RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 27 GENNAIO 2011 N. 1957 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - ASSUNZIONE - ASSUNZIONE IN PROVA - IN GENERE. Patto di prova - Specifica indicazione della mansioni da espletare - Necessità - Determinabilità - Sufficienza - Fattispecie. Il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto, che, tuttavia, specie quando trattasi di lavoro intellettuale e non meramente esecutivo, non debbono necessariamente essere indicate in dettaglio, essendo sufficiente che, in base alla formula adoperata nel documento contrattuale, siano determinabili. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto valido il patto di prova in relazione alle mansioni di direttore amministrativo, con qualifica di quadro, specificata nella declaratoria ex art. 4 del c.c.n.l. commercio . Il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto, la quale può essere operata anche per relationem alle declaratorie del contratto collettivo che definiscano le mansioni comprese nella qualifica di assunzione e sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico. Analogamente Cassazione 2579/2000 chiarisce che quando le parti - o la parte in caso di negozio giuridico unilaterale - procedono alla redazione per iscritto di un atto possono bene fare riferimento, mediante semplice richiamo per relationem , al contenuto di un altro atto, effettuando un rinvio materiale perché diretto ad inserire nell'atto la clausola contenuta in un diverso atto e ad attribuire al sottoscrittore la paternità di quella clausola. Consegue che, poiché l'art. 2096 cod. civ. impone la forma scritta per il patto di prova ma non per le modalità di esecuzione della prova, il rinvio per relationem ad un contratto collettivo, in ordine a tali modalità, si deve ritenere legittimo, anche perché, tramite il rinvio, il contenuto non ha alcun margine di indeterminabilità. SEZIONE LAVORO 27 GENNAIO 2011 N. 1955 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ASSOCIAZIONI SINDACALI - SINDACATI POSTCORPORATIVI - RAPPRESENTANZA - IN GENERE. Prerogative sindacali - Possibilità di estenderle pattiziamente a soggetti non previsti dalla legge - Ammissibilità - Limiti - Fattispecie relativa all'estensione alle r.s.u. di tutele sindacali già spettanti alle r.s.a. ex accordo interconfederale 20 dicembre 1993 . Non può ritenersi in assoluto esclusa la possibilità di disporre una estensione pattizia delle prerogative previste in favore di determinate organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative ad altre associazioni sindacali, a meno che ciò non valga a conferire alla parte datoriale un potere di accreditamento tale da alterare l'effettiva rappresentatività, consentendole di conferire uguali o maggiori diritti a organizzazioni la cui capacità di convogliare consensi non risulti verificabile, con conseguente effetto di frazionamento dell'azione sindacale e attribuzione ingiustificata di poteri a ristretti gruppi di persone. In applicazione di tale principio la S.C ha annullato la sentenza di merito, ritenendo che la comunicazione fatta alle R.S.U., in luogo delle R.S.A., abbia la stessa efficacia ai fini dell'art. 4, secondo e nono comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223, in forza dell'Accordo interconfederale 20 dicembre 1993 e del CCNL in pari data, che hanno attribuito alle R.S.U. le tutele già spettanti alle R.S.A. In senso conforme si veda Cassazione 1892/2005 per la quale con riferimento alla rappresentatività sindacale, l'autonomia contrattuale collettiva può prevedere organismi di rappresentanza quali, nella specie, le r.s.u. di cui all'accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 diversi rispetto alle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'art. 19 della legge n. 300 del 1970, e alle prime può assegnare prerogative sindacali quali nella specie, il diritto di indire l'assemblea sindacale non necessariamente identiche a quelle delle r.s.a., con il limite, previsto dall'art. 17 della citata legge n. 300, del divieto di riconoscere ad un sindacato un'ingiustificata posizione differenziata che lo collochi quale interlocutore privilegiato del datore di lavoro. SEZIONE LAVORO 27 GENNAIO 2011 N. 1938 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO COLLETTIVO - RIDUZIONE E CRITERI DI SCELTA DEL PERSONALE. Accordo tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali prevedente un unico criterio di scelta costituito dalla vicinanza al pensionamento - Ammissibilità - Verifica della idoneità in concreto dell'unico criterio - Necessità - Impossibilità di scegliere tra più dipendenti - Conseguenze - Illegittimità del criterio - Fattispecie. In materia di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, il criterio di scelta adottato nell'accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali può anche essere unico e consistere nella vicinanza al pensionamento, in quanto esso permette di formare una graduatoria rigida e può essere applicato e controllato senza alcun margine di discrezionalità da parte del datore di lavoro. Tuttavia, ove quello della vicinanza al pensionamento sia l'unico criterio prescelto e lo stesso, applicato nella realtà, si riveli insufficiente a individuare i dipendenti da licenziare, esso diviene automaticamente illegittimo se non combinato con un altro criterio di selezione interna. Nella specie, in sede di accordo sindacale le parti sociali avevano stabilito la sostituzione dei criteri legali con quelli della prossimità al pensionamento in unione alle esigenze tecniche e produttive dell'azienda il datore di lavoro aveva, invece, ritenuto doversi procedere solo in base al criterio dell'anzianità anagrafica e contributiva, sull'assunto della oggettività del criterio la S.C., nel ritenere l'illegittimità della scelta datoriale, ha affermato il principio di cui alla massima . Identico principio è affermato anche da Cassazione 12781/2003. Conforme è anche Cassazione 13393/2002 la quale specifica inoltre che nelle ipotesi in cui il criterio di scelta concordato sia insufficiente, ancorché legittimo, l'accertamento non deve più essere indirizzato all'individuazione del criterio di scelta, ma solamente alla fase attuativa della concreta applicazione di quello concordato, secondo il principio generale di correttezza o buona fede nell'esecuzione del contratto con applicazione quindi di criteri di razionalità, obiettività e non discriminazione nei confronti del lavoratore prescelto . In materia di licenziamenti collettivi secondo Cassazione 9866/2007, come sottolineato nella sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 1994, la determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare che si traduce in accordo sindacale che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentano, senza la necessità dell'approvazione dell'unanimità , poiché adempie ad una funzione regolamentare delegata dalla legge, deve rispettare non solo il principio di non discriminazione, sanzionato dall'art. 15 della legge n. 300 del 1970, ma anche il principio di razionalità, alla stregua del quale i criteri concordati devono avere i caratteri dell'obiettività e della generalità oltre a dover essere coerenti con il fine dell'istituto della mobilità dei lavoratori. Deve, conseguentemente, considerarsi razionalmente adeguato il criterio della prossimità al trattamento pensionistico con fruizione di mobilità lunga , oltretutto menzionato come esempio nella suddetta sentenza costituzionale, stante la giustificazione costituita dal minore impatto sociale dell'operazione e il potere dell'accordo di cui all'art. 5, comma primo, della legge n. 223 del 1991 di sostituire i criteri legali e di adottare anche un unico criterio di scelta, a condizione che il criterio adottato escluda qualsiasi discrezionalità del datore di lavoro. SEZIONE LAVORO 25 GENNAIO 2011 N. 1699 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTA CAUSA. Mancata prestazione lavorativa per malattia - Tutela - Limiti - Condotta volontaria del dipendente - Assunzione di un rischio elettivo particolarmente elevato - Fondamento - Principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto di lavoro - Contenuto - Fattispecie relativa a reiterata fruizione di periodi di ferie in Madagascar seguiti da ripetuti attacchi di malaria, determinanti assenze di lungo periodo. In tema di licenziamento per giusta causa, la mancata prestazione lavorativa in conseguenza dello stato di malattia del dipendente trova tutela nelle disposizioni contrattuali e codicistiche - in ispecie, nell'art. 2110 cod. civ. - in quanto questo non sia imputabile alla condotta volontaria del lavoratore medesimo, il quale scientemente assuma un rischio elettivo particolarmente elevato che supera il livello della mera eventualità per raggiungere quello della altissima probabilità , tenendo un comportamento non improntato ai principi di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 cod. civ. che debbono presiedere all'esecuzione del contratto e che, nel rapporto di lavoro, fondano l'obbligo in capo al lavoratore subordinato di tenere, in ogni caso, una condotta che non si riveli lesiva dell'interesse del datore di lavoro all'effettiva esecuzione della prestazione lavorativa. Nella specie, il lavoratore, dirigente di un istituto di credito, si era recato ripetutamente in vacanza in Madagascar, dove era stato soggetto a reiterati attacchi acuti di malaria, con conseguente assenze dal posto di lavoro per lunghi periodi la S.C., nel rigettare il ricorso, ha sottolineato che non veniva in discussione la libertà del lavoratore di utilizzare il periodo di ferie nella maniera ritenuta più opportuna, ma solo che il lavoratore non aveva tenuto una condotta prudente ed oculata essendo prevedibilissima l'insorgenza di attacchi della malattia, in quel luogo endemica, e che di ciò egli aveva piena consapevolezza, tant'è che, in una occasione, aveva motivato la richiesta di fruizione di ferie, poi trascorse nel paese straniero, con le esigenze di cure della madre ammalata . L'espletamento di altra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durante lo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza e buona fede nell'adempimento dell'obbligazione e a giustificare il recesso del datore di lavoro, laddove si riscontri che l'attività espletata costituisca indice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed ai relativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad essere dimostrativa dell'inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunque l'espletamento di un'attività ludica o lavorativa Cassazione 9474/2009. L'allontanamento del lavoratore dipendente dalla propria abitazione in costanza di malattia configura un grave inadempimento comportante un serio pregiudizio all'interesse del datore di lavoro, in virtù del mero pericolo di aggravamento delle condizioni di salute o di ritardo nella guarigione del lavoratore medesimo, perché risultano violati gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro allorché la natura dell'infermità sia stata giudicata, con valutazione ex ante , incompatibile con la condotta tenuta dal dipendente Cassazione 27104/2006. SEZIONE LAVORO 25 GENNAIO 2011 N. 1690 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - REINTEGRAZIONE NEL POSTO DI LAVORO TUTELA REALE . Indennità sostitutiva - Opzione esercitata con ricorso cautelare - Ammissibilità - Corrispondente obbligo del datore di lavoro - Momento costitutivo - Provvedimento cautelare - Configurabilità. In tema di licenziamento illegittimo l'indennità prevista dall'art. 18, quinto comma, legge n. 300 del 1970, può essere chiesta al datore di lavoro anche con il ricorso per ottenere il provvedimento cautelare di reintegrazione nel posto di lavoro ed il corrispondente obbligo del datore di lavoro nasce in tal caso con il provvedimento cautelare, salvo il suo successivo venir meno in caso di esito negativo del giudizio. Secondo Cassazione 24350/2010 la disposizione dell'art. 18, quinto comma, legge n. 300 del 1970, stabilita per le sentenze che dispongono la reintegrazione, deve intendersi analogicamente estesa anche ai provvedimenti cautelari di eguale contenuto, non rilevando in senso contrario, la circostanza che ad essi non sia seguito il giudizio di merito ne consegue che, nell'ipotesi in cui il lavoratore, licenziato e successivamente reintegrato con provvedimento d'urgenza, non riprenda il lavoro nel termine di trenta giorni dal ricevimento dell'invito in tal senso rivoltogli dal datore di lavoro ovvero nel diverso termine indicato nel suddetto provvedimento , il rapporto deve ritenersi risolto, con preclusione dell'esercizio di opzione per l'indennità sostitutiva. Per Cassazione 25210/2006 il disposto del quinto comma dell' art. 18 della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 108 del 1990, si limita a fissare un termine di decorrenza per l'esercizio della facoltà di opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione nell'esigenza di contenere, in tempi ragionevoli, la situazione di incertezza conseguente ad una pronunzia di accoglimento, ma non stabilisce affatto un dies a quo in relazione all'attivazione di quel potere. Conseguentemente, deve ritenersi pienamente valida ed efficace l'opzione per l'indennità sostitutiva esercitata prima del deposito della sentenza che ha accertato l'illegittimità del licenziamento ed ha disposto la reintegrazione nel posto di lavoro. SEZIONE LAVORO 21 GENNAIO 2011 N. 1465 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO COLLETTIVO - IN GENERE. Cessazione dell'attività d'impresa - Applicabilità della disciplina di cui alla legge n. 223 del 1991 - Art. 24 della legge n. 223 del 1991 - Interpretazione - Requisito dimensionale dell'impresa - Determinazione - Riferimento al momento di cessazione dell'attività e dei licenziamenti - Esclusione - Riferimento all'ultimo semestre antecedente - Necessità - Conseguenze. In tema di licenziamenti collettivi per cessazione dell'attività d'impresa, l'art. 24, comma 1, legge 23 luglio 1991, n. 223 - a cui rinvia il comma 2 della stessa norma - nel richiedere, ai fini dell'applicabilità della relativa disciplina, che le imprese occupino più di quindici dipendenti , deve essere interpretato nel senso che il predetto requisito dimensionale non deve essere determinato in riferimento al momento della cessazione dell'attività e dei licenziamenti, ma con riguardo all'occupazione media dell'ultimo semestre, in analogia con quanto espressamente stabilito dall'art. 1, comma 1, della stessa legge n. 223 del 1991 ai fini dell'intervento di cassa integrazione guadagni straordinaria. Ne consegue che la suddetta disciplina è applicabile, con attribuzione ai lavoratori licenziati del diritto all'iscrizione nelle liste di mobilità e percezione della relativa indennità, anche all'impresa che, al momento dei licenziamenti, abbia un numero di dipendenti inferiore a sedici, ma che nei mesi precedenti abbia compensato tale carenza superando il limite dimensionale. In senso conforme si veda Cassazione 12592/1999 per la quale In tema di licenziamenti collettivi l'art. 24, comma primo, della legge n. 223 del 1991 che al fine dell'applicabilità della relativa disciplina richiede che le imprese occupino più di quindici dipendenti deve essere interpretato - in armonia con i criteri ermeneutici affermatisi in materia di licenziamenti individuali con riferimento agli artt. 18 e 35 della legge n. 300 del 1970 - nel senso che il predetto requisito dimensionale non deve essere determinato in riferimento al momento della cessazione dell'attività e dei licenziamenti, ma con riguardo all'occupazione media dell'ultimo semestre in analogia con quanto espressamente stabilito dall'art. 1 della stessa legge n. 223 del 1991 ai fini dell'intervento di cassa integrazione guadagni straordinaria. Infatti, la suddetta interpretazione, sistematicamente coordinata nell'ambito della legge considerata, è l'unica che consente di evitare applicazioni artificiose ed elusive delle disposizioni in argomento. In argomento ma in senso contrario si veda Cassazione 17384/2003 per la quale i licenziamenti per riduzione di personale di cui all'art. 24 della legge n. 223 del 1991 sono applicabili alle sole imprese che occupino più di quindici dipendenti. Nel relativo computo non si può applicare in via analogica il criterio indicato dal primo comma dell'art. 1 della stessa legge - richiamato dall'art. 4 con riferimento alla valutazione del livello dimensionale dell'azienda previsto per i licenziamenti collettivi post mobilità' - , che, ai diversi fini dell'intervento della cassa integrazione guadagni, prevede la inclusione nell'organico aziendale degli apprendisti e dei lavoratori assunti con contratto di formazione lavoro, non versandosi nella situazione di mancanza di una norma di legge atta a regolare direttamente la materia e non trattandosi pertanto di integrare una lacuna dell'ordinamento, in quanto la regolamentazione del licenziamento per riduzione di personale contenuta nella legge n. 223 del 1991 è autosufficiente, e rispetto ad essa la disciplina sancita per il licenziamento preceduto da c.i.g. dalla stessa legge ha carattere eccezionale, prevista esclusivamente per tale tipo di recesso.