lavorativa occupata, per quanto debba essere inteso con elasticità, non può essere considerato assolto con la prova di aver proposto al dipendente un'attività di natura non subordinata, ma autonoma, esterna all'azienda e priva di qualsiasi garanzia reale in termini di flusso di lavoro e di reddito, come quella di sub-agente, specialmente se agli altri dipendenti siano state offerte ben più valide alternative. In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, per Cassazione 3040/2011, compete al giudice - che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost. - il controllo in ordine all'effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l'onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l'impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell'accertamento di un possibile repechage , mediante l'allegazione dell'esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l'onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti. Per Cassazione 12769/2005 nell'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nella cui nozione rientra anche l'ipotesi di riassetti organizzativi attuati per la più economica gestione dell'azienda, grava sull'imprenditore l'onere di provare sia l'effettività delle ragioni poste a fondamento del licenziamento, sia l'impossibilità di ricollocare diversamente il dipendente licenziato nell'ambito dell'organizzazione aziendale. SEZIONE LAVORO 23 MARZO 2011, N. 6639 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - IN GENERE. Diritto del lavoratore alla parità di trattamento - Insussistenza - Riduzione salariale per i primi 15 mesi lavorativi, per i neo assunti a seguito di trasformazione del contratto di formazione e lavoro - Legittimità - Fondamento. Nel rapporto di lavoro subordinato privato non opera, di regola, il principio di parità di trattamento retributivo ne consegue la validità dell'art. 7 del CCNL del 1995 del settore autoferrotranvieri laddove prevede la riduzione salariale per i primi 15 mesi di rapporto a tempo indeterminato, a seguito della trasformazione di contratto di formazione e lavoro, per i motivi espressi dalle parti stipulanti e, cioè, per l'incentivo premiante per il datore di lavoro che trasformi in rapporti a tempo indeterminato l'80% dei contratti di formazione e lavoro in scadenza e per la considerazione che i lavoratori neoassunti si trovino in possesso di una professionalità non comparabile con quella degli altri. Esclude l'operatività del principio di parità di trattamento nel rapporto di lavoro anche Cassazione 7752/2003 per la quale inoltre non è possibile alcun controllo di ragionevolezza da parte del giudice sugli atti di autonomia, sia collettiva che individuale, sotto il profilo del rispetto delle clausole generali di correttezza e buona fede, che non sono invocabili in caso di eventuale diversità di trattamento non ricadente in alcuna delle ipotesi legali e tipizzate di discriminazione vietate, a meno che il rispetto di tali clausole discenda dalla necessità di comparazione delle situazioni di singoli lavoratori da parte del datore di lavoro che, nel contesto di una procedura concorsuale o selettiva, debba operare la scelta di alcuni di essi. Per Cassazione 23273/2007, agli effetti della tutela apprestata dall'art. 2103 cc, che attribuisce al lavoratore utilizzato per un certo tempo dal datore di lavoro in compiti diversi e maggiormente qualificanti rispetto a quelli propri della categoria di appartenenza il diritto non solo al trattamento economico previsto per l'attività in concreto svolta, ma anche all'assegnazione definitiva a tale attività ed alla relativa qualifica, in mancanza di un principio generale di parità di trattamento in materia di lavoro, non assume alcun rilievo giuridico l'eventuale identità fra le mansioni svolte e quelle proprie di altri lavoratori della stessa azienda che abbiano già ottenuto la stessa qualifica, ma solo la riconducibilità delle mansioni svolte alla qualifica invocata. SEZIONE LAVORO 22 MARZO 2011, N. 6499 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - DISCIPLINARE. Atto di contestazione e atto di recesso - Principio di immutabilità della contestazione - Nozione e fondamento - Fattispecie. In tema di licenziamento disciplinare, il fatto contestato ben può essere ricondotto ad una diversa ipotesi disciplinare dato che, in tal caso, non si verifica una modifica della contestazione, ma solo un diverso apprezzamento dello stesso fatto , ma l'immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro di far poi valere, a sostegno della legittimità del licenziamento stesso, circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell'infrazione anche diversamente tipizzata dal codice disciplinare apprestato dalla contrattazione collettiva, dovendosi garantire l'effettivo diritto di difesa che la normativa sul procedimento disciplinare di cui all'art. 7 della legge 300/1970 assicura al lavoratore incolpato. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto illegittimo il licenziamento che, facendo seguito ad una contestazione disciplinare relativa alla constatazione di un ammanco di un certo quantitativo di merce semilavorata in oro, aveva richiamato altra ipotesi del CCNL, relativa al furto in azienda . Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 17604/2007. Il principio dell'immutabilità della contestazione dell'addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell'art. 7 dello statuto lavoratori secondo Cassazione 1145/2011 preclude al datore di lavoro di licenziare per altri motivi, diversi da quelli contestati, ma non vieta di considerare fatti non contestati e situati a distanza anche superiore ai due anni dal recesso, quali circostanze confermative della significatività di altri addebiti posti a base del licenziamento, al fine della valutazione della complessiva gravità, sotto il profilo psicologico, delle inadempienze del lavoratore e della proporzionalità o meno del correlativo provvedimento sanzionatorio del datore di lavoro. Per Cassazione 21912/2010 l'operatività del principio d'immutabilità della contestazione dell'addebito al lavoratore licenziato non preclude le modificazioni dei fatti contestati che non si configurino come elementi integrativi di una fattispecie di illecito disciplinare diversa e più grave di quella contestata ma che, riguardando circostanze prive di valore identificativo della stessa fattispecie, non precludano la difesa del lavoratore sulla base delle conoscenze acquisite e degli elementi a discolpa apprestati a seguito della contestazione dell'addebito. SEZIONE LAVORO 21 MARZO, N. 6375 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTA CAUSA. Malattia del lavoratore - Allontanamento del lavoratore dalla propria abitazione e ripresa di attività della vita privata - Su prescrizione medica - Giusta causa - Configurabilità - Esclusione - Onere del lavoratore di provare la perdurante inabilità lavorativa - Esclusione - Onere del datore di lavoro - Contenuto. In tema di licenziamento per giusta causa, la condotta del lavoratore, che, in ottemperanza delle prescrizioni del medico curante, si sia allontanato dalla propria abitazione e abbia ripreso a compiere attività della vita privata - la cui gravosità non è comparabile a quella di una attività lavorativa piena - senza svolgere una ulteriore attività lavorativa, non è idonea a configurare un inadempimento ai danni dell'interesse del datore di lavoro, dovendosi escludere che il lavoratore sia onerato a provare, a ulteriore conferma della certificazione medica, la perdurante inabilità temporanea rispetto all'attività lavorativa, laddove è a carico del datore di lavoro la dimostrazione che, in relazione alla natura degli impegni lavorativi attribuiti al dipendente, il suddetto comportamento contrasti con gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro. L'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell'inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l'espletamento di un'attività ludica o lavorativa Cassazione 9474/2009. Per Cassazione 3226/2008 in tema di controlli sulle assenze per malattia dei lavoratori dipendenti, volti a contrastare il fenomeno dell'assenteismo e basati sull'introduzione di fasce orarie entro le quali devono essere operati dai servizi competenti accessi presso le abitazioni dei dipendenti assenti dal lavoro, ai sensi dell'art. 5, comma quattordicesimo, Dl 496/1983, convertito con modificazioni dalla legge 638/1983, la violazione da parte del lavoratore dell'obbligo di rendersi disponibile per l'espletamento della visita domiciliare di controllo entro tali fasce assume rilevanza di per sé, a prescindere dalla presenza o meno dello stato di malattia e può anche costituire giusta causa di licenziamento. L'allontanamento del lavoratore dipendente dalla propria abitazione in costanza di malattia per Cassazione 27104/2006, configura un grave inadempimento comportante un serio pregiudizio all'interesse del datore di lavoro, in virtù del mero pericolo di aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore medesimo, perché risultano violati gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro allorché la natura dell'infermità sia stata giudicata, con valutazione ex ante , incompatibile con la condotta tenuta dal dipendente. SEZIONE LAVORO 15 MARZO 2011, N. 6037 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - ASSUNZIONE - CONCORSI - IN GENERE. Richiesta di riammissione in servizio del dipendente pubblico già dimissionario - Posizione giuridica soggettiva del dipendente - Configurabilità di un diritto soggettivo soggetto a prescrizione - Esclusione. L'istituto della riammissione in servizio del dipendente pubblico già dimissionario, ai sensi dell'art. 132 del Dpr 3 del 1957 e 516 del D.Lgs. 297 del 1994, presuppone la decisione discrezionale dell'amministrazione volta alla verifica del soddisfacimento dell'interesse pubblico con la copertura del posto vacante senza concorso, sicché resta esclusa la configurabilità di un diritto soggettivo all'accettazione come tale soggetto a prescrizione di quella che, a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro, è da qualificare in termini di proposta contrattuale. In senso conforme si veda Cassazione 21408/2006 e Cassazione 21660/2008 per la quale con riferimento all'istituto della riammissione resta esclusa la configurabilità di un diritto soggettivo all'accettazione di quella che, a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro, è da qualificare in termini di proposta contrattuale peraltro, poiché il potere amministrativo è procedimentalizzato dalla specifica disciplina legislativa, recante l'obbligo della valutazione dell'interesse pubblico, dell'esame tempestivo e secondo correttezza e buona fede della domanda nonché della motivazione della decisione di riammissione ancorché negativa , il richiedente, se non può chiedere la stipulazione del contratto, può chiedere tuttavia il risarcimento del danno da inadempimento di tali obblighi strumentali. Pertanto, anche con riferimento al settore scolastico, a seguito della c.d. privatizzazione del rapporto dei dipendenti pubblici, il potere dell'amministrazione di disporre la riammissione in servizio del dipendente già dimissionario, ai sensi dell'art. 132 del Dpr 3/1957 e 516 del D.Lgs. 297/1994, si è trasformato da potere amministrativo a potere privato, che si esercita mediante atti di natura negoziale, con conseguente devoluzione delle relative controversie.