La necessità di acquisizione di documenti “comunque idonei” per una corretta valutazione del fatto

Il giudice non è tenuto a valutare tutte le circostanze, ma solo quelle decisive. È però altrettanto vero che il giudice deve acquisire tutti i documenti necessari al fine di evitare erronee valutazioni. Diviene per cui erronea la valutazione di non indispensabilità di documenti comunque idonei ad una compiuta valutazione in fatto e ad una corretta applicazione di principi e norme di diritto.

Così la corte di Cassazione con sentenza numero 11188 del 2021 depositata al 28 aprile. Il Tribunale di Sassari accoglieva la domanda della ricorrente svolta nei confronti dell’ex marito e della società a responsabilità limitata le cui quote erano state acquistate in costanza di matrimonio, dichiarandone la comproprietà delle predette in ragione del 50% ciascuno. La domanda veniva accolta dal Tribunale sul presupposto che, stante il regime di comunione legale vigente all’epoca dell’acquisto delle quote, queste ultime, dovendo equipararsi a beni immobili, ricadevano, ex artt. 177 e 178 c.c., nella comunione legale dei coniugi. Avverso la decisione del Tribunale proponeva appello l’ex marito, ma la Corte Territoriale adita ne rigettava il gravame. L’ erede del soccombente proponeva quindi ricorso in Cassazione lamentando, sia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nell’omessa necessaria acquisizione di documenti indispensabili relativi alla vendita di una parte delle quote societarie per la misura del 15% della ricorrente all’ex marito, nonché la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto nell’aver la Corte Territoriale applicato il principio della comunione legale dei beni anche alla predetta quota societaria venduta dal coniuge. La Corte di Cassazione esaminava i due motivi congiuntamente e, ritenendoli fondati, cassava la sentenza di appello, rinviando a diversa sezione della Corte di Appello di Cagliari. Secondo la Corte di Cassazione, la Corte distrettuale aveva erroneamente applicato il regime della comunione legale dei beni anche a beni che si asserivano documentalmente venduti dalla stessa coniuge. Rientrano infatti nella comunione legale tra i coniugi, per previsione normativa contenuta nell’art. 177, lett. a c. c., gli acquisti compiuti dai coniugi anche separatamente durante il matrimonio, purché, secondo il principio espresso dalla Corte di Cassazione, questi siano provenienti da terzi e non da atti di disposizione intercorsi tra gli stessi i coniugi, anche se relativi a beni personali. Peraltro la normativa prevede che è necessario, al fine di escludere l’applicazione del regime della comunione legale dei beni, oltre requisiti indicati nelle lettere c , d ed f del primo comma dell’articolo 179, che l’altro coniuge partecipi all’atto di acquisto e che risulti espressamente tale esclusione. Detta partecipazione all’atto di vendita costituisce un atto giuridico volontario consapevole a cui il legislatore attribuisce l’efficacia di una dichiarazione a contenuto confessoria, idonea a determinare l’effetto di una presunzione juris et de iure e di non contitolarità dell’acquisto. Secondo la Cassazione, pertanto, alla luce della normativa in tema di comunione legale dei coniugi, la critica dell’erede di mancata acquisizione dei documenti di vendita effettuata tra i coniugi delle quote della società contesa, coglieva nel segno, poiché detti documenti erano fondamentali, non solo per la valutazione in fatto, ma anche per la conseguente corretta applicazione del principio di diritto, ovvero di applicazione della comunione legale. La Cassazione concludeva quindi stabilendo che, solo alla stregua della corretta valutazione, previa acquisizione dei documenti necessari , diveniva possibile ricostruire non in via presuntiva, ma sulla scorta dei titoli di acquisto, se la quota venduta dalla coniuge all’altro con atto notarile potesse o meno rientrare fra i beni dei quali veniva invocata l’operatività della comunione legale. Diviene per cui indispensabile l’acquisizione dei documenti comunque idonei ad una compiuta valutazione in fatto per una corretta applicazione dei principi di diritto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 dicembre 2020 – 28 aprile 2021, n. 11188 Presidente Manna – Relatore Oricchio Considerato in fatto Il Tribunale di Sassari, con sentenza n. 785/2010, accoglieva la domanda proposta da M.M.I.M. nei confronti di F.N. e di Coral Invest S.r.l. e dichiarava al comproprietà, in ragione del 50% ciascuno in capo al detto F. ed all’attrice medesima della quote della società evocata in giudizio. La domanda veniva accolta sul presupposto che, stante il regime di comunione legale all’epoca dell’acquisto da parte del F. delle anzidette quote, queste ultime quali beni equiparabili ai beni mobili ricadevano, ex artt. 177 e 178 c.c., nella comunione. Avverso la decisione del Giudice di prime cure il F.N. e la Coral Invest S.r.l. interponevano appello, resistito dalla M. . L’adita Corte di Appello di Cagliari - Sezione Distaccata di Sassari, con sentenza n. 343/2015, rigettava l’interposto gravame, ritenendo - nell’occasione e per quanto oggi ancora rileva - del tutto infondati i tre proposti motivi d’appello. F.P. , quale erede del defunto F.N. , propone oggi ricorso per la cassazione della suddetta decisione della Corte di Appello. Il ricorso, fondato su tre ordini di motivi è resistito con controricorso dalla intimata M. . Parte ricorrente ha depositato memoria. Ritenuto in diritto 1.- Con il primo motivo del ricorso si eccepisce la nullità della sentenza impugnata e del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa pronuncia su tutte le domande proposte con l’impugnazione in appello. Parte ricorrente si duole, in sostanza, della omessa pronuncia in ordine, più specificamente, al secondo motivo dell’appello a suo tempo interposto. Con tale motivo, a sostegno dell’impugnazione svolta nei confronti della decisione di primo grado, veniva prospettata la violazione delle norme sull’onere probatorio ex art. 2697 c.c Secondo l’odierno ricorrente in appello era censurata la mancata cura, ad pera del giudice di prime cure, della verifica della prova degli atti di acquisto da parte del F. N. , prova incombente all’attrice. Il motivo non può essere accolto. La decisione oggetto dell’odierno ricorso non ha omesso di scrutinare l’esposto e ricostruito motivo di appello. Nè vi è stata omessa pronuncia al riguardo. Viceversa e ciò vale ad escludere la fondatezza della censura qui scrutinata la Corte territoriale ha ritenuto con la propria sentenza v. p. 4 che le quote erano state acquistate in costanza matrimonio e, quindi, rientravano nella comunione. È, dunque, evidente che - nella concreta ipotesi per cui è giudizio - non vi è stata omessa pronuncia. Il motivo, in quanto infondato, deve – pertanto - essere respinto. 2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Tale fatto, in sintesi, sarebbe consistente - secondo la prospettazione del ricorrente - nella omessa necessaria acquisizione degli atti documenti di acquisto indispensabili 3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto artt. 177, 178 e 179 c.c. . La Corte territoriale avrebbe, in sostanza e secondo il ricorrente, errato nell’aver applicato la comunione legale di beni anche a bene quota societaria venduto dalla stessa coniuge 15% il 22.12.1990. 4.- I due motivi per ultimo esposti possono essere trattati congiuntamente in quanto collegati e fra loro legati da connessione logica e argomentativa. In effetti è ben vero, come controdedotto dalla parte controricorrente a confutazione delle censure in esame, che il Giudice non tenuto a valutare tutte circostanze ma solo quelle decisive . È, tuttavia, altrettanto vero e, nella fattispecie, assolutamente rilevante che documenti, come quelli di cui alla doglianza dell’appellante-odierno ricorrente, devono ritenersi necessari al fine di evitare erronee valutazioni. Quei documenti non potevano e non possono non considerarsi e tenersi presente una volta – beninteso - necessariamente acquisiti. Orbene nella concreta ipotesi la sentenza impugnata, senza la valutazione dei documenti relativi agli atti di acquisto delle quote societarie per cui è controversia ha provveduto alla decisione. Tanto sulla scorta di una valutazione di inammissibilità e di non indispensabilità di tali suddetti documenti oggetto del terzo motivo di appello . Così facendo la Corte distrettuale ha creduto di poter non far ricorso al principio in allora invocato dall’appellante di cui a Cass. n. 7437/1994. E ciò nonostante l’allegazione svolta innanzi alla Corte territoriale ed oggi riformulata, della erronea applicazione della comunione legale di beni anche a un bene quota societaria che si asseriva documentalmente venduto dalla stessa coniuge per il 15% il 22.12.1990. Le svolte censure colgono nel segno l’erronea mancata acquisizione dei documenti in quanto essi erano fondamentali non solo per la valutazione in fatto, ma per la conseguente corretta applicazione del principio di diritto. Ed, infatti, solo alla stregua della corretta valutazione, previa acquisizione dei necessari documenti, era possibile ricostruire non in via presuntiva, ma sulla sorta dei titoli di acquisto se la quota venduta dalla stessa coniuge con atto del 22.12.1990 rientrava o meno fra i beni per i quali veniva invocata l’operatività della comunione legale. Al riguardo non può che rammentarsi il principio che questa Corte ha già avuto moto di enunciare allorché ha affermato che in tema di comunione legale tra coniugi, la previsione normativa contenuta nell’art. 177 c.c., lett. a , secondo la quale entrano a far parte della comunione gli acquisti compiuti dai coniugi anche separatamente durante il matrimonio, ai sensi dell’art. 177 c.c., riguarda esclusivamente gli acquisti provenienti da terzi e non gli atti di disposizione intercorsi tra i coniugi stessi nel caso di specie, in costanza di matrimonio, erano stati alienati da un coniuge, all’altro propri beni personali, consistenti in quote sociali, cui era seguito, all’atto dello scioglimento della società, l’attribuzione di un cespite immobiliare al coniuge acquirente, escluso dalla comunione per espressa indicazione contenuta nel rogito, seguita dalla dichiarazione adesiva dell’altro coniuge. La Corte, confermando la sentenza di secondo grado, ne ha escluso al riconduzione alla comunione legale, richiesta dal cedente . Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 6 marzo 2008, n. 6120 . Alla stregua di tale stessa decisione in tema, insomma, di acquisti effettuati da uno dei coniugi in costanza di matrimonio, al fine di escludere l’applicazione del regime della comunione legale dei beni è necessario, oltre ai requisiti indicati dell’art. 179 c.c., comma 1, lett. c d ed f , che l’altro coniuge partecipi all’atto di acquisto e che risulti espressamente tale esclusione. La mancata contestazione o l’esplicita conferma da parte del coniuge non acquirente, pur avendo natura ricognitiva e non negoziale, costituisce tuttavia un atto giuridico volontario e consapevole, cui il legislatore attribuisce l’efficacia di una dichiarazione a contenuto sostanzialmente confessorio, idonea a determinare l’effetto di una presunzione juris et de jure di non contitolarità dell’acquisto, di natura non assoluta ma superabile mediante la prova che la dichiarazione sia derivata da errore di fatto o da dolo e violenza nei limiti consentiti dalla legge. Nella fattispecie, il coniuge non acquirente, richiedente la contitolarità di un immobile pervenuto all’altro coniuge, per effetto dello scioglimento di società di capitali, aveva partecipato all’atto di acquisto, dichiarandosi in regime di separazione dei beni e nulla opponendo all’espressa qualificazione del cespite come derivato dall’assegnazione di beni personali. In mancanza della prova della non veridicità di tale dichiarazione, è stata confermata la natura di bene personale dell’immobile acquistato . Alla stregua degli esposti e riportati principi della decisione citata, nonché del principio - di cui innanzi - sulla necessità dell’acquisizione, nell’ipotesi, dell’acquisizione documentale non può che ritenersi la fondatezza delle censure svolte con i motivi qui in esame. Deve, poi e conclusivamente, affermarsi il principio per cui è erronea la valutazione di non indispensabilità di documenti comunque idonei ad una compiuta valutazione in fatto e ad una corretta applicazione di principi e norme di diritto. I motivi vanno, quindi e nel senso innanzi esposto, accolti. 5.- Il ricorso va conseguentemente accolto con cassazione, in punto, dell’impugnata sentenza e rinvio al Giudice in dispositivo indicato, che provvederà a decidere applicando il principio innanzi enunciato. P.Q.M. La Corte Rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo ed il terzo, cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Cagliari - Sezione Distaccata di Sassari in diversa composizione.