Notifica telematica della sentenza: necessario anche il deposito dei messaggi PEC con annesse ricevute

Ai fini della procedibilità del ricorso, è necessario il tempestivo deposito non solo della copia autentica della sentenza di appello, ma anche dei messaggi di spedizione e ricezione a mezzo PEC della stessa con le annesse ricevute.

Così si esprime la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26951/19, depositata il 22 ottobre. Il fatto. Il Tribunale di Pordenone rigettava la domanda dell’attore, ingegnere che aveva convenuto in giudizio la Provincia di Pordenone per riscuotere le proprie competenze e le spese sostenute. Egli, infatti, era stato nominato, attraverso una delibera dirigenziale, coordinatore della sicurezza per l’esecuzione delle opere” relative alla realizzazione della sede istituzionale della Provincia, ma, al momento della nomina avvenuta nel 1999 non vi era ancora alcuna specifica previsione circa le tariffe professionali da applicare. Successivamente, le stesse costituirono oggetto di D.M. del 4.04.2001 , il quale intervenne prima che l’incarico dell’attore fosse terminato. Per questo, egli si rivolgeva al Tribunale chiedendo la rideterminazione del suo compenso in applicazione del suddetto decreto. Tuttavia, tanto il Tribunale quanto a seguito di impugnazione la Corte d’Appello di Trieste non accoglievano la pretesa dell’attore. Dunque, quest’ultimo propone ricorso per cassazione. Deposito dei messaggi PEC. La Corte di Cassazione dichiara il ricorso improcedibile, ritenendo sussistente la violazione dell’art. 360, comma 2, n. 2, c.p.c. poiché non risulta depositata la copia autentica della sentenza con la relazione di notificazione, avendo il ricorrente depositato solo copia della sentenza di appello senza la relata di notifica e, in caso di notifica avvenuta a mezzo PEC, anche il messaggio di avvenuta ricezione con la relativa attestazione di conformità. Nell’affermare ciò, gli Ermellini richiamano un precedente giurisprudenziale molto recente, ovvero la sentenza n. 8312/2019 delle Sezioni Unite, le quali, riferendosi all’ipotesi in cui la sentenza impugnata sia stata notificata mediante Posta Elettronica Certificata, precisano che per la procedibilità del ricorso è necessario il deposito tempestivo della copia della relata della notificazione telematica e del corrispondente messaggio PEC con annesse ricevute anche senza attestazioni di conformità , tenendo conto che solo così il ricorrente avrà la facoltà di provvedere al deposito fino all’udienza dell’attestazione di conformità dei messaggi cartacei. Conseguentemente, il ricorso sarà improcedibile anche quando, pur essendo stata depositata la copia autentica della sentenza che si assume essere stata notificata, non siano tuttavia stati depositati nel termine previsto dall’art. 369 c.p.c. anche i suddetti messaggi PEC con le relative ricevute. Nel caso di specie, la Corte rileva che risulta prodotta solo la copia della sentenza di appello, senza alcuna traccia delle copie cartacee dei messaggi di spedizione e ricezione mediante PEC della medesima, né nella produzione del ricorrente né in quella della parte controricorrente. Per questo motivo, dunque, la Corte dichiara il ricorso improcedibile.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 giugno – 22 ottobre 2019, n. 26951 Presidente Campanile – Relatore Bellini Fatti di causa Con atto di citazione del 13.4.2010 l’ing. M.C. conveniva in giudizio la PROVINCIA DI PORDENONE esponendo, tra l’altro che la Provincia di Pordenone, con determinazione dirigenziale n. 2109/1999 e disciplinare d’incarico del 22.11.1999, aveva nominato l’attore quale coordinatore della sicurezza per l’esecuzione delle opere afferenti la realizzazione della propria sede istituzionale che, introdotta dal D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 3, comma 4, la figura del coordinatore della sicurezza per l’esecuzione delle opere non aveva trovato, al tempo 1999 , specifica previsione nelle tariffe professionali che per le stazioni appaltanti, in caso di un appalto pubblico L. n. 109 del 1994, art. 17, commi 14-bis, ter e quater nella formulazione vigente al 22.11.1999 sussisteva l’obbligo di fare riferimento, quanto al compenso, alla Tariffa Professionale di riferimento L. n. 143 del 1949 per architetti e ingegneri che, all’art. 1 del disciplinare del 22.11.1999, le parti contraenti avevano stimato l’onorario per la prestazione in L. 257.260.798 oneri fiscali e previdenziali compresi che, con D.M. 4 aprile 2001, ad incarico non ancora concluso, erano state modificate le Tariffe Professionali degli ingegneri, con previsione di onorari fissi e invariabili che in data 3.9.2001, l’attore, essendo ancora in corso la propria prestazione professionale, aveva trasmesso alla convenuta i prospetti dei compensi a lui dovuti aggiornati in conformità alla nuova Tariffa che in data 31.3.2008, invocando l’applicabilità del D.M. 4 aprile 2001, l’attore aveva chiesto alla convenuta la rideterminazione delle proprie competenze e spese per complessivi Euro 526.803,27 che dopo nuovo invito al pagamento, la Provincia di Pordenone, in data 26.1.2009, aveva avviato la verifica circa la corretta applicazione del D.M. 4 aprile 2001 e, successivamente, aveva comunicato di ritenere non ammissibile la rideterminazione dell’onorario ai sensi del citato D.M. del 2001. Si costituiva in giudizio la Provincia di Pordenone, la quale eccepiva che era stato pattuito un compenso fisso con il disciplinare d’incarico del 22.11.1999, che rinviava alla circolare n. 160/XV del CNI del 1997, senza previsione di clausole di rinegoziazione del rapporto o di rinvio alle Tariffe di riferimento alla data in cui i lavori erano stati effettuati. Espletata CTU e prova testimoniale, con sentenza n. 912/2013, depositata in data 14.11.2013, il Tribunale di Pordenone aveva rigettato la domanda dell’attore, condannandolo al pagamento delle spese di lite e di CTU. In particolare, il Giudice di primo grado aveva ritenuto che le note con le quali l’Ing. M. aveva chiesto l’applicazione del D.M. del 2001 costituissero solo una proposta di modifica dell’originario disciplinare, non accettata dalla Provincia e che si applicassero le Tariffe in vigore al momento della conclusione dell’attività professionale. Avverso detta sentenza proponeva appello l’attore. Si costituiva la Provincia di Pordenone chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata. Con sentenza n. 504/2015, depositata in data 11.8.2015, la Corte d’Appello di Trieste rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado e condannando l’appellante alla rifusione delle spese di lite del grado. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione M.C. sulla base di un motivo, illustrato da memoria resiste la Provincia di Pordenone con controricorso. La causa proviene dall’adunanza camerale del 6.3.2019. Ragioni della decisione 1. - Con l’unico motivo, il ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione o falsa applicazione della L. n. 109 del 1994, art. 17, comma 14-bis, ter e quater, nonché della L. n. 143 del 1949, art. 2, comma 2 in relazione agli artt. 2233 e 1419 c.c. . Il ricorrente deduce la violazione da parte della Corte di merito delle norme evocate, vigenti all’epoca del disciplinare perfezionatosi tra le parti, ed in particolare delle disposizioni della legge Merloni , che - nella versione dell’art. 17 vigente al 22.11.1999, per effetto delle emende apportate dalla L. n. 415 del 1998 - stabiliva che in materia di appalti pubblici i corrispettivi per l’attività del coordinatore per la sicurezza sarebbero stati regolati da un successivo D.M. che sarà il D.M. del 2001 del Ministro di Grazia e Giustizia di concerto con il Ministro dei Lavori Pubblici fino all’emanazione del suddetto D.M. le stazioni appaltanti avrebbero dovuto applicare le Tariffe Professionali in vigore e per gli ingegneri la L. n. 143 del 1949 i corrispettivi così determinati venivano qualificati come minimi inderogabili, la cui violazione era sanzionata con previsione di nullità. Pertanto, il disciplinare del 22.11.1999 era ancorato alla Tariffa vigente all’epoca del suo perfezionamento L. n. 143 del 1949 e, non essendo al tempo tabellata l’attività del coordinatore per la sicurezza, le parti, nell’applicare detta Tariffa, avevano fatto riferimento all’analogia, come previsto dalla L. n. 143 del 1949, art. 2, e ciò in conformità alle proposte applicative fornite dal CNI con la citata circolare 160/XV del 14.11.1997. 2. - Ciò premesso in sintesi, ritiene tuttavia questo Collegio, in via preliminare e dirimente, questo Collegio ritiene tuttavia che il ricorso principale sia improcedibile per la violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in quanto, pur avendo la stessa parte ricorrente dichiarato che la sentenza impugnata le è stata notificata in data 2/9/2015, non risulta però depositata copia autentica con la relazione di notificazione, avendo la parte solo depositato copia della sentenza di appello, senza però che sia stata versata in atti anche la relata di notifica v. ricorso pag. 31 , ed in particolare, ove la notifica fosse avvenuta a mezzo pec il messaggio di avvenuta ricezione con relativa attestazione di conformità. Peraltro la copia autentica con relata di notifica non si rinviene nemmeno nella produzione di parte controricorrente, con la conseguenza che il ricorso deve essere dichiarato improcedibile. Nè nella controversia può ritenersi che possa spiegare efficacia quanto alla correttezza del rilievo dell’improcedibilità, di cui alla proposta del relatore, quanto precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8312/2019. Tale decisione, sebbene riferita alla specifica ipotesi in cui la sentenza impugnata sia stata notificata a mezzo PEC, laddove nel caso in esame si riferisce in ricorso di una non meglio precisata, quanto alle modalità di esecuzione, notifica della sentenza gravata, anche laddove voglia reputarsi che nel caso in esame la notifica sia avvenuta a mezzo pec, ha, infatti, avuto modo di precisare alla pag. 42, sub 2 che ai fini della procedibilità del ricorso si palesa comunque necessario il tempestivo deposito della copia della relata della notificazione telematica e del corrispondente messaggio pec con annesse ricevute, ancorché prive di attestazione di conformità del difensore oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, posto che solo in tal caso è dato al ricorrente provvedere al deposito sino all’udienza dell’attestazione di conformità del messaggi cartacei. Deve quindi reputarsi che il ricorso resti improcedibile laddove, pur essendosi depositata copia autentica della sentenza, che però si assume essere stata notificata, non siano stati tempestivamente depositati nel termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, anche i detti messaggi pec con annesse ricevute. Nel caso in esame, come rilevato, risulta prodotta solo copia della sentenza d’appello, non rinvenendosi copie cartacee dei messaggi di spedizione e ricezione a mezzo pec della stessa sentenza, nè nella produzione del ricorrente nè in quella di parte controricorrente. Laddove, come detto, la circostanza della carenza di una copia - non già soltanto autentica, ma soprattutto anche - notificata risulta dalla stessa nota di deposito della documentazione nella cancelleria di questa Corte, acquisita in copia dal Collegio, ove si menziona contrariamente a quanto proclamato in ricorso e si certifica da parte della cancelleria il deposito della sola copia autentica del provvedimento impugnato, ma non già della sua copia notificata, questa non risultandovi menzionata espressamente in tal senso Cass. n. 13957 del 2019 . Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono le condizioni per dare atto L. n. 228 del 2012, ex art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del T.U. n. 115/2002 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso improcedibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.