RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 20 GENNAIO 2011, N. 1250 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - IN GENERE. Licenziamento motivato per superamento del periodo di comporto e per inidoneità fisica - Impugnazione - Per entrambe le ragioni poste a fondamento del recesso - Necessità - Mancanza - Possibilità di estensione all'altro motivo di risoluzione del rapporto - Esclusione - Fondamento - Fattispecie. In caso di licenziamento motivato per superamento del periodo di comporto e per impossibilità sopravvenuta allo svolgimento della prestazione per inidoneità fisica del lavoratore, è necessario che l'impugnazione del recesso del datore di lavoro abbia ad oggetto entrambe le ragioni poste a fondamento dello stesso, senza che sia possibile, ove il lavoratore abbia proposto ricorso solamente contro una di esse, l'estensione dell'impugnazione all'altra giustificazione, atteso che il superamento del periodo di comporto attiene al protrarsi nel tempo di uno stato di malattia a carattere transitorio o, comunque, non necessariamente irreversibile , mentre l'inidoneità fisica attiene all'esistenza di una condizione permanente a carattere irreversibile concernente l'incapacità del lavoratore a svolgere le prestazioni tipiche delle sue mansioni, dovendosi escludere che tra le due causali esista un necessario rapporto di dipendenza. Nella specie, relativa al licenziamento di un lavoratore con mansioni di casaro stagionale, assente dal lavoro per aver contratto, in dipendenza dell'attività svolta, una discopatia degenerativa di grado severo, la società datrice di lavoro aveva intimato il licenziamento sia per superamento del periodo di comporto che per la sopravvenuta inidoneità fisica e il giudice di merito, rilevato che nel ricorso non era stato preso in considerazione quest'ultimo motivo, aveva rigettato la domanda la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha confermato la sentenza impugnata . Secondo Cassazione 14065/1999, nel caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore e di conseguente impossibilità della prestazione lavorativa - che è un'ipotesi nettamente distinta dalla malattia del dipendente, anch'essa causa di impossibilità della prestazione lavorativa in quanto ha natura e disciplina giuridica diverse, atteso che, a differenza della malattia avente carattere temporaneo essa ha, invece, carattere permanente o, quanto meno, durata indeterminata o indeterminabile - è ravvisabile un giustificato motivo di recesso del datore di lavoro ex artt. 3 della legge 604/1966, 1463 e 1464 cc, indipendentemente dal superamento del periodo di comporto, soltanto quando la sopravvenuta incapacità fisica abbia carattere definitivo e manchi un apprezzabile interesse del datore di lavoro alle future prestazioni lavorative ridotte del dipendente. SEZIONE LAVORO 17 GENNAIO 2011, N. 897 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - DISCIPLINARE. Di dirigente - Garanzie procedimentali previste dall'art. 7, secondo e terzo comma, legge 300/1970 - Operatività - Fondamento - Conseguenza - Applicabilità degli effetti fissati dalla contrattazione collettiva per il licenziamento ingiustificato - Mancanza di specifica disciplina - Riferimento ai criteri di cui all'art. 2099, secondo comma, cc - Pseudo-dirigenti - Accertamento - Conseguenze dell'inosservanza delle garanzie procedimentali - Applicabilità delle norme ordinarie. Le garanzie procedimentali dettate dall'art. 7, secondo e terzo comma, legge 300/1970, devono trovare applicazione nell'ipotesi di licenziamento di un dirigente - a prescindere dalla specifica collocazione che lo stesso assume nell'impresa, ed anche nel caso in cui il dirigente sia stato dequalificato - sia se il datore di lavoro addebiti al dirigente stesso un comportamento negligente o, in senso lato, colpevole , sia se a base del detto recesso ponga, comunque, condotte suscettibili di farne venir meno la fiducia. Dalla violazione di dette garanzie, che si traduce in una non valutabilità delle condotte causative del recesso, ne scaturisce l'applicazione delle conseguenze fissate dalla contrattazione collettiva di categoria per il licenziamento privo di giustificazione, non potendosi per motivi, oltre che giuridici, logico-sistematici assegnare all'inosservanza delle garanzie procedimentali effetti differenti da quelli che la stessa contrattazione fa scaturire dall'accertamento della sussistenza dell'illecito disciplinare o di fatti in altro modo giustificativi del recesso, dovendosi far riferimento, in mancanza di una specifica disciplina, ai criteri di cui all'art. 2099, secondo comma, cc. Ove, peraltro, il lavoratore, seppure nominativamente indicato quale dirigente e con attribuzione di un omologo trattamento , non rivesta nell'organizzazione aziendale un ruolo di incisività e rilevanza analogo ai dirigenti convenzionali e, dunque, sia qualificabile come pseudo-dirigente, all'applicazione delle garanzie procedurali previste dall'art. 7 dello statuto dei lavoratori devono seguire le conseguenze previste, secondo le norme ordinarie, per qualsiasi lavoratore subordinato. La massima conferma l'identico principio di diritto espresso da Sezioni Unite 7880/2007. Ancora sulla sottoponibilità del dirigente a licenziamento disciplinare con osservanza della procedura di cui all'art. 7 della legge 300/1970, si veda Cassazione 27464/2006 la quale specifica che la qualifica di dirigente spetta soltanto al prestatore di lavoro che, come alter ego dell'imprenditore, sia preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale ovvero ad una branca o settore autonomo di essa, e sia investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentono, sia pure nell'osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo ed un orientamento al governo complessivo dell'azienda, assumendo la corrispondente responsabilità ad alto livello c.d. dirigente apicale da questa figura si differenzia quella dell'impiegato con funzioni direttive, che è preposto ad un singolo ramo di servizio, ufficio o reparto e che svolge la sua attività sotto il controllo dell'imprenditore o di un dirigente, con poteri di iniziativa circoscritti e con corrispondente limitazione di responsabilità c.d. pseudo-dirigente . L'accertamento in concreto della sussistenza delle condizioni necessarie per l'inquadramento del funzionario nell'una o nell'altra categoria costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità soltanto per vizi di motivazione. Il licenziamento ad nutum , a prescindere dalla sussistenza di una giusta causa o da un giustificato motivo, è applicabile solo al dirigente apicale, mentre il licenziamento dello pseudo-dirigente è soggetto alle norme ordinarie. SEZIONE LAVORO 17 GENNAIO 2011, N. 896 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RETRIBUZIONE - DETERMINAZIONE - MINIMI SALARIALI. Piccola impresa operante nel meridione - Equa retribuzione - Minimi salariali fissati in sede di contrattazione collettiva - Riferibilità - Necessità - Scostamento - Condizioni - Inosservanza - Conseguenze - Motivazione irrazionale e insufficiente. Ai fini della determinazione dell'equa retribuzione dei dipendenti di una piccola impresa operante nel Mezzogiorno ai sensi dell'art. 36 Cost., costituisce parametro ordinario di riferimento la retribuzione minima fissata dalle parti sociali in sede di contrattazione collettiva, la cui elaborazione ha tenuto conto anche dell'esistenza e delle esigenze delle piccole imprese, nonché delle difficoltà in cui possono versare quelle operanti in alcune zone del paese. Ne consegue che è irrazionale e insufficiente la motivazione della sentenza di merito che ritenga adeguata la retribuzione del lavoratore inferiore ai minimi della contrattazione collettiva di settore, facendo generico riferimento, disancorato da elementi concreti, alle retribuzioni correnti nelle piccole imprese operanti nel meridione d'Italia invece che a quelle della specifica categoria nella specie, le ricevitorie del gioco del lotto e senza neppure tenere conto del fatto notorio che condizioni di crisi economica favoriscono il gioco del lotto e di quelli affini e, quindi, l'attività delle ricevitorie. Nell'adeguamento della retribuzione operata per la salvaguardia di diritti costituzionalmente rilevanti a norma dell'art. 36 Cost., secondo Cassazione 3184/2000, il giudice di merito, a cui è riservato il relativo apprezzamento, nell'impossibilità di fare riferimento a un contratto collettivo stipulato per la specifica categoria a cui appartiene l'impresa, può individuare una categoria affine, senza essere vincolato dalle indicazioni delle parti, fermo restando che, ove le indicazioni dell'attore servano a delimitare precisamente il petitum , il giudice non può attribuire vantaggi economici non richiesti. Inoltre, anche se il riferimento al contratto collettivo di categoria non implica la meccanica trasposizione delle sue clausole, avendo solo un valore orientativo, è ammissibile la valorizzazione anche di clausole non riguardanti la retribuzione in senso stretto, e tuttavia indirettamente necessarie, nel quadro della determinazione di un minimo di retribuzione che valga a rendere quest'ultima sufficiente in relazione alla prestazione resa e alle esigenze di un'esistenza libera e dignitosa minimo retributivo che non può essere derogato neanche in considerazione della situazione economico - finanziaria dell'impresa, che pur in linea generale può influenzare i livelli salariali, attraverso il contemperamento dei contrapposti interessi operato dalla contrattazione collettiva. Sulla necessità di riproporzionare i minimi retributivi fissati dai contratti collettivi in relazione all'orario di fatto osservato dal lavoratore se difforme da quello stabilito nel contratto stesso, si veda Cassazione 3235/1999. SEZIONE LAVORO 12 GENNAIO 2011, N. 542 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RETRIBUZIONE - LAVORO STRAORDINARIO, NOTTURNO, FESTIVO E NEL PERIODO FERIALE. Compenso forfettario accordato al lavoratore per lungo tempo non correlato alla prestazione - Natura di superminimo - Fondamento - Conseguenze - Riducibilità unilaterale - Esclusione. In tema di lavoro straordinario, il compenso forfettario della prestazione resa oltre l'orario normale di lavoro accordato al lavoratore per lungo tempo, ove non sia correlato all'entità presumibile della prestazione straordinaria resa, costituisce attribuzione patrimoniale che, con il tempo, assume funzione diversa da quella originaria, tipica del compenso dello straordinario, e diviene un superminimo che fa parte della retribuzione ordinaria e non è riducibile unilateralmente dal datore di lavoro. Ai fini della validità del patto di conglobamento del compenso per il lavoro straordinario nella retribuzione ordinaria, secondo Cassazione 27027/2008 occorre risultino riconosciuti i diritti inderogabili dei lavoratori e che sia determinato quale sia il compenso per il lavoro ordinario e quale l'ammontare del compenso per lavoro straordinario, in modo da consentire al giudice il controllo circa l'effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettantigli per legge o in virtù della contrattazione collettiva. SEZIONE LAVORO 11 GENNAIO 2011, N. 459 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - DISCIPLINARE. Inosservanza delle garanzie procedimentali - Ingiustificatezza del recesso - Conseguenze - Nullità - Esclusione - Annullabilità - Tutela reale del lavoratore - Operatività - Conseguenze - Estinzione del rapporto - Nuovo licenziamento in pendenza di causa - Efficacia - Esclusione - Fondamento. Il licenziamento disciplinare intimato senza la preventiva osservanza delle garanzie procedimentali stabilite dall'art. 7 della legge 300/1970, non è viziato da nullità, ma è soltanto ingiustificato, nel senso che il comportamento addebitato al dipendente ma non fatto valere attraverso il suddetto procedimento non può, quand'anche effettivamente sussistente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere addotto dal datore di lavoro per sottrarsi all'operatività della tutela apprestata al lavoratore dall'ordinamento, dovendosi parificare il vizio formale del mancato rispetto delle garanzie procedimentali al vizio sostanziale dell'assenza di giusta causa o giustificato motivo. Ne consegue che il licenziamento per vizi procedimentali è annullabile e interrompe, estinguendolo, il rapporto di lavoro, sicché un ulteriore licenziamento intimato successivamente, ancorché nel corso del processo ma prima della sentenza di annullamento, deve considerarsi nullo e privo di effetti per mancanza di causa, per l'impossibilità di adempiere la sua funzione, mentre l'eventuale sentenza di accoglimento dell'azione di annullamento, se nei rapporti di lavoro a tutela reale è idonea a ricostituire senza soluzione di continuità il rapporto di lavoro, non può restituire, retroattivamente, efficacia alla suddetta manifestazione di volontà datoriale, poiché posta in essere quando il rapporto di lavoro non era in essere, sia pure in conseguenza di un primo licenziamento annullabile. In senso conforme si veda Cassazione 21412/2006 per la quale l'ingiustificatezza del recesso del datore di lavoro con inosservanza delle garanzie procedimentali in questione deve esser inteso nel senso che il comportamento addebitato al dipendente ma non fatto valere attraverso il suddetto procedimento non può, quand'anche effettivamente sussistente e rispondente alla nozione di giusta causa o giustificato motivo, essere addotto dal datore di lavoro per sottrarsi all'operatività della tutela apprestata al lavoratore dall'ordinamento nelle diverse situazioni e, cioè, a quella massima, cosiddetta reale, di cui all'art. 18 della legge 300/1970, ovvero all'alternativa tra riassunzione e risarcimento del danno, secondo il sistema della legge 604/1966, o, infine, all'onere di preavviso ex art. 2118 cc, con la conseguenza che, in relazione a siffatta diversificazione delle varie forme di tutela, la detta inosservanza rende l'atto di recesso inidoneo alla realizzazione della sua causa risolutiva del rapporto di lavoro soltanto nell'area di operatività della tutela reale, rimanendo negli altri casi tale effetto comunque realizzato, in quanto considerato preminente rispetto all'interesse del lavoratore alla conservazione del posto. In argomento si veda anche Cassazione 19770/2009 per la quale il licenziamento illegittimo intimato ai lavoratori ai quali sia applicabile la tutela reale non è idoneo ad estinguere il rapporto al momento in cui è stato intimato, determinando solamente una interruzione di fatto del rapporto di lavoro senza incidere sulla sua continuità e permanenza. Ne consegue che, ove venga irrogato un secondo licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, fondato su fatti diversi da quelli posti a sostegno del primo provvedimento di recesso, i relativi effetti si produrranno solo nel caso in cui il precedente recesso venga dichiarato illegittimo.