RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 30 NOVEMBRE 2010, N. 24235 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTIFICATO MOTIVO - OBIETTIVO. Riassetto organizzativo per una più economica gestione dell'azienda - Rilevanza - Relativa scelta imprenditoriale - Sindacabilità - Limiti - Conseguenze - Soppressione del posto di lavoro - Effettività e non pretestuosità del riassetto organizzativo - Necessità. Il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all'attività produttiva, nel cui ambito rientra anche l'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore ne consegue che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato. Nella nozione di giustificato motivo oggettivo di licenziamento per Cassazione 21282/2006 è riconducibile anche l'ipotesi del riassetto organizzativo dell'azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso dall'imprenditore non semplicemente per un incremento del profitto, ma per far fronte a sfavorevoli situazioni, non meramente contingenti, influenti in modo decisivo sulla normale attività produttiva, imponendo un'effettiva necessità di riduzione dei costi. Tale motivo oggettivo è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore, con la conseguenza che non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il lavoratore licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato, non essendo, peraltro, necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo, che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite. Il principio è affermato anche da Cassazione 21121/2004 per la quale quindi non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti l'effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato, ne' essendo necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo, che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo diversamente ripartite ed attribuite. SEZIONE LAVORO 22 NOVEMBRE 2010, N. 23622 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - INDENNITÀ - IN GENERE. Trattamento economico per servizio estero - Natura retributiva o risarcitoria degli emolumenti - Accertamento - Compito del giudice di merito - Somme erogate in riferimento alle maggiori spese o ai disagi del lavoratore - Onere probatorio a carico del lavoratore - Motivazione da parte del giudice - Contenuto - Fattispecie relativa a trattamento economico aggiuntivo per servizio svolto in Francia. L'accertamento della natura retributiva o risarcitoria del trattamento economico aggiuntivo riconosciuto al lavoratore che presti la propria opera all'estero è riservato al giudice di merito, gravando sul lavoratore - ove il contratto giustifichi l'erogazione delle somme in riferimento non al valore professionale della prestazione ma ai maggiori esborsi che il lavoratore deve sopportare per trasferirsi o per soggiornare all'estero insieme alla famiglia - l'onere di provare che esse non siano riconducibili alla funzione di rimborso spese, ed al giudice di merito, che ne riconosca la natura retributiva, di indicare le specifiche ragioni del suo convincimento. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, con riguardo alle somme corrisposte per le spese di vitto, alloggio e trasporti durante il soggiorno lavorativo in Francia, aveva ritenuto - ai fini del computo del TFR - la loro natura risarcitoria e non retributiva con motivazione ritenuta congrua e logicamente plausibile pure in ordine alla mancata valutazione della determinazione del fisco francese, fatto da ritenere privo del requisito della decisività, in quanto le qualificazioni ai fini tributari sono ininfluenti fuori del settore specifico . In materia di trattamento economico aggiuntivo attribuito al lavoratore che presti la propria opera all'estero, per Cassazione 6563/2009, alle somme erogate a titolo di rimborso spese va riconosciuta natura retributiva qualora si tratti di spese effettuate dal lavoratore per adempiere, sia pur indirettamente, agli obblighi della prestazione lavorativa, non assumendo rilievo il carattere forfettario o meno del rimborso ma esclusivamente il collegamento sinallagmatico della spesa sostenuta dal lavoratore con la prestazione lavorativa all'estero, risolvendosi la corresponsione dell'importo in un adeguamento della retribuzione per le maggiori spese in considerazione delle condizioni ambientali in cui il lavoratore presta la sua attività. L'accertamento della natura retributiva o risarcitoria del trattamento economico aggiuntivo riconosciuto al lavoratore che presti la propria opera all'estero secondo Cassazione 10986/2008 è riservato al giudice di merito, gravando sul lavoratore - ove il contratto giustifichi l'erogazione delle somme in riferimento non al valore professionale della prestazione ma ai maggiori esborsi che il lavoratore deve sopportare per trasferirsi o per soggiornare all'estero insieme alla famiglia - l'onere di provare che esse non siano riconducibili alla funzione di rimborso spese, ed al giudice di merito, che ne riconosca la natura retributiva, di indicare le specifiche ragioni del suo convincimento. Per Cassazione 24875/2005, affinché un compenso sia incluso nella base di calcolo della indennità di anzianità ex art. 2121 cc o del trattamento di fine rapporto ex art. 1 legge 297/1982 , non è necessario il carattere di definitività del compenso stesso, ma è sufficiente che di esso nella specie indennità di servizio estero il dipendente abbia goduto in modo normale nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, non avendo rilievo l'elemento temporale di percezione del compenso stesso, ove questo sia da considerare come corrispettivo della prestazione normale perché inerente al valore professionale delle mansioni espletate. SEZIONE LAVORO 19 NOVEMBRE 2010, N. 23495 PROCEDIMENTI SPECIALI - PROCEDIMENTI IN MATERIA DI LAVORO E DI PREVIDENZA - IMPUGNAZIONI - APPELLO - UDIENZA DI DISCUSSIONE. Relazione orale della causa - Omissione - Nullità - Esclusione. La relazione della causa che, nei giudizi innanzi ad organi collegiali, deve precedere la discussione delle parti sia nel rito ordinario art. 275 Cpc che in quello del lavoro art. 437 Cpc non è prescritta a pena di nullità e la sua omissione non inficia, quindi, la validità della successiva sentenza, non essendo tale sanzione contemplata da alcuna specifica norma né derivando la stessa dai principi fondamentali che regolano il processo civile. Tra i precedenti in senso conforme si vedano Cassazione 7053/1986 e 3652/1986. Sotto altro profilo attinente a questione di rito si veda Cassazione 26812/ 2008 per la quale è legittimamente composto, anche ai fini della trattazione di un causa di lavoro pur in presenza delle disposizioni di cui agli artt. 17 e 21 della legge 533/1973 sulla istituzione delle sezioni lavoro e sulla loro copertura , il collegio giudicante del tribunale che sia integrato dalla partecipazione di un giudice onorario di tribunale, in base a provvedimento assunto dal presidente del tribunale ai sensi dell'art. 105 del Rd 12/1941 - nel testo di cui all'art. 7, secondo comma, del D.Lgs. 273/1989. Ordinamento giudiziario , poiché il giudice del lavoro non è un giudice specializzato in senso tecnico bensì un giudice ordinario che applica una particolare procedura in relazione alla natura della controversia. Tale regola, inizialmente dettata per i vice pretori onorari, non ha patito mutamenti per effetto dell'art. 43 bis del Rd 12/1941, introdotto dal D.Lgs. 82/2000 e modificato dall'art. 3 bis del D.Lgs. 51/1998, il quale, nell'elencare nella materia civile le controversie che non possono essere affidate ai giudici onorari, non prevede una specifica esclusione per la trattazione di quelle in materia di lavoro, di previdenza e di assistenza obbligatorie. Ne consegue che, in quest'ultima materia, la sentenza emessa da un collegio del Tribunale in cui sia impiegato un g.o.t. non può ritenersi affetta da un vizio inerente la costituzione del giudice. SEZIONE LAVORO 18 NOVEMBRE 2010, N. 23324 ESECUZIONE FORZATA - MOBILIARE - PRESSO TERZI - ACCERTAMENTO DELL'OBBLIGO DEL TERZO. Onere probatorio del creditore e del terzo - Fattispecie in tema di contributo al mantenimento del figlio naturale dovuto dal lavoratore. Nel giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo, mentre al creditore spetta l'onere di provare il fatto costitutivo dell'obbligo del terzo, a quest'ultimo spetta l'onere di provare di aver estinto la sua obbligazione prima del pignoramento, con la conseguenza del venir meno dell'esistenza del credito supposta dal pignorante. Nella specie, in relazione alle somme dovute a titolo di alimenti dal lavoratore nel confronti del figlio naturale, la corte territoriale aveva accolto la domanda di accertamento dell'obbligo del terzo esperita nei confronti del padre del lavoratore, titolare dell'impresa familiare, nella quale quest'ultimo lavorava con partecipazione agli utili, essendo stato dimostrato il rapporto lavorativo, ma non il pagamento delle relative obbligazioni. Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 5547/1994. In argomento si veda anche Cassazione 8125/1990 per la quale, la nuova disciplina del pagamento dell'assegno di divorzio e di quello per il mantenimento dei figli da parte del datore di lavoro dell'obbligato art. 8, terzo comma, della legge 898/1970, come modificato dall'art. 12 della legge 74/1987 , che attribuisce al beneficiario dell'assegno - in presenza di una inadempienza protratta per un certo tempo e previa messa in mora del soggetto obbligato - poteri di iniziativa autonoma nei confronti del suo datore di lavoro, così da rendere superfluo l'ordine di pagamento diretto da parte del giudice, ha natura sostanziale e, come tale, è immediatamente applicabile ai giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore. SEZIONE LAVORO 17 NOVEMBRE 2010, N. 23223 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - DISCIPLINARE. Contestazione dell'addebito - Riferimento ai fatti costituenti oggetto di un procedimento penale - Sufficienza. In tema di procedimento disciplinare, il riferimento a fatti oggetto di un procedimento penale è sufficiente ad integrare una valida contestazione dell'addebito disciplinare, dovendosi ritenere che, con tale richiamo, sia rispettato il diritto di difesa dell'incolpato, il quale è posto in grado di svolgere, anche in sede disciplinare, le più opportune difese. Per Cassazione 2296/2004, la tutela del contraddittorio nei confronti del professionista sottoposto a procedimento disciplinare richiede una contestazione dell'addebito e la comunicazione di un'incolpazione che gli consenta di approntare una difesa senza rischiare di essere giudicato per fatti diversi da quelli ascrittigli o diversamente qualificabili sotto il profilo della condotta professionale a fini disciplinari. Tuttavia, la contestazione degli addebiti non esige una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti che integrano l'illecito, essendo invece sufficiente che l'incolpato, con la lettura dell'incolpazione, sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo efficace. Pertanto, anche il riferimento a fatti oggetto di un procedimento penale nella specie, a carico di un odontoiatra imputato del reato di concorso in esercizio abusivo della professione per aver favorito lo svolgimento di prestazioni odontoiatriche nel proprio studio professionale da parte di soggetto a ciò non abilitato, del quale era stato prestanome è sufficiente ad integrare una valida contestazione dell'addebito disciplinare, risultando rispettato il diritto di difesa dell'incolpato, il quale, attraverso l'indicato riferimento, è posto in grado di svolgere, anche in sede disciplinare, le più opportune difese. Quanto al rapporto tra procedimento disciplinare e quello penale si veda per una ipotesi relativa a lavoro pubblico privatizzato si veda Cassazione 12848/2010 per la quale in materia disciplinare, nel regime normativo anteriore alla legge 97/2001 e alla privatizzazione del pubblico impiego di cui al D.Lgs. 80/1998, applicabile ratione temporis , il termine di novanta giorni per la conclusione del procedimento disciplinare nei confronti del pubblico dipendente, previsto dall'art. 9 della legge 19/1990, non ha carattere perentorio nel caso in cui il procedimento consegua a condanna emessa a seguito di patteggiamento, non potendosi escludere, proprio per la particolarità del tipo di sentenza penale pronunciata, che in sede disciplinare vi sia la necessità di ulteriori ed autonomi accertamenti. In argomento si richiama il principio di diritto espresso da Sezioni Unite 16227/2010 per il quale il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale non ha autorità di cosa giudicata nel giudizio disciplinare, non essendo equiparabile ad una sentenza definitiva di assoluzione per insussistenza del fatto o per non averlo l'imputato commesso.