Il futuro futuribile: a quando il deposito telematico delle impugnazioni?

Il processo penale telematico ingabbiato dalle rigidità normative. Futuro futuribile sa di chiromanzia, di maghi da televisione di provincia, di tarocchi e sfere di cristallo. Non è, in effetti, un incipit particolarmente acconcio alla trattazione di argomenti processualpenalistici, ma crediamo possa rendere ugualmente bene l’idea e ci auguriamo che i lettori ci perdoneranno, ove giudicassero fuori luogo il futuro futuribile”. Anche perché, se parliamo di deposito di un’impugnazione, in realtà, non dovremmo parlare di futuro, né tantomeno di futuribile. Dovremmo parlare di presente ma andiamo con ordine.

Breve ricognizione delle tecniche di presentazione delle impugnazioni. Il codice di rito ne prevede espressamente alcune, la principale è quella consistente nel deposito dell’atto di impugnazione cartaceo presso la cancelleria del giudice a quo o presso quello ad quem , nel caso specifico delle impugnazioni cautelari . Non è necessario recarsi nel luogo ove ha sede l’autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento, perché il codice nell’ovvia ipotesi in cui questa sia distante dal luogo nel quale l’impugnante si trova prevede la possibilità di depositare l’impugnazione anche nella cancelleria del Tribunale o del giudice di paceovvero davanti a un agente consolare all’estero . Sarà la cancelleria ricevente che farà pervenire, una volta ricevutolo, l’atto di impugnazione al giudice a quo . Questa è la forma che potremmo definire classica” di presentazione di una impugnazione deposito fisico di documenti cartacei. Grande dispendio di carta, vien subito da pensare, specialmente alla luce dell’imperante ecologismo, e della spending review. Poi c’è un sistema di deposito delle impugnazioni, per così dire, alternativo. Lo prevede sempre il codice di procedura, dando facoltà a parti e difensori di impugnare con telegramma ci chiediamo quanti milioni di euro possa costare un telegramma contenente un atto di appello seriamente motivato ovvero con raccomandata, indirizzati alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento da impugnare. La data di presentazione è normativamente individuata in quella di spedizione della impugnazione, non certo della sua ricezione da parte della cancelleria ciò per l'intuitiva ragione che, altrimenti, si porrebbe a carico dell’impugnante l’effetto di un eventuale ritardo nella consegna della posta. Non vi sono altre modalità espressamente previste per il deposito delle impugnazioni, dato che e-mail e posta elettronica certificata erano, quando fu varato il codice, al di là da venire. Le telecomunicazioni possono novellare il codice? No, dice la Cassazione e Tribunale della Libertà di Palermo, pochi giorni fa, ha diramato una nota del medesimo tenore . E questo no”, ripetuto in diverse occasioni, è comunque da ponderare con calma. Perché, innanzitutto, è un no” che nasconde una costante ricerca di implementare, mediante appunto l’impiego dei mezzi tecnologici a disposizione, i modi nei quali si può depositare una impugnazione. Una recentissima decisione Cass., sez. V, 5 marzo 2015, n. 24332 ha ritenuto inammissibile l’impugnazione cautelare proposta dal pm per mezzo di fax e posta elettronica certificata. Il pm, ricorrente, aveva condivisibilmente osservato che, insomma, il codice di procedura, stabilendo quei criteri di deposito che abbiamo poc’anzi illustrato, vuole soltanto garantire che l’impugnazione sia presentata in una data certa, che sia originale e che provenga da un soggetto specifico. Passi per il fax, diciamo noi, che non garantisce nulla di tutto questo è uno strumento notoriamente manovrabile da chiunque, senza necessità di utilizzo di particolari credenziali , ma sull’inadeguatezza della PEC, motivata con un secco richiamo alla tassatività dei modi di presentazione dell’impugnazione, non siamo affatto d’accordo. Tassatività delle impugnazioni o delle forme di deposito? La tassatività dei mezzi di impugnazione è una colonna portante della nostra architettura processuale, su questo – almeno fino ad oggi – non ci piove. Sulla tassatività dei mezzi di presentazione delle stesse, invece, dovremmo ragionare di più. Proviamo a falsificare” nel senso epistemologico, s’intende! i principi fino ad oggi espressi dalla giurisprudenza di legittimità la premessa è che la PEC non garantirebbe la provenienza dell’impugnazione dal suo autore. Non ne garantirebbe l’originalità, in altri termini. Bene. Se questa è la premessa, si può facilmente replicare con l’osservazione che nessuna impugnazione è, sotto questo aspetto, garantibile chiunque può apporre una sottoscrizione apocrifa in luogo d’altri, magari dopo essersi premunito illecitamente di timbri e carta intestata. La spedizione a mezzo raccomandata, in particolar modo, non consente nemmeno di guardare in faccia chi deposita” l’atto di impugnazione. Siamo ancora convinti che l’inoltro tramite PEC, che necessita di una password si suppone segreta, di un file magari sottoscritto digitalmente un po’ come avviene nel processo civile, per intenderci non sia equipollente rispetto, quantomeno, all’invio di una lettera raccomandata da un qualunque ufficio postale? O, se vogliamo rendere ancora meglio l’idea, rispetto alla dettatura di un telegramma? Ecco che, se vogliamo considerare l’aspetto sostanziale della questione, gli argomenti fino ad ora sostenuti dalla Suprema Corte, con tutto il rispetto, ci sembrano un poco deboli. Forma del deposito o formalismo della presentazione? Altro paio di maniche è il riferimento alla carenza di una espressa previsione normativa che facoltizzi il ricorso alla PEC per l’invio delle impugnazioni. Qui siamo nel campo della valutazione formale – o formalistica? - dell’argomento. E’ vero. Non c’è alcuna norma che espressamente abbia novellato il codice di rito, che è ancora, in questo punto miracolosamente, diremmo noi, dato che il codice viene pasticciato di continuo allo stato originario. Ma siamo davvero sicuri che vi sia una riserva di legge assoluta in argomento? Anche perchè, insomma, la giurisprudenza di legittimità ha operato innumerevoli volte in senso correttivo sul codice. C’è un codice vivente che, studiato attraverso le pronunce della Suprema Corte, non è certamente quello letterale” ed è naturale che sia così, poiché è risaputo che le norme abbisognano di essere interpretate. Ecco perché non comprendiamo come mai non si sia ancora tenuto in considerazione che lo spirito del codice non sarebbe certamente tradito dalla ammissibilità del deposito telematico dell’appello, del riesame o del ricorso per cassazione. La forma va bene, è sacrosanta. Ma se gli argomenti che ne giustificano l’adozione sono ormai anacronistici la forma rischia di degenerare in formalismo. Già la dottrina si è fatta sentire sull’argomento vi sono contributi di TRANCHINA, MACCHIA, PALOMBO . Invochiamo allora un coraggioso revirement, che ci porrebbe al riparo – e non è poco – dal prevedibile guazzabuglio d’una riforma tecnologica” del codice di rito. Di fronte a visto l’articolo tal dei tali, comma centosessantatrè bis , come modificato dalla legge x, giusta decreto y , meglio il ritorno al caro, vecchio piccione viaggiatore.