Non apre la casella di posta, la notifica via PEC resta valida

La notifica telematica, come quella al domicilio, è fondata sul principio della conoscibilità dell’atto secondo il criterio di ordinaria diligenza del destinatario, pertanto, il fatto che quest’ultimo non si sia premurato di aprire la casella di posta certificata non rileva ai fini della validità della notifica eseguita a mezzo PEC, nei termini previsti dalla legge.

Così ha sancito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 7390/17 depositata il 22 marzo. Il caso. La Corte d’appello di Napoli rigettava il reclamo proposto dalla società avverso la sentenza dichiarativa di fallimento emessa dal Tribunale della stessa città. La società propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza in virtù del fatto che il giudizio prefallimentare si è svolto in assenza dl contraddittorio, stante l’inidoneità della notifica a mezzo PEC del ricorso e del decreto di convocazione a garantire l’effettivo esercizio del diritto di difesa. Il principio della conoscibilità dell’atto e il criterio di ordinaria diligenza. Gli Ermellini affermano che la notifica del ricorso di fallimento e del decreto di fissazione eseguita a mezzo PEC nei termini previsti dalla legge non lede il diritto di difesa della società, a nulla rilevando il fatto che quest’ultima ne abbia avuto conoscenza tardivamente per non aver aperto la casella di posta certificata. Infatti, prosegue il Collegio, la notifica telematica, come quella al domicilio, è fondata sul principio della conoscibilità dell’atto secondo il criterio di ordinaria diligenza del destinatario e, in tal senso, non è prevista la necessità di una certificazione di conformità all’originale degli atti da parte del cancelliere . Pertanto, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 3 febbraio – 22 marzo 2017, n. 7390 Presidente Ragonesi – Relatore Bisogni Fatto e diritto Rilevato che 1. Con sentenza del 19 febbraio 2015 la Corte di Appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto da omissis s.r.l. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento n. 59 del 2014 emessa dal tribunale di Napoli. 2. La società omissis s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi con il primo lamenta la nullità della sentenza e dunque la violazione ex art. 360 n. 4 c.p.c., relativamente all’art. 111 comma 6 Cost. e all’art. 112 c.p.c., essendosi il giudizio prefallimentare svolto in assenza di contraddittorio, apparendo la notifica del ricorso e del decreto di convocazione a mezzo PEC del tutto inidonea a garantire un effettivo esercizio del diritto di difesa. 3. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta l’illegittimità costituzionale e/o il contrasto con la C.E.D.U. dell’art. 15 comma 3 legge fall, che prevede siffatta forma di notificazione. 4. Con il terzo motivo lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 legge fall., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ovvero in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., avendo la Corte territoriale limitato il proprio esame al solo credito posto a fondamento dell’istanza di fallimento, senza svolgere un esame reale circa la reale sussistenza dello stato di insolvenza della fallenda. Ritenuto che 5. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e si rivelano infondati. La notifica del ricorso di fallimento e del decreto di fissazione, pacificamente avvenuta a mezzo PEC nei termini previsti ma conosciuta dalla fallenda solo dopo la data della comparizione avendo solo tardivamente questa provveduto all’effettiva apertura della casella di posta certificata , non compromette il diritto di difesa della fallenda atteso che, come correttamente osservato dalla Corte territoriale, sia la notifica al domicilio sia quella telematica si fondano sullo stesso principio di fondo che è quello della conoscibilità dell’atto secondo un criterio di ordinaria diligenza del destinatario circa il costante controllo degli atti ricevuti presso il domicilio reale o telematico . Il sistema vigente, inoltre, non prevede come vorrebbe il ricorrente la necessità di una certificazione di conformità all’originale degli atti da parte del cancelliere. 6. Il terzo motivo è infondato perché correttamente la Corte territoriale ha desunto lo stato di insolvenza dall’inadempimento dedotto dal creditore ricorrente, coerentemente al criterio normativo per cui lo stato di insolvenza può essere ricavato in via induttiva anche dal mancato pagamento di un solo credito di importo non inferiore ad Euro trentamila. 7. Il ricorso va pertanto respinto con condanna alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 4.200 Euro di cui 100 per spese, oltre accessori di legge e spese forfettarie. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.