Custodia cautelare: inammissibile il ricorso per cassazione notificato a mezzo PEC

E’ inammissibile il ricorso per cassazione proposto innanzi ad una autorità giudiziaria diversa da quella competente a riceverlo e trasmesso a mezzo PEC all’ufficio competente da parte della cancelleria del Giudice ove era stato depositato.

Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 41283, deposita in cancelleria l’8 ottobre 2019. Associazione mafiosa e traffico di stupefacenti. Nel caso di specie, un uomo è stato sottoposto a procedimento penale in relazione a plurimi reati tra cui associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti art. 74, commi, 1, 2, 3 e 4, d.P.R. n. 309/1990 , aggravata dall’appartenenza mafiosa art. 416- bis , c.p. e detenzione illecita di arma. La procura ha chiesto e ottenuto dal Giudice per le indagini preliminari la misura cautelare della custodia cautelare in carcere. L’indagato ha dunque adito il Tribunale del riesame onde ottenere l’annullamento dell’ordinanza negativa, insistendo sotto vari fronti tra cui l’illegittimità del provvedimento laddove il GIP erroneamente avrebbe accertato la ricorrenza dell’aggravante mafiosa nonostante – secondo la tesi difensiva – ne difettassero, nel caso concreto, i relativi estremi, non foss’altro perché in più occasioni sarebbe risultata l’indipendenza i.e. la non appartenenza dell’uomo al sodalizio mafioso. Inammissibilità del ricorso. Ebbene, in disparte il merito” della vicenda, la sentenza della Corte di Cassazione – adita dalla difesa avverso l’ordinanza del Tribunale confermativa della misura – merita attenzione per le conclusioni rese in punto rito. Ed invero, la Cassazione ha rilevato come, nel caso di specie, da un lato il ricorso fosse stato presentato oltre il temine di decadenza, dall’altro presso la segreteria del Tribunale incompetente. In effetti - ha spiegato il Palazzaccio - il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza resa dal Tribunale del riesame va depositato, secondo cristallino orientamento giurisprudenziale, presso la cancelleria dello stesso Tribunale del riesame che ha adottato l’ordinanza negativa, peraltro con esclusione di alternativa per la parte pubblica. Notifica e trasmissione del ricorso a mezzo PEC. La sentenza affronta altro principio dirimente in relazione alla trasmissione degli atti alle altre parti. Più precisamente, la Corte ha ricordato come non sia consentito alla parte privata l’uso della posta elettronica certificata PEC per la trasmissione dei propri atti alle altre parti private né per il deposito presso gli uffici, perché l’utilizzo di tale mezzo informatico, ex art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012 convertito in l. n. 221/2012, è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria o, comunque, in altre straordinarie ipotesi previste dalla legge. Ne deriva, secondo i Giudici romani, l’inammissibilità della impugnazione notificata a mezzo PEC la Corte, in sentenza, riepiloga precedenti, in questo senso, a valere su diversi provvedimenti negativi . Trasmissione a mezzo PEC della cancelleria del Giudice incompetente. Parimenti, è inammissibile il ricorso per Cassazione proposto innanzi ad una autorità giudiziaria diversa da quella competente a riceverlo e trasmesso a mezzo PEC all’ufficio competente a mezzo PEC all’ufficio competente da parte della cancelleria del giudice ove era stato depositato. In definitiva, la Cassazione, sul crinale delle considerazioni che precedono ha rigettato il ricorso per l’effetto confermando la custodia cautelare in carcere, peraltro condannando l’indagato al versamento di somma equitativamente stabilita in favore della Cassa delle ammende.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 settembre – 8 ottobre 2019, n. 41283 Presidente Capozzi – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. D.N.A. chiede l’annullamento dell’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il Tribunale ha rigettato la richiesta di riesame avverso l’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento il 21 febbraio 2019 applicativa della misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, commi 1, 2, 3 e 4, aggravato ex art. 416-bis c.p., comma 1 D.P.R. cit. art. 73, comma 1, contestati ai capi 20 e 29 nonché il reato di detenzione porto di pistola, contestato al capo 36 , reati commessi in omissis ed altre zone almeno fino al mese di omissis . 2. Il Tribunale ha ritenuto acquisito un solido quadro indiziario sulla esistenza di un’associazione a delinquere volta alla commissione di reati in materia di sostanze stupefacenti, associazione capeggiata da M.A. e dedita alla organizzazione di una florida attività di acquisto di stupefacente, cocaina ma anche hashish e marijuana, e successivo smercio, previo confezionamento delle dosi in locali all’uopo adibiti. Ha ritenuto che il D.N. fosse partecipe del gruppo associativo, condotta di partecipazione neppure contestata dalla difesa, e che si concretava nel concreto e significativo apporto fornito sia occupandosi dell’attività di spaccio al dettaglio che partecipando alle operazioni preliminari in vista dell’accuisto di droga, come attestato dalle conversazioni intercettate che lo vedono impegnata sia nelle operazioni preliminari, volte al reperimento e delle somme necessarie al pagamento delle forniture sia all’approvvigionamento della droga, operazione, questa, organizzata dal capo dell’associazione, M.A. , presso un fornitore palermitano, individuato in L.V.D. . È stata ritenuta sussistente sia l’aggravante dell’associazione armata che quella della finalità agevolativa della famiglia mafiosa di Agrigento, in ragione del riscontrato e frequente intervento, nella gestione degli affari del gruppo e ne la commissione dei reati fine, di M.A. , capo della locale famiglia mafiosa ed al quale il ricorrente era direttamente collegato. Secondo l’ordinanza impugnata, infatti, il M. , avvalendosi del metodo mafioso che prevedeva l’uso dell’intimidazione e della violenza per ottenere il rispetto delle zone di competenza nello spaccio e per conseguire il pagamento cella droga da acquirenti inadempienti, era riuscito a monopolizzare il traffico di sostanze stupefacenti nella città di Agrigento e zone limitrofe stipulando patti di esclusiva con molti acquirenti che rivendevano lo stupefacente nelle ispettive zone di competenza e, dunque, aveva allestito una struttura operativa che, sulla scorta delle intercettazioni e dei controlli di polizia, era risultata impegnata in modo professionale nello smercio di droga potendo contare su stabili canali di rifornimento, grazie ai rapporti con esponenti contigui alla criminalità organizzata operanti a Palermo, Palma di Montechiaro ed in Calabria su luoghi deputati alla conservazione della droga sulla ripartizione di compiti fra gli associati sulla esistenza di una cassa comune e di una comune contabilità su una stabile rete di vendita, organizzazione che si era mostrata in grado di reggere anche a seguito degli arresti di singoli componenti del gruppo ed E I sequestro, in più occasioni, di partite non modiche di cocaina, ketamina, marijuana e sostanze da taglio. 3. Con motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p., il difensore dell’indagato chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata della quale denuncia plurimi vizi di violazione di legge e vizi di motivazione. In particolare 3.1. violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso, di cui all’art. 416-bis c.p., comma 1, in relazione al reato associativo di cui al capo 2 . Non è sufficiente, ai fini della sostenibilità dell’esistenza dell’aggravante, nè la presenza tra gli affiliati al sodalizio criminale di persona già condannata per delitti di mafia nè la mera sovrapposizione della modalità operativa dell’associazione dedita al narcotraff co con quella mafiosa occorrendo, invece, la prova della effettiva e non meramente programmatica ed attuale capacità citi intimidazione con il corollario della sussistenza di validi comportamenti omertosi. Erroneamente il Tribunale ha escluso che precise circostanze fattuali risultanti dalle indagini - il cospicuo ammontare dei debiti non pagati da vari associati fra i quali il D.N. l’inosservanza di precisi ordini del M. , come quello di non coinvolgere nell’attività di spaccio tale S.L. l’apprensione diretta del denaro da parte di taluni degli indagati il mancato assoggettamento alla condizione di soggezione e omertà di singoli associati i quali spacciavano in autonomia l’assenza di finalità di controllo di altri settori economici - non fossero in contrasto, smentendolo, con la configurabilità dell’aggravante in parola 3.2. l’ordinanza impugnata è affetta da un insanabile vizio di motivazione, per contraddizione interna, nella parte in cui ha ritenuto che l’apprensione di una grossa quantità di denaro, addebitata all’odierno ricorrente, costituisca una evenienza naturale nella dinamica di un contesto associativo poiché, invece, secondo la difesa, tale condotta deve ritenersi un atto di defezione, rivelatore di carenza dell’affectio societatis e dell’incapacità di imporre gli ordini e, quindi, denota la carenza di forza intimidatrice del vincolo imposto ai consociati. Nè l’ordinanza impugnata, che è sul punto carente, ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto non rilevanti le ulteriori censure difensive sugli aspetti innanzi indicati 3.3. vizio di motivazione per inidoneità del mero contenuto della conversazione intercettata, in mancanza del ritrovamento dell’arma, ad integrare i gravi indizi di colpevolezza del reato di cui al capo 36. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile perché tardivo. 2. Risulto dagli atti che l’ordinanza del Tribunale del riesame è stata depositata il 3 maggio 2019 e notificata all’indagato il 4 maggio 2019 ed al difensore il 14 maggio 2019. Il ricorso è stato depositato presso la cancelleria del Tribunale di Agrigento il 24 maggio 2019 ed è pervenuto, in copia cartacea, al Tribunale del riesame solo in data 4 giugno 2019, ovvero oltre il termine di giorni dieci stabilito dall’art. 311 c.p.p 3. La modalità di presentazione del ricorso è irrituale e determina l’inammissibilità dell’impugnazione. A differenza di quanto previsto per la presentazione della richiesta di riesame, ai sensi dell’art. 311 c.p.p., comma 3, il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame in materia cautelare personale, deve essere depositato presso la cancelleria del giudice che ha emesso la decisione, nel caso di specie il Tribunale del riesame di Palermo, ove, come anticipato, l’impugnazione è pervenuta ben oltre il termine di dieci giorni, previsto dalla legge. Le specifiche modalità fissate dall’art. 311 c.p.p., comma 3, per la presentazione del ricorso per cassazione, costituiscono evidente deroga alle norme che regolano in via generale la presentazione dell’impugnazione, secondo un risalente principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte dal quale non vi è ragione di discostarsi, ci talché il ricorso per cassazione avverso la decisione del Tribunale della libertà deve essere presentato nella cancelleria dello stesso Tribunale, con esclusione, anche per la parte pubblica, di qualsiasi soluzione alternativa Sez. 6, n. 3539 del 06/12/1990, Messora, Rv. 187018 . 4. Deve rilevarsi, per completezza dell’esame, che secondo la giurisprudenza di questa Corte l’impugnazione, pur irritualmente non proposta presso la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, è ammissibile purché pervenga nei termini di legge presso la cancelleria del giudice competente a riceverla Sez. 6, n. 29477 del 23/03/2017, P.m. in proc. Di Giorgi e altri, Rv. 270559 Sez. 1, n. 6912 del 14/10/2011, dep. 2012, Rv. 252072 , ma che nel caso in esame non possiede efficacia sanante la trasmissione, eseguita a mezzo PEC, dalla cancelleria del Tribunale di Agrigento al Tribunale di Palermo, trasmissione disposta il 24- giugno 2019. Tale modalità di trasmissione non è idonea ad integrare un valido atto di deposito dell’impugnazione dinanzi al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. 5. Questa Corte, in generale e con riferimento al deposito degli atti di parte diretti al giudice, ha già enunciato il principio secondo cui nel processo penale non è consentito alla parte privata l’uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti nè per il deposito presso gli uffici, perché l’utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 - è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 272741 . Nella motivazione della sentenza ora richiamata si afferma altresì, che il D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, art. 2, comma 6, cd. Codice digitale presuppone l’operatività del cd. processo telematico di modo che, ove questo non sia instaurato, come accade nel processo penale, appare erroneo ipotizzare l’applicazione generalizzata di talune delle norme, e, in particolare quella di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 7, comma 10, che presuppongono la cornice di un processo organizzato in base agli strumenti digitali. Sicché, avuto riguardo alla inesistenza nel procedimento penale di un fascicolo telematico, che costituisce il necessario approdo dell’architettura digitale degli atti giudiziari, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile da tutte le parti , coerentemente, l’uso del mezzo informatico in argomento per la trasmissione di atti endoprocessuali è consentito nei soli casi espressamente previsti dalla legge. 6.La giurisprudenza di legittimità ha analizzato e descritto la portata delle previsioni recate dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 9, lett. c-bis , convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, a tenore del quale, a decorrere dal 15 dicembre 2014, nei procedimenti dinanzi ai tribunali e alle corti di appello , possono essere operate con la PEC” le notificazioni a persona diversa dall’imputato a norma dell’art. 148 c.p.p., comma 2-bis, artt. 149 e 150 c.p.p. e art. 151 c.p.p., comma 2. La giurisprudenza appare orientata nel senso di riconoscere la legittimità della descritta forma di notifica, che deroga rispetto all’ordinario regime delle notifiche, a ben definite ipotesi, e, pertanto, si pone come alternativa privilegiata soltanto in casi determinati e nei confronti di specifiche categorie di destinatari Sez. 3, n. 6883 del 26/10/2016 - dep. 2017, Manzi, Rv. 269197 Sez. 3, n. 48584 del 20/09/2016, Cacciatore, Rv. 268192 Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015, Pmt. Alamaru, Rv. 263900 Sez. 1, n. 18235 d& amp 28/01/2015, Livisianu, Rv. 263189 Sez. 3, n. 7058 del 11/02/2014, Vacante, Rv. 258443 . 7. In materia di impugnazioni, oltre al principio enunciato nella sentenza D’Angelo, citata, relativa all’impugnazione proposta avverso decreto penale di condanna, pacifica è l’affermazione della inammissibilità della impugnazione proposta a mezzo PEC dalla parte, sul rilievo che le modalità di presentazione e di spedizione dell’impugnazione, queste ultime disciplinate dall’art. 583 c.p.p., sono tassative ed inderogabili e nessuna norma prevede la trasmissione mediante l’uso della PEC Affermazioni in tal senso si rinvengono sia con riguardo al ricorso per cassazione proposto avverso il provvedimento di revoca di ammissione 31 gratuito patrocinio Sez. 4, n. 18823 del 30/03/2016, Mandato, Rv. 266931 , sia con riferimento all’impugnazione proposta dal pubblico ministero avverso decisione cautelare Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015, cit. e, più in generale, per la proposizione di ricorso per cassazione Sez. 6, n. 55444 del 05/12/2017, C, Rv. 271677, in tema di mandato di arresto Europeo , per la presentazione di motivi nuovi, nel giudizio in cassazione Sez. 5, n. 12347 del 13/12/2017, dep 2018, Gallo, Rv. 272781 e in materia di restituzione nel termine 9er impugnare Sez. 1, n. 320 del 05/11/2018, dep. 2019, Stojanovic Vera, Rv. 274759 . 8.Si potrebbe osservare che, nel caso in esame, non vi è stato il deposito dell’atto a mezzo PEC a cura della parte che neppure si è in presenza di una notifica eseguita a mezzo PEC e che il deposito dell’atto presso il giudice competente a riceverlo consegue immediatamente alla trasmissione degli atti operata dal Tribunale di Agrigento che vi ha provveduto a mezzo PEC e che tale forvia di trasmissione, in luogo dell’inoltro cartaceo con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, trova copertura nella previsione recata dall’art. 64 disp. att. c.p.p., comma 3. Tale disposizione, quando l’atto contiene disposizioni concernenti la libertà personale, censente il ricorso ai mezzi di cui agli artt. 149 e 150 c.p.p., ovvero a mezzi idonei tra i quali, giustappunto, la PEC. Premesso che di tale modalità di comunicazione non sono stati rispettati, per come evincibile dall’atto pervenuto alla Corte, i requisiti formali di cui all’art. 64 cit., comma 4, ritiene il Collegio che la previsione, ferma l’osservanza dei requisiti di cui al comma 3 e 4, è applicabile unicamente alla comunicazione degli atti del giudice e non anche alla trasmissione, a cura della cancelleria dell’ufficio giudiziario presso il quale l’impugnazione è stata depositata, di un atto di parte, quale l’impugnazione. In caso di trasmissione a mezzo PEC dell’atto di impugnazione, a cura della cancelleria del giudice ove l’impugnazione sia stata depositata ai sensi dell’art. 582 c.p.p., comma 1, la cancelleria dell’ufficio giudiziario si sostituirebbe alla parte nell’esercizio di una facoltà che non è riconosciuta alla stessa parte. 9. Ma, soprattutto, una lettura diversa che dilati la previsione dell’art. 64 disp. att. c.p.p., ovvero la equiparazione tra spedizione dell’atto attraverso PEC alla spedizione a mezzo posta, a cura della cancelleria che ha ricevuto l’atto, comporta la indebita estensione dell’uso della PEC nel processo penale, in mancanza di disposizioni precise che ne regolamentino le modalità, tecniche e processuali, quale strumento di ricezione e raccolta in tempo reale degli atti del processo, accessibile e consultabile dall’ufficio giudiziario, dal giudice e da tutte le parti, modalità che, come anticipato, sono oggetto di precise disposizioni nei settori le comunicazioni e notificazioni nei quali è prevista anzi imposta la spedizione dell’atto a mezzo PEC. 10. Tale estensione è vieppiù indebita in relazione alla disciplina, inderogabile e tassativa, delle impugnazioni sia con riguardo al rispetto delle modalità di presentazione dell’impugnazione in generale che del ricorso per cassazione avverso decisione cautelare, in particolare, impugnazione ove è inderogabilmente previsto il deposito del ricorso presso il tribunale del riesame in funzione della rapidità che caratterizza tale procedura e della verifica della tempestività della proposizione dell’impugnazione. Tempestività che la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto fatta salva dal materiale pervenimento dinanzi al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, in tempo utile, dell’atto di impugnazione, essendo a carico dell’impugnante il rischio che l’impugnazione, presentata ad un ufficio diverso da quello indicato dalla legge, sia dichiarata inammissibile per tardività, poiché la data di presentazione rilevante è solo quella in cui l’atto perviene all’ufficio competente a riceverlo Sez. 5, n. 42401 del 22/09l’2039, Ferrigno, Rv. 245391 . Le modalità di pervenimento, alle quali fa riferimento la giurisprudenza, non possono estendersi a qualsiasi forma di trasmissione ma sono necessariamente correlate alla trasmissione compiuta, secondo le regole vigenti, dalla cancelleria del giudice del luogo in cui la parte si trovi, art. 582 c.p.p., comma 2. Queste regole non contemplano, nè quale mezzo di deposito per la parte nè come mezzo di trasmissione per la cancelleria, l’inoltro a mezzo PEC dal momento che non esiste una infrastruttura digitale per il deposito degli atti di parte ovvero delle impugnazioni e regole specifiche - di natura tecnica e processuale - in grado di assicurarne la ricezione e la conoscenza, nel rispetto dei termini processuali, da parte della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, e, quindi del giudice dell’impugnazione, e la previsione di modalità che garantiscano la conservazione dell’atto e la fruizione da parte dell’autorità giudiziaria ricevente in vista dei connessi adempimenti di registrazione dell’impugnazione, copia e fascicolazione degli atti e attestazioni di cancelleria, disciplinati dagli artt. 164 e ss. disp. att. c.p.p., e delle altre parti processuali. In particolare, l’inoltro a mezzo PEC non è in grado di garantire tempi e modalità certe di ricezione e conoscenza dell’atto di impugnazione da parte del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato che sono affidati a fattori casuali e indeterminati, primo fra tutti la stampa del file a cura della cancelleria ricevente, fattori che si pongono in contrasto con il principio ci tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni. Deve pertanto affermarsi il principio che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dinanzi ad autorità giudiziaria diversa da quella competente a riceverlo e trasmesso a mezzo PEC all’ufficio competente da parte della cancelleria del giudice ove era stato depositato ai sensi dell’art. 582 c.p.p., comma 1. 11. Non contrastano con questa conclusione i principi affermati da questa Corte in materie diverse, quale il giudizio di convalida delle misure disposte per condotte di turbativa in occasione dello svolgimento di manifestazioni sportive Sez. 3, n. 11475 del 17/12/2018, Giacalone Paolo, Rv. 275185 ovvero isolate pronunce, in tema di deposito di istanza di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento Sez. 2, n. 47427 del 07/11/2014, Pigionanti, Rv. 260963 . La lettura delle decisioni rivela infatti che si tratta di affermazioni giustificate o dalla peculiarità della materia, relativa a procedure nelle quali non sono previste specifiche modalità di deposito degli atti in cancelleria, ovvero che si tratta di istanze, ancorché irrituali, comunque pervenute tempestivamente alla conoscenza del giudice che deve, pertanto, valutarle rimanendo a carico della parte l’onere di assicurarsi della effettiva conoscenza dell’istanza da parte dell’autorità giudiziaria competente. Si tratta, dunque, di materie nelle quali non è prevista inderogabilità e tassatività di forme di deposito, trasmissione e spedizione dell’atto, come avviene per l’impugnazione. 12. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo determinare come in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.