Notifica andata a buon fine solo al secondo tentativo: nessuna scusa se l’indirizzo corretto PEC era noto

Non regge la scusa avanzata dinanzi ai giudici di legittimità e fondata sul – presunto – cambiamento dell’indirizzo PEC del destinatario. Il notificante poteva e doveva conoscere il corretto indirizzo PEC del difensore della controparte in quanto risultante già dal ricorso monitorio.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25467/20, depositata il 12 novembre. Una società finanziaria otteneva decreto ingiuntivo per la somma di oltre 24mila euro nei confronti del debitore. Quest’ultimo proponeva opposizione , ma il Tribunale ne dichiarava l’ inammissibilità per tardività essendo stata notificata ad un indirizzo PEC errato. La Corte d’Appello confermava la decisione in quanto l’opponente non aveva provveduto ad un secondo tentativo di notifica entro un termine ragionevolmente contenuto. Inoltre, viene evidenziato che il secondo tentativo di notifica , andato a buon fine, era stato effettuato all’indirizzo PEC che il difensore aveva indicato fin dal ricorso per decreto ingiuntivo e che dunque avrebbe potuto essere utilizzato fin dall’inizio. L’ingiunto ha proposto ricorso per cassazione. Il ricorrente si duole per aver la Corte territoriale ritenuto che il cambiamento di indirizzo del difensore della controparte si fosse già perfezionato presso il Consiglio dell’Ordine e che egli avrebbe dunque dovuto conoscerle. Il ricorso si rivela inammissibile in quanto, come si legge nella pronuncia, non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte napoletana ha infatti osservato che il corretto indirizzo PEC del difensore risultava già dal ricorso monitorio per cui l’opponente avrebbe potuto e dovuto conoscerlo. Sul punto, il ricorrente non pone alcuna contestazione, limitandosi ad osservare che c’era stato un cambio di indirizzo che non poteva ritenersi perfezionato. In definitiva, il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 1 ottobre – 12 novembre 2020, n. 25467 Presidente Scoditti – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. La Findoro finanziaria s.p.a. ottenne dal Tribunale di Napoli Nord l’emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti di R.R. per la somma di Euro 24.856,05. Proposta opposizione da parte del R. , il Tribunale la dichiarò inammissibile per tardività, essendo stata notificata presso un indirizzo errato. 2. Avverso questa sentenza ha proposto appello l’opponente soccombente e la Corte d’appello di Napoli, con sentenza dell’11 aprile 2018, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado. La Corte di merito - dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte relativa all’esito negativo della notificazione ed alla necessità, in tal caso, che il notificante riattivi il procedimento notificatorio entro un termine ragionevolmente contenuto - ha osservato che correttamente il Tribunale aveva ritenuto tardiva l’opposizione, perché il R. , dopo aver compiuto una prima notifica in data 18 settembre 2015, non andata a buon fine, ne aveva compiuto una seconda in data 16 ottobre 2015. La seconda notifica, andata a buon fine, era però avvenuta presso l’indirizzo PEC che l’avvocato della parte intimante sin dal ricorso per decreto ingiuntivo aveva indicato e che, pertanto, sin dall’inizio l’opponente ben avrebbe potuto utilizzare . 4. Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli propone ricorso R.R. con atto affidato ad un solo motivo. Resiste la Findoro finanziaria s.p.a. in liquidazione con controricorso. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione di norme di diritto per avere la Corte di merito ritenuto che il cambio di indirizzo da parte dell’avv. R. C. si fosse correttamente perfezionato presso il Consiglio dell’ordine di Napoli, desumendo da ciò che l’opponente avrebbe dovuto conoscerlo. 1.1. Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte napoletana, come si è detto, ha osservato che l’indirizzo PEC del difensore di controparte risultava già dal ricorso monitorio, per cui l’opponente avrebbe potuto e dovuto conoscerlo. Rispetto a tale considerazione, il ricorso non pone alcuna effettiva contestazione, limitandosi ad osservare che c’era stato un cambio di indirizzo che non poteva ritenersi perfezionato per ragioni che restano non esplicate . È appena il caso di rilevare, d’altra parte, che la giurisprudenza richiamata in sentenza e nel ricorso Sezioni Unite, sentenza 24 luglio 2009, n. 17352, cui deve essere aggiunta la più recente sentenza, sempre delle Sezioni Unite, 15 luglio 2016, n. 14594 presuppone che il procedimento notificatorio non sia andato a buon fine per ragioni non imputabili al ricorrente. Nel caso in esame, invece, l’errore notificatorio è da ricondurre, secondo la ricostruzione operata nella sentenza qui impugnata, a responsabilità dell’opponente che non ha utilizzato l’indirizzo PEC che era già noto. 2. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile. A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.800, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.