Alimenti alla figlia, lei chiede un assegno più corposo ma i giudici le riconoscono solo il mantenimento

Vittoria per il padre naturale, che vede escluso un obbligo più consistente in favore della ragazza. A quest’ultima, peraltro, i Giudici hanno comunque contestato un trasferimento illogico dalla propria città alla Capitale che le ha comportato maggiori spese.

Accordo tra i genitori per gli alimenti alla figlia , che chiede al padre un assegno più corposo. A tradirla, però, è la decisione favorevole del Tribunale, che fa riferimento al contributo dell’uomo per il mantenimento della ragazza. Peraltro, la ragazza ha optato per un trasferimento illogico, secondo i Giudici, dalla propria città alla Capitale, obbligandosi, in sostanza, ad affrontare maggiori spese, e ciò rende comunque priva di fondamento la domanda di alimenti Corte di Cassazione, ordinanza n. 15437/21, sez. VI Civile, depositata il 3 giugno . In Tribunale l’uomo viene obbligato al pagamento in favore della figlia naturale riconosciuta della somma mensile di 500 euro a titolo di contributo al mantenimento . In Appello, però, i giudici respingono la richiesta ulteriore della ragazza , mirata ad un aumento dell’assegno , e ritengono invece fondate le obiezioni proposte dal padre. In particolare, i giudici di secondo grado pongono in evidenza un vizio di ultrapetizione della decisione di primo grado e qualificano la domanda proposta dalla ragazza come domanda di incremento della somma mensile da lei già percepita 277 euro a titolo di alimenti, per effetto di un accordo nel corso del giudizio promosso dalla madre naturale nei confronti dell’uomo, e non a titolo di mantenimento . Allo stesso tempo, i giudici ritengono comunque priva di fondamento la domanda di alimenti , poiché la ragazza non ha provato, spiegano, di versare in stato di bisogno e di essere nell’impossibilità di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento , o comunque che vi sia stato un mutamento delle condizioni economiche proprie o del padre . E peraltro le accresciute necessità economiche della ragazza sono esclusivamente dipendenti da una scelta personale , poiché ella, all’età di 26 anni, ha deciso di lasciare la propria città , ove viveva con la madre impiegata comunale e frequentava lì l’università, per iscriversi in un ateneo a Roma , ed attualmente a 36 anni non ha allegato alcunché circa l’andamento e l’esito degli studi . Dalla Cassazione arriva una conferma piena per la decisione dei giudici d’Appello. Inutili quindi le obiezioni proposte dalla ragazza. I magistrati di terzo grado osservano che correttamente in Appello si è rilevato che la domanda introduttiva proposta in primo grado dalla ragazza era rivolta esclusivamente alla rideterminazione, in aumento, dell’assegno alimentare a carico del padre, concordato tra i genitori naturali 277 euro mensili e quindi il giudice di primo grado, fissando l’importo di 400 euro mensili a titolo di mantenimento, è andato oltre il petitum richiesto e la causa petendi allegata, potendo costituire la domanda di corresponsione degli alimenti un minus ricompreso nella domanda di mantenimento, ma non il contrario . Per i Giudici la differenza di causa petendi e petitum tra alimenti e mantenimento non può essere posta in discussione . In sostanza, è assolutamente inutile il ricorso proposto in Cassazione dalla ragazza.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 23 febbraio – 3 giugno 2021, n. 15437 Presidente Acierno – Relatore Iofrida Fatti di causa La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 650/2019, depositata in data 13/3/2019, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, che aveva condannato N.T.M. , padre naturale di N.C. , al pagamento in favore della figlia naturale riconosciuta della somma mensile di Euro 500,00, a titolo di contributo al mantenimento della stessa. In particolare, i giudici d’appello, respinto il gravame principale della N.C. in punto di aumento dell’assegno, hanno accolto quello incidentale del N.T. , rilevando un vizio di ultrapetizione della decisione di primo grado, ex art. 112 c.p.c., qualificando la domanda proposta dalla figlia come domanda di incremento della somma mensile già percepita Euro 277,00, originarie Lire 400.000 mensili dalla stessa, dall’ottobre 1994, a titolo di alimenti ex art. 433 c.c., per effetto dell’accordo tra le parti intervenuto, nel corso di un giudizio promosso nel 1994 dalla di lei madre naturale nei confronti del N.T. , e non a titolo di mantenimento nel merito, la Corte distrettuale ha respinto la domanda di alimenti, per difetto dei presupposti di legge, non avendo l’attrice provato di versare in stato di bisogno e di essere nell’impossibilità di provvedere in tutto o in parte al proprio sostentamento o comunque che fosse intervenuto un mutamento delle condizioni economiche proprie o del padre, considerato, oltretutto, che le accresciute necessità economiche della N.C. erano esclusivamente dipendenti da una scelta personale la stessa, dall’età di anni 26, aveva deciso di lasciare XXXXXX, ove viveva con la madre, impiegata comunale, frequentando ivi l’università, per iscriversi all’università a Roma, ed attualmente, di anni 36, non aveva allegato alcunché circa l’andamento e l’esito degli studi universitari . Avverso la suddetta pronuncia, N.C. propone ricorso per cassazione, notificato il 9/10/2019, affidato ad un motivo, nei confronti di N.T.M. che resiste con controricorso, notificato il 4/11/2019 . Ragioni della decisione 1. La ricorrente lamenta, con unico motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 112 c.p.c., in punto di erronea statuizione da parte della Corte d’appello sul vizio di extrapetizione posto in essere dal Tribunale, essendosi questo limitato a dare alla domanda della N.C. una semplice diversa qualificazione giuridica della domanda, sulla base dei fatti acquisiti al processo. 2. La censura è inammissibile. La Corte d’appello ha rilevato che la domanda introduttiva proposta in primo grado, nel 2008, dalla N.C. era rivolta esclusivamente alla rideterminazione, in aumento, dell’assegno alimentare a carico del padre, concordato tra i genitori naturali nel 1994 attuali Euro 277,00 mensili , e che quindi il giudice di primo grado, fissando l’importo di Euro 400,00 mensili a titolo di mantenimento fosse andato oltre il petitum richiesto e la causa petendi allegata, potendo costituire la domanda di corresponsione degli alimenti un minus ricompreso nella domanda di mantenimento Cass. n. 5381/1997 Cass. n. 10718/2013 Cass. n. 27695/2017 , ma non il contrario. La ricorrente lamenta che la Corte di merito non abbia rilevato che il Tribunale aveva proceduto solo ad una diversa qualificazione giuridica della domanda, definendola come richiesta di aumento dell’assegno di mantenimento, quale dovere del genitore verso i figli, anche naturali. Ora, come chiarito da questa Corte Cass. n. 13945/2012 il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomee juris diverso da quello indicato dalle parti, purché non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio . La ricorrente non spiega perché la propria domanda dovesse essere, invece, qualificata come richiesta di somma a titolo di mantenimento, con difetto di autosufficienza del ricorso. Inoltre, la differenza di causa petendi e petitum tra alimenti e mantenimento non può essere posta in discussione cfr. Cass. n. 1761/2008, per l’ipotesi opposta di passaggio da una domanda di mantenimento ad altra di alimenti Nel procedimento di revisione delle condizioni dell’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, promosso dal genitore divorziato per ottenere l’esonero dal relativo obbligo, la richiesta di alimenti da parte del figlio costituisce un minus necessariamente ricompreso in quella, dal medesimo avanzata in via riconvenzionale, di aumento dell’importo dell’assegno di mantenimento, con la conseguenza che essa non costituisce domanda nuova, vietata in sede di reclamo . 3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonché al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge, in favore della parte controricorrente. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.