La domanda di riparazione per ingiusta detenzione non può essere trasmessa via PEC

Il procedimento di riparazione per ingiusta detenzione è regolato secondo il rito penale, dunque la relativa istanza deve essere proposta con le forme e nei termini previsti dalle norme processuali penali, ovvero mediante richiesta scritta depositata in cancelleria nel termine di due anni sancito dal comma 1 dell’art. 315 c.p.p

Questa la decisione della Corte di Cassazione n. 39765/19, depositata il 27 settembre. La vicenda. La Corte d’Appello di Roma, nelle vesti di Giudice della riparazione, dichiarava inammissibile l’istanza con la quale l’attuale ricorrente aveva chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita durante un procedimento penale all’esito del quale era stato assolto con sentenza passata in giudicato. L’inammissibilità era dovuta al fatto che la richiesta fosse stata proposta oltre il termine di due anni previsto dall’art. 315, comma 1, c.p.p. Contro tale decisione, il medesimo istante propone ricorso per cassazione, deducendo che la richiesta era stata inoltrata a mezzo PEC e sottoscritta digitalmente nei tempi previsti dal codice di rito penale, e solo successivamente il difensore aveva provveduto anche al deposito cartaceo. Domanda di riparazione per custodia cautelare ingiusta via PEC. La Suprema Corte dichiara il ricorso infondato, sostenendo che la domanda di riparazione per ingiusta detenzione non possa essere presentata tramite posta elettronica certificata PEC , considerato che si tratta di una richiesta che deve seguire le forme previste dal codice di procedura penale, dunque va redatta per iscritto e depositata presso la cancelleria della Corte d’Appello che ha emesso la decisione. Nell’affermare ciò, gli Ermellini rilevano che il procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, anche se ha natura sostanzialmente civile, è regolato dal codice di rito penale, dato che la lite deriva da una sentenza di proscioglimento penale a favore dell’imputato sottoposto alla misura della custodia cautelare. Conseguentemente, la relativa istanza deve essere proposta con le forme e nei termini sanciti dalle norme processuali penali. Inoltre, la Corte osserva come la stessa giurisprudenza di legittimità sia orientata nel senso di non consentire alla parte di un processo penale l’utilizzo della posta elettronica certificata al fine di trasmettere i propri atti alle altre parti, e nemmeno per il deposito presso gli uffici, posto che l’utilizzo della PEC è riservato solo alla cancelleria per le comunicazioni richieste dal PM ai sensi dell’art. 151 c.p.p., nonché per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria. Alla luce di quanto esposto, la Corte rileva che il Giudice ha correttamente ritenuto tardiva la richiesta del ricorrente, visto che l’istanza cartacea era stata depositata in cancelleria oltre il termine previsto dal codice di rito due anni , a nulla rilevando che il ricorrente abbia inoltrato la stessa via PEC. Per questi motivi, gli Ermellini rigettano il ricorso e condannano il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 23 maggio – 27 settembre 2019, n. 39765 Presidente Dovere – Relatore Ranaldi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma, quale giudice della riparazione, con l’ordinanza impugnata ha dichiarato inammissibile, perché proposta tardivamente, la domanda con la quale L.E.K. aveva chiesto la riparazione per la custodia cautelare subita nell’ambito di un procedimento penale per un reato in materia di stupefacenti dal quale era stato definitivamente assolto con sentenza passata in giudicato il 31.10.2014. Trattandosi di domanda depositata in cancelleria il 7.11.2016, la Corte territoriale ha osservato che l’istanza era stata proposta oltre il termine di due anni previsto dall’art. 315 c.p.p., comma 1. 2. Avverso la suddetta ordinanza, tramite il difensore di fiducia, propone ricorso l’interessato, osservando che l’istanza non era stata proposta tardivamente, in quanto in data 15.10.2016 la domanda era stata inoltrata a mezzo di posta elettronica certificata PEC sottoscritta digitalmente. Solo successivamente il difensore aveva provveduto anche al deposito cartaceo. 3. Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la domanda di riparazione per ingiusta detenzione non può essere presentata a mezzo di posta elettronica certificata PEC , trattandosi di istanza che deve essere proposta seguendo le forme del codice di rito penale v. art. 645 c.p.p., richiamato dall’art. 315 c.p.p., comma 3 , quindi per iscritto e con deposito nella cancelleria della Corte di appello che ha pronunciato la sentenza. 3. In primo luogo, è pacifico che al procedimento per ingiusta detenzione, ancorché concernente l’esistenza di una obbligazione pecuniaria nei confronti del soggetto colpito da custodia cautelare, si applicano le norme del codice di rito penale Sez. 3, n. 26370 del 25/03/2014, Hadfi, Rv. 25918701 . Infatti, è generalmente riconosciuto cfr. Sez. 4, n. 45409 del 16/10/2013, Pelella, Rv. 25755401 Sez. 3, Sentenza n. 48484 del 22/10/2003, Min. Eco in proc. Salvi, Rv. 228441 che il procedimento in materia di riparazione per ingiusta detenzione, pur avendo sostanzialmente natura civile, perché relativo a controversia sull’attribuzione di una somma pecuniaria, è regolato secondo il rito penale, atteso che la controversia origina da una sentenza di proscioglimento penale a favore di un imputato colpito da misura di custodia cautelare cfr. Sez. U, n. 34535 del 27/06/2001, Petrantoni, Rv. 21961401 . Ne consegue che - siccome il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, pur avendo svolgimento e natura propri, si sviluppa all’interno del processo penale del quale, ove non diversamente disposto, mutua per intero le regole - l’istanza deve essere proposta nelle forme e nei termini previsti dalle norme processuali penali dianzi richiamate. 4. In secondo luogo, la giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso che nel processo penale non è consentito alla parte privata l’uso della posta elettronica certificata per la trasmissione dei propri atti alle altre parti nè per il deposito presso gli uffici, perché l’utilizzo di tale mezzo informatico - ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 - è riservato alla sola cancelleria per le comunicazioni richieste dal pubblico ministero ex art. 151 c.p.p. e per le notificazioni ai difensori disposte dall’autorità giudiziaria Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 27274101 in senso conforme cfr. Sez. 5, n. 48911 del 01/10/2018, N, Rv. 27416001 Sez. 2, n. 31314 del 16/05/2017, P, Rv. 27070201 . Per tale ragione è stata considerata inammissibile l’opposizione a decreto penale di condanna presentata a mezzo di Posta Elettronica Certificata, stante il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme per la presentazione delle impugnazioni, trattandosi di modalità non consentita dalla legge, in ragione dell’assenza di una norma specifica che consenta nel sistema processuale penale il deposito di atti in via telematica, e nonostante che per espressa previsione di legge il valore legale della posta elettronica certificata sia equiparato alla raccomandata con ricevuta di ritorno Sez. 4, n. 21056 del 23/01/2018, D’Angelo, Rv. 27274001 . 5. Ne consegue che, nel caso in disamina, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto la tardività dell’istanza di riparazione proposta dal ricorrente. Infatti, l’istanza cartacea è stata depositata in cancelleria il 7.11.2016, oltre il termine di due anni previsto dall’art. 315 c.p.p., comma 1, atteso che la sentenza di proscioglimento risulta passata in giudicato il 31.10.2014 a nulla rilevando, per contro, che il ricorrente abbia inoltrato a mezzo PEC la relativa domanda di riparazione in data 15.10.2016, trattandosi, come già visto, di modalità di presentazione dell’istanza non consentita dalla legge. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.