L’oggetto della ricevuta telematica consente al destinatario di comprendere la finalità della notifica

In tema di notifica a mezzo PEC, è sempre onere della parte provvedere all’apertura delle comunicazioni di cancelleria che pervengono sull’indirizzo di posta elettronica certificata ed esaminarne il contenuto.

Sul punto è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 20947/18 depositata il 22 agosto, pronunciandosi su una questione relativa alla dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore, nato da genitori stranieri, con conseguente nomina da parte dei Giudici di prime cure di un curatore speciale, il quale, avverso la sentenza di secondo grado propone ricorso per cassazione nell’interesse del minore. La notifica a mezzo PEC. Dalla documentazione in atti si evince che il cancelliere addetto presso la Corte d’Appello ha provveduto ad inviare al gestore dei servizi telematici del sistema di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia, per il successivo inoltro all’indirizzo PEC della parte, curatore speciale nominato nell’interesse del minore, copia della sentenza impugnata. Pertanto la notifica a mezzo PEC è avvenuta regolarmente ed è quindi idonea a determinare la decorrenza del termine breve di impugnazione anche per il notificante. Così il ricorso per cassazione, nel caso di specie, risulta tardivo poiché notificato oltre il termine di 30 giorni dalla notificazione della sentenza di appello all’impugnante. Prosegue poi la Suprema Corte che è onere della parte esaminare il contenuto delle comunicazioni che pervengono dalla cancelleria, proprio come avviene per i plichi contenenti un atto giudiziario prevenuti a mezzo posta ovvero recapitati dall’Ufficiale giudiziario. Nella fattispecie, inoltre, la ricevuta telematica dell’avvenuta notifica riporta nell’oggetto la dicitura deposito sentenza - pubblicazione e nella descrizione dell’atto l’indicazione depositata pubblicata sentenza , consentendo così al destinatario di comprendere in modo inequivocabile la specifica tipologia e finalità della notifica effettuata. Da ciò consegue l’inammissibilità del ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 30 maggio – 22 agosto 2018, n. 20947 Presidente Genovese – Relatore Di Marzio Fatti di causa la procedura in esame nasce a tutela del minore Mo.Ma., nato a omissis , della cui dichiarazione di adottabilità si controverte. Il bambino è figlio di N.T.G.L., cittadino camerunense stabilmente residente in Italia dal 2007, il quale ha conseguito il titolo di studio in scienze infermieristiche presso l’Università di omissis e trovato lavoro presso uno studio medico sito nella città di omissis . La madre, M.C., è cittadina italiana, nota al SSN per essere affetta da disturbo schizoaffettivo, risulta collocata di sua volontà in una struttura mistico-religiosa terapeutica”, ed appare bisognosa di un costante sostegno farmacologico e terapeutico. Il procedimento ex art. 333 cod. civ. veniva promosso in data 5.02.2014, a seguito di segnalazioni pervenute dall’Ospedale S. Anna di Como - Unità di psichiatria - e dal Comune di omissis , sotto impulso del Pubblico Ministero presso il Tribunale per i Minorenni di Milano con richiesta di affidamento del minore all’ente di competenza e suo collocamento in una comunità, unitamente alla madre. Successivamente, a fronte della dichiarazione della madre, che aveva manifestato la volontà di destinare il figlio all’adozione - peraltro per potersi dedicare a tempo pieno alla fondazione di un ordine religioso - il Tribunale per i Minorenni di Milano provvedeva, in via provvisoria ed urgente, ad affidare il minore al Servizio Sociale del Comune di residenza, incaricandolo di adoperarsi per il collocamento del bambino in comunità, da solo. Su ricorso del Pubblico Ministero veniva quindi aperto, con decreto del 7.03.2014 del Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, il procedimento ex art. 8, L. n. 184/1983 e nominato il curatore speciale nell’interesse del minore. Seguiva in data 22.03.2014 il riconoscimento del bambino da parte del padre, N.T.G.L., il quale manifestava il desiderio di prendersene cura in via esclusiva, domandando l’affidamento del piccolo con collocamento presso di sé e, in via subordinata, il temporaneo affidamento al Comune di residenza. Nelle more del giudizio di primo grado venivano acquisite le relazioni psico-sociali e psicodiagnostiche effettuate dagli assistenti sociali su tutti i soggetti coinvolti genitori, minore, nonni materni e zie - con particolare riguardo alle condizioni dei genitori, nonché le relazioni della comunità ospitante il minore, dalle quali emergeva il profilo di un bambino richiedente un accudimento costante. Erano acquisite pure le relazioni della medesima comunità che, riferendo in merito agli incontri protetti fra il piccolo Ma. e il padre, e circa quelli intervenuti fra il primo e la madre, mettevano in evidenza la carenza di opportune risorse, adeguate all’esercizio della responsabilità genitoriale, anche solo vicaria. Si raccoglievano, quindi, i pareri convergenti del Pubblico Ministero, della comunità ospitante il minore e del servizio sociale del Comune di omissis tutti intesi ad una pronuncia di adottabilità, al fine di avviare immediatamente un percorso di crescita il più possibile stabile, sereno ed armonico” del minore. Il Tribunale per i Minorenni di Milano, all’esito della valutazione di tutto quanto dedotto, con sentenza n. 365/2014 del 6-10.11.2014 pronunciava lo stato di adottabilità del minore Mo.Ma., sospendendo ambedue i genitori dall’esercizio della responsabilità genitoriale e disponendo l’interruzione di ogni rapporto con il bambino, il quale veniva collocato presso famiglia idonea. Infine nominava quale tutore del bambino il Sindaco di omissis . Il Giudice di primo grado motivava sulla base dell’accertamento delle gravi patologie psichiatriche proprie della madre la quale, già subito dopo il parto, aveva posto in essere comportamenti abbandonici del figlio, alternando fasi di compenso a ripetuti ricoveri in regime di TSO, non mancando di evidenziare l’atteggiamento ostile della medesima nell’affidare il minore alle cure dei propri familiari o del padre, a suo avviso incapace di occuparsene. Quanto al padre, il Tribunale poneva a fondamento della propria pronuncia, la rilevata tendenza dello stesso ad una eccessiva semplificazione e minimizzazione di alcuni passaggi della sua storia personale” sent. C. d’A. p. 3, lett. e , non avendo riconosciuto le psicopatologie della M., se non a seguito degli avvertimenti del nonno materno. Il giudice di primo grado valorizzava anche le dichiarazioni rese dal N. innanzi ad esso, circa la possibilità e volontà di occuparsi in via esclusiva del figlio, ma non prima del compimento del suo secondo o terzo anno di età, essendo molto impegnato nel lavoro e pure disposto, perciò, ad accettare un aiuto da parte dei familiari della M., nei confronti dei quali manifestava un rapporto di dipendenza. Di contro, il nonno materno dichiarava di essere favorevole all’adozione e la nonna materna rivelava di non sentirsi in condizioni tali da potersi occupare in prima persona del nipote. Mancava pure la disponibilità delle zie materne. Il padre del bambino spiegava ricorso innanzi alla Corte di Appello, chiedendo l’integrale riforma della impugnata sentenza e la previsione, in luogo della dichiarazione dello stato di adottabilità, dell’affido in via esclusiva del figlio minore Ma. a lui. Domandava, inoltre, che fosse richiesto alle strutture ed ai servizi specialistici competenti sul territorio, di fornire ogni adeguato sostegno e supporto alla coppia padre-figlio, onde consentire la definitiva accoglienza del minore presso il N., e la regolamentazione degli incontri del bambino con la madre, in ambiente protetto - previo accertamento dell’attuale stato di salute della donna e della possibilità di seguire la crescita del figlio -, ed anche con i componenti della famiglia materna. In via subordinata era richiesto, almeno, l’affido temporaneo del minore al Comune di residenza. Si costituiva in giudizio pure la madre, M.C., ed anche lei chiedeva la revoca della dichiarazione dello stato di adottabilità del figlio Ma., previo accertamento dell’idoneità genitoriale del padre ad occuparsi del bambino mediante approfondite indagini psico-sociali. Si costituiva pure il curatore speciale del minore, nominato in primo grado dal Tribunale per i Minorenni, il quale concludeva invece per la conferma della impugnata sentenza. La Corte meneghina disponeva una prima CTU volta a rivalutare compiutamente le condizioni personali della M., il cui esito confermava l’assoluta incapacità della donna di occuparsi del figlio, come del resto ammesso dalla stessa, in quanto tutta concentrata sui propri bisogni e, dunque, incapace di cogliere quelli del minore. La sua condizione personale risultava tale da non rendere possibile un giudizio prognostico positivo sull’evoluzione della situazione personale della madre in tempi compatibili con le necessità di sviluppo del figlioletto. La Corte del merito espletava, mediante CTU, un accertamento anche sulla personalità del padre, al fine di verificare la sussistenza di una sua autonoma capacità genitoriale e progettuale. Emergeva in conseguenza, tra l’altro, che l’appellante intratteneva una relazione affettiva con una connazionale da anni stabilmente residente in Italia, studentessa di medicina, molto legata al N. e seriamente intenzionata ad aiutarlo nell’accudimento del piccolo Ma Il N. aveva pure di recente acquistato un appartamento a omissis , dove conviveva con la compagna, ed i due aspettavano una figlia che sarebbe nata tra il mese di magio e quello di luglio del 2014. Conseguentemente si rendeva necessario disporre una nuova CTU. Entrambi i consulenti d’ufficio davano conto della estrema fragilità ed immaturità del padre del minore. Riferivano circa la sua tendenza all’eccessiva banalizzazione e la superficialità dell’appellante nel valutare la situazione complessiva del figlio. Il giudice di seconde cure riteneva però non ravvisabili, nel caso di specie, i presupposti dello stato di abbandono morale e materiale del minore da parte del padre, tale da rendere giustificabile la rescissione di qualsivoglia legame con la figura paterna, essendo emersa con forza, nel corso del giudizio di impugnazione, l’autenticità della richiesta del N. di poter prendersi cura del bambino e la sua concretizzata volontà di creare una famiglia ove poterlo accogliere e crescere, pur nella consapevolezza della necessità di aiuto da parte dei servizi competenti” sent. Corte d’Appello, p. 4 . La Corte territoriale, definitivamente pronunciando con sentenza n. 44/2016 del 10.10.2016, revocava quindi la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, incaricando il Comune di Como - ove si trova la nuova residenza del N., in seguito al trasferimento di questi - di provvedere alla immediata ripresa dei contatti ed alla ricostruzione di un rapporto padre-figlio significativo. La madre, M.C., veniva invece dichiarata decaduta dal ruolo di esercente la responsabilità genitoriale sul figlio Ma La Corte meneghina imponeva, inoltre, ai familiari della madre il divieto di cercare di instaurare una relazione con il minore. Avverso la decisione della Corte di Appello di Milano ha proposto impugnativa, nell’interesse del minore Mo.Ma., il curatore speciale nella persona dell’Avv. R.V., affidandosi a due motivi. Resiste con controricorso il padre, N.T.G.L Sia il ricorrente che il controricorrente hanno depositato memorie. Le altre parti non si sono costituite. Ragioni della decisione 1.1. - Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., l’impugnante contesta la nullità della sentenza impugnata, censurando la decisione della Corte di merito per non aver disposto la convocazione della famiglia presso la quale il minore risulta collocato a scopo adottivo, a far data dal 10.12.2014, in violazione dell’art. 5, comma primo, L. n. 184/1983, così come modificato dalla L. n. 173/2015, norma che risulta applicabile a tutti i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge di riforma. 1.2. - Il ricorrente curatore del bambino, con il secondo motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., in relazione alla sussistenza dei presupposti integranti lo stato di abbandono morale e materiale del minore, lamenta la violazione della legge sull’adozione ed il vizio di motivazione, in quanto il giudice di seconde cure, nell’assumere la decisione, ha omesso di considerare fatti essenziali al fine di correttamente valutare il merito del giudizio. Nello specifico la Corte Territoriale viene censurata dall’impugnante per aver trascurato l’interesse del minore ad essere collocato in uno stabile contesto familiare, entro tempi compatibili con le sue esigenze di crescita e formazione della personalità il grado di sviluppo del minore, la sua età anagrafica ed i riscontri assai positivi in merito al suo sviluppo entro il nuovo contesto familiare. La Corte di merito, inoltre, secondo il ricorrente non ha correttamente valutato le risultanze delle CTU che ha accertato la condizione psichica e personale del N., tali da non assicurare un normale sviluppo psico-fisico del minore, valorizzando passaggi meno significativi delle perizie e tralasciando aspetti rilevanti ai fini del giudizio. Ancora, la Corte lombarda non avrebbe adeguatamente valutato l’incompatibilità dei tempi di recupero delle capacità genitoriali da parte del padre con l’esigenza di un armonico sviluppo del minore non avrebbe approfondito la considerazione della non stabilità della convivenza avviata dall’odierno controricorrente con una giovane connazionale, invero non culminata nel matrimonio, alla luce dei dubbi inerenti detta relazione, manifestati proprio dalla nuova compagna del N. al Servizio Tutela Minori. Questa Corte ritiene che non sussistano le condizioni perché possa procedersi all’esame dei motivi di ricorso. Occorre, infatti, esaminare una questione preliminare, evidenziata nel suo primo scritto difensivo dal controricorrente. Invero, dalla documentazione prodotta dal controricorrente si evince che il Cancelliere addetto presso la Corte di Appello di Milano, in data 10.10.2016 ha provveduto ad inviare al Gestore del Servizi Telematici del sistema di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia, per il successivo inoltro all’indirizzo di posta elettronica certificata della parte, Avv. R.V., curatore speciale nominato nel primo grado di giudizio nell’interesse del minore, copia della impugnata sentenza n. 44, pronunciata dalla Corte di Appello di Milano in data 8.09.2016 e resa pubblica il 10.10.2016. Pertanto, la notifica è avvenuta regolarmente all’indirizzo PEC indicato dall’Avv. R., come risulta dalla copia autentica della ricevuta telematica rilasciata dalla Cancelleria della Corte di Appello di Milano, a seguito di istanza di parte. La predetta notifica era, quindi, idonea a determinare la decorrenza del termine breve di impugnazione di cui all’art. 325, comma II, cod. proc. civ. anche per il notificante Cass. S.U., sent. n. 23829 del 19/11/2007 . L’impugnativa in esame è stata avviata per la notificazione all’Avv.to Clelia De Vincenzo, procuratore del N.T.G.L., mediante spedizione a mezzo del servizio di posta elettronica certificata in data 7.04.2017, corrispondente a quella indicata nella ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna. Il ricorso per cassazione, pertanto, risulta all’evidenza tardivo in quanto, come ripetutamente chiarito dalla Suprema Corte, notificato oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di appello all’impugnante, che si ricorda essere regolarmente avvenuta il giorno 10.10.2016 cfr. Cass. sez. I, 6.12.2017, n. 29302, e 15.11.2017, n. 27139 . Parte ricorrente contesta simile evidenza, sostenendo in memoria che, alla comunicazione” eseguita dalla Cancelleria della Corte di Appello di Milano, non potrebbe essere attribuito valore di notificazione ai sensi dell’art. 17, della legge n. 184 del 1983, pertanto idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione della decisione innanzi alla Corte di legittimità, essendo essa risultata carente di qualsiasi riferimento esplicito alla natura dell’atto inviato e, in conseguenza, alla finalità cui questa comunicazione” sarebbe stata preordinata, potendo perciò essere confusa con ogni altra. L’argomento risulta infondato. È sempre onere della parte, infatti, provvedere ad aprire le comunicazioni di cancelleria che pervengono sull’indirizzo di posta elettronica certificata, peraltro da essa stessa indicato - con la specifica finalità del ricevimento delle comunicazioni e notificazioni di atti giudiziari - ed esaminarne il contenuto, proprio come avviene in relazione ad ogni plico contenente un atto giudiziario pervenuto a mezzo posta, oppure recapitato dall’Ufficiale giudiziario cui non si ipotizza l’invalidità o l’inefficacia qualora non risulti alcuna annotazione sul plico circa la specifica natura dell’atto contenuto al suo interno. Nel caso di specie, peraltro, la difesa proposta dal ricorrente risulta infondata anche a voler seguire la sua prospettazione. La ricevuta telematica dell’avvenuta notifica, infatti, riporta nell’oggetto la dicitura deposito sentenza – pubblicazione”, e nella descrizione dell’atto l’indicazione depositata pubblicata sentenza n. 44/2016 esito Riforma totale ”, consentendo, quindi, al destinatario di comprendere inequivocabilmente la specifica tipologia e finalità della notifica effettuata e le relative conseguenze. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso introdotto dal curatore speciale del minore, Avv. R.V., per tardività della sua proposizione. La natura meramente processuale della pronuncia, e la peculiarità delle ragioni della decisione, inducono a ritenere equo disporre la compensazione delle spese di lite tra le parti. Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, la Corte, visto il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, prende atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da R.V., nella qualità di curatore speciale del minore Mo.Ma., e dispone la integrale compensazione delle spese di lite fra le parti. Ordina, ai sensi dell’art. 52, comma 5, del D.Lgs. 30.6.2003, n. 196, che, in caso di riproduzione per la diffusione della presente decisione, le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati siano omessi.