L’obbligo della notificazione telematica scatta solo se la PEC è indicata senza ulteriori specificazioni

Nel giudizio per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 366 c.p.c. introdotto dall’art. 25 l. n. 183/2011, qualora il ricorrente non abbia eletto domicilio a Roma ed abbia indicato l’indirizzo PEC ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria, è valida la comunicazione del controricorso presso la cancelleria della Corte di Cassazione perché mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23289/17, depositata il 5 ottobre. Il fatto. Un avvocato proponeva ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. avverso un’ordinanza con cui il Tribunale territorialmente competente, a scioglimento della riserva assunta all’esito della fase sommaria di un procedimento di opposizione agli atti esecutivi – introdotto, preraltro, dallo stesso ricorrente avverso un’ordinanza di assegnazione di somme pignorate in una procedura esecutiva mobiliare nella quale aveva spiegato intervento - dichiarava inammissibile l’opposizione con gravame delle spese, senza fissare il termine per l’introduzione del giudizio di merito. A detto ricorso resisteva con controricorso l’erede universale testamentaria dell’originario convenuto. Inammissibilità. Gli Ermellini, hanno ritenuto infondata, l’eccezione di inammissibilità del controricorso spiegata dal ricorrente nella propria memoria in quanto notificato in cancelleria in violazione dell’art. 366, comma 2, c.p.c. nel testo introdotto dalla l. n. 183/2011, cioè sebbene il ricorrente, difensore di sé stesso, avesse indicato nel ricorso il proprio indirizzo PEC. L’infondatezza dell’eccezione si poggerebbe, per i Giudici di legittimità, sul principio di diritto secondo cui l’indicazione nel ricorso dell’indirizzo di posta elettronica ai fini delle sole comunicazioni di cancelleria fa si che ove il ricorrente non abbia eletto domicilio in Roma sarà valida la notificazione del controricorso presso la cancelleria della Corte di Cassazione. La previsione nella stessa norma dell’art. 366 cit. di una distinta disposizione per le comunicazioni di cancelleria evidenzia un criterio di esegesi obbligata della dichiarazione fatta nel ricorso con espresso riferimento alle comunicazioni di cancelleria e non anche alle notificazioni degli atti della controparte, che appare possibile espressione di una scelta consapevole, dovuta al non voler determinare un appesantimento della propria PEC con la ricezione di atti notificati per esteso. Concludendo. I Giudici, concludono evidenziando che la predetta esegesi, ove si trattasse di un lapsus calami , è imposta dal dovere di rispetto della buona fede della controparte anche emergente dall’art. 88 c.p.c. e ciò tenuto conto che l’indicazione della PEC si accompagnò, nella specie, a quella anteriore di un indirizzo di fax che poteva trovare spiegazione solo nell’essere l’indicazione diretta alla sola cancelleria della Corte, atteso che l’alternativa della indicazione dell’indirizzo di fax era contemplata, come si è visto, dal testo previgente dell’ultimo comma dell’art. 366 c.p.c

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 22 giugno – 5 ottobre 2017, n. 23289 Presidente Amendola – Relatore Frasca Fatto e diritto Rilevato che 1. L’avvocato S.P. ha proposto ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, settimo comma, della Costituzione, contro C.F. e nei confronti di M.G. , avverso l’ordinanza del 5 agosto 2014, con cui il Tribunale di Fermo, a scioglimento della riserva assunta all’esito della fase sommaria di un procedimento di opposizione agli atti esecutivi introdotto da esso ricorrente avverso un’ordinanza di assegnazione di somme pignorate in una procedura esecutiva mobiliare introdotta dal C. contro il M. , nella quale aveva spiegato intervento, ha dichiarata inammissibile l’opposizione con gravame delle spese, senza fissare il termine per l’introduzione del giudizio di merito. 2. Al ricorso ha resistito con controricorso D.C.L. , nella qualità di erede universale testamentaria del C. . 3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore proposta di definizione del ricorso con declaratoria di inammissibilità ed è stata fissata con decreto adunanza della Corte. Il decreto e la proposta sono stati notificati agli avvocati delle parti. 4. Parte ricorrente ha depositato memoria. Considerato che 1. Il Collegio condivide la proposta del relatore, in quanto il ricorso è stato proposto contro un provvedimento che non ha natura di sentenza decisoria del procedimento di opposizione agli atti. Ciò, giusta la consolidata giurisprudenza evocata nella proposta, di cui a Cass. ord. nn. 17860 del 2011 e, da ultimo, ex multis, Cass. ord. n. 9652 del 2017. 2. Nella sua memoria parte ricorrente, evocando Cass. n. 20532 del 2009 e n. 22767 del 2010, adduce che nella specie l’inammissibilità non si configurerebbe perché vi sarebbe stata liquidazione delle spese giudiziali. L’assunto non considera che le decisioni citate sono state superate, come questa Corte ha osservato recentemente con l’ordinanza n. 12781 del 2017 di questa stessa Sottosezione, scrutinando un analogo rilievo nell’esaminare altro ricorso. Ivi si è rilevato, infatti, che 2. Il ricorso è manifestamente inammissibile, avuto riguardo al consolidata principio di diritto, secondo cui In tema di opposizioni esecutive ex artt. 615, comma 2, 617 e 619 c.p.c., nella formulazione attualmente vigente, il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, chiudendo la fase sommaria, liquidi le spese ma ometta, al contempo, di fissare il termine per l’introduzione del giudizio a cognizione piena, è inammissibile atteso che, da un lato, il provvedimento conclusivo della fase sommaria, pur dovendo contenere necessariamente la statuizione sulle spese, in sé riesaminabile nel giudizio di merito, è privo del carattere di definitività, mentre, dall’altro, la mancata indicazione del termine entro cui introdurre la successiva eventuale fase di merito può essere sanata richiedendo l’integrazione del provvedimento, ex art. 289 c.p.c., ovvero introducendo autonomamente il giudizio a cognizione piena, in mancanza delle quali il procedimento si estingue ex art. 307 c.p.c. con conseguente impossibilità di rimettere in discussione la statuizione sulle spese. ex multis, da ultimo, così Cass. ord. n. 12170 del 2016 e 25902 del 2016 . Tale orientamento è iniziato con Cass. ord. n. 22033 del 2011 e Cass. ord. n. 20503 del 2011, che hanno consapevolmente superato il principio affermato, invece, da una decisione invocata nella memoria dal ricorrente, cioè da Cass. ord. n. 22767 del 2010, la quale, nell’ipotesi di condanna alle spese con il provvedimento emesso a definizione della fase sommaria privo della fissazione del termine per l’inizio del giudizio di merito aveva ravvisato la ricorribilità del provvedimento in Cassazione. Successivamente a quelle pronunce il nuovo orientamento è stato sempre costantemente ribadito per esempio da Cass. ord. n. 19644 del 2014 ord. n. 25111 del 2015 fino alle ultime decisioni citate e tanto esclude l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza della Corte, come postulato dal ricorrente nella memoria. . 3. Parte ricorrente nella memoria ha eccepito, poi, l’inammissibilità del controricorso, in quanto notificato in cancelleria in violazione dell’art. 366, comma 2 cod. proc. civ. nel testo introdotto dalla legge n. 183 del 2011 , cioè ancorché il ricorrente, difensore di se stesso avesse indicato nel ricorso il proprio indirizzo di P.E.C 3.1. L’eccezione è priva di fondamento alla stregua del principio di diritto secondo cui Nel giudizio per cassazione, a seguito delle modifiche dell’art. 366 cod. proc. civ. introdotte dall’art. 25 della legge 12 novembre 2011, n. 183, qualora il ricorrente non abbia eletto domicilio in Roma ed abbia indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata ai soli fini delle comunicazioni di cancelleria, è valida la notificazione del controricorso presso la cancelleria della Corte di cassazione, perché, mentre l’indicazione della PEC senza ulteriori specificazioni è idonea a far scattare l’obbligo del notificante di utilizzare la notificazione telematica, non altrettanto può affermarsi nell’ipotesi in cui l’indirizzo di posta elettronica sia stato indicato in ricorso per le sole comunicazioni di cancelleria Cass. n. 25515 del 2015 in senso conforme Cass. n. 23412 del 2016 . Tale principio di diritto è applicabile, perché nel ricorso il ricorrente ha espressamente dichiarato di volere ricevere le comunicazioni di cancelleria all’indirizzo di P.E.C. che ha indicato, onde ai fini della notifica del controricorso era domiciliato in cancelleria. 3.2. Il Collego rileva al riguardo a che la circostanza che l’indicazione del voler ricevere le comunicazioni di cancelleria all’indirizzo di P.E.C. non potrebbe essere interpretata nel senso di non essere limitata ad esse e non anche alla notificazione del controricorso, sul riflesso che si sarebbe trattato di una indicazione inutile, in ragione del fatto che l’effetto di determinare l’obbligo della cancelleria di comunicare alla PEC comunque sarebbe disceso dall’ultimo comma dell’art. 366 cod. proc. civ. come sostituito dal n. 2 della lettera i del comma 1 dell’art. 25, L. 12 novembre 2011, n. 183 in vigore dal 1 gennaio 2012 ai sensi di quanto disposto dal comma 1 dell’art. 36 della medesima legge n. 183/2011, applicabile dal 1 febbraio 2012 in virtù del comma 5 del citato art. 25, legge n. 183/2011, mentre il testo in vigore prima della sostituzione disposta dalla suddetta legge n. 183/2011 e applicabile fino al 31 gennaio 2012 era il seguente Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 possono essere fatte al numero di fax o all’indirizzo di posta elettronica indicato in ricorso dal difensore che così dichiara di volerle ricevere, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, vigente. Si applicano le disposizioni richiamate dal secondo comma dell’articolo 176. , secondo cui Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori di cui agli articoli 372 e 390 sono effettuate ai sensi dell’articolo 136, secondo e terzo comma b che, infatti, quella circostanza renderebbe inutile l’indicazione per le comunicazioni, ma non potrebbe giustificare, se non tramite una integrazione della dichiarazione, contraria alla buona fede processuale e gravosa per la parte resistente, che la si debba riferire alla indicazione del luogo di notificazione del controricorso e ciò in considerazione del fatto che lo stesso art. 366 dispone nel suo secondo comma espressamente come requisito di contenuto-forza riguardo a tale indicazione, stabilendo che se il ricorrente non ha eletto domicilio in Roma, ovvero non ha indicato l’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di cassazione , in tal modo esigendo nel ricorrente un’attività di allegazione espressa per individuare nei confronti dell’intimato il suo indirizzo di PEC come luogo della notificazione del controricorso c che la necessità di tale indicazione espressa riferita alle notificazioni, che non soo adempimenti di cancelleria e la previsione nella stessa norma dell’art. 366 di una distinta disposizione per le comunicazione della cancelleria evidenzia un criterio di esegesi obbligata della dichiarazione fatta nel ricorso con espresso riferimento alle comunicazioni di cancelleria e non anche alle notificazioni degli atti della controparte, che appare possibile espressione di una scelta consapevole, dovuta al non voler determinare un appesantimento della propria PEC con la ricezione di atti notificati per esteso d che tale esegesi, ove si trattasse di un lapsus calami, è imposta dal dovere di rispetto della buona fede della controparte, anche emergente dall’art. 88 cod. proc. civ. e ciò tenuto conto che l’indicazione della PEC si accompagnò a quella anteriore di un indirizzo di fax, che poteva trovare spiegazione solo nell’essere l’indicazione diretta alla sola Cancelleria della Corte, atteso che l’alternativa della indicazione dell’indirizzo di fax era contemplata, come si è visto dal testo previgente dell’ultimo comma dell’art. 366 cod. proc. civ. Il controricorso venne, dunque, notificato ritualmente in Cancelleria. 4. Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano ai sensi del d.m. n. 55 del 2014. Giusta la richiesta se ne deve disporre la distrazione a favore del difensore antistatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro milleottocento, oltre duecento per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Distrae le spese così liquidate a favore dell’Avvocato Ornella Carlini. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.