Mantenimento, il titolo di studio non basta per giustificare il rifiuto di determinate offerte di lavoro

In discussione l’assegno riconosciuto alla moglie a corredo della separazione dal marito. Da valutare con attenzione il comportamento della donna per ciò che concerne la ricerca di un’occupazione e il rifiuto alle opportunità procuratele dal consorte.

Il titolo di studio – un diploma di laurea, in questo caso – non può giustificare la decisione di respingere offerte di lavoro considerandole non all’altezza. E proprio questo comportamento può costare ora alla donna l’assegno di mantenimento Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 5932/21, depositata il 4 marzo . Il giudizio di separazione tra moglie e marito ha due nodi gordiani il primo riguarda l’addebito della crisi, correlata, in sostanza, all’ infedeltà dell’uomo il secondo riguarda invece l’assegno riconosciuto in favore della donna. Su entrambi i fronti i Giudici di merito respingono, sia in Tribunale che in Appello, le obiezioni proposte dall’uomo. Così, essi stabiliscono che la relazione extraconiugale del marito ha avuto un grosso peso specifico nell’ottica della cessazione della comunione di vita tra i coniugi , e, per quanto concerne il lato economico, ritengono giusto l’ assegno mensile di 1.000 euro in favore della donna che, viene rilevato, ha redditi assai modesti . Col ricorso in Cassazione, però, il legale dell’uomo contesta la visione tracciata in Appello, mettendo in discussione l’ addebito della separazione ma soprattutto ritenendo illogico l’assegno in favore della ex moglie che, evidenzia il legale, è laureata e ha sempre rifiutato i lavori propostile dal marito , così aggravandone la posizione debitoria . Per i Giudici territoriali è logico l’addebito della crisi coniugale al marito, in ragione della condotta da lui tenuta, risultante da documenti e dalle deposizioni testimoniali raccolte, anche nel corso del procedimento penale a suo carico, nonché in relazione alla relazione extraconiugale, causa del deterioramento dei reciproci rapporti . Sul lato economico, poi, i Giudici osservano che la comparazione dei redditi e del patrimonio delle parti mostra un elevato dislivello a favore del marito e ciò legittima l’assegno in favore della moglie per 1.000 euro , soprattutto presenti le attitudini lavorative della donna, attitudini che vanno ricondotte alla laurea . E, a questo proposito, i Giudici d’Appello precisano che il profilo individuale non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate, non potendosi pretendere che una donna quarantottenne, laureata, che aveva goduto di un livello di vita invidiabile, poi sia condannata al banco di mescita o al badantato . Quest’ultima osservazione viene fortemente censurata dai Giudici della Cassazione, che non mettono in discussione, invece, le colpe dell’uomo per la separazione. A stonare è il ragionamento dei Giudici territoriali, i quali hanno affermato l’irrilevanza della ricerca di un lavoro quale fonte di reddito e anzi hanno dato piena giustificazione al rifiuto di impiego, quando non esattamente adeguato al titolo di studio ed alle aspirazioni individuali del coniuge che reclami l’assegno di mantenimento a carico dell’altro coniuge separato . Come detto, per i Giudici territoriali il profilo individuale non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate , e ciò comporta, per logica, il diritto del coniuge che richiede l’assegno di mantenimento a rifiutare ogni lavoro, in quanto non ogni proposta può ritenersi pertinente ed adeguata . Evidentemente, osservano dalla Cassazione, per i Giudici d’Appello è svilente che una persona laureata, avendo in precedenza goduto di un livello di vita invidiabile , in seguito possa essere condannata al banco di mescita o al badantato . Ma questo ragionamento si pone in netto contrasto col principio secondo cui, ricordano i magistrati del ‘Palazzaccio’, in tema di separazione personale dei coniugi , la loro attitudine al lavoro proficuo, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento che è indispensabile valutare ai fini delle statuizioni afferenti l’assegno di mantenimento, dovendo il giudice accertare l’effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita , in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale . In questa ottica, può rilevare, ad esempio, anche la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione . Invece, in questa vicenda, i Giudici territoriali non menzionano le concrete, singole attività lavorative eventualmente reperite dalla donna, né quelle eventualmente oggetto dell’attività di ricerca di un lavoro in suo favore svolta dal marito , mentre essi, annotano dalla Cassazione, si limitano ad affermare il diritto di non reperire alcuna attività lavorativa reputata inferiore , senza però chiarire di avere valutato gli impieghi effettivamente reperiti o proposti, al fine di poterne fondatamente affermare, all’esito di una valutazione, la reale inadeguatezza e inaccettabilità per la donna . In sostanza, è stato confermato il diritto della donna al mantenimento sulla base di rilievi del tutto astratti e giungendo a negare dignità al lavoro manuale o di assistenza alla persona mentre, al contrario, si è omesso di porre attenzione sugli elementi rilevanti, come l’essere o no la coniuge in grado di procurarsi redditi adeguati, l’esistenza o no di proposte di lavoro, l’eventuale rifiuto immotivato di accettarle o, comunque, l’attivazione concreta alla ricerca di una occupazione lavorativa . Appare fragile, quindi, la decisione dei Giudici d’Appello. Per questo è necessario un nuovo processo di secondo grado per compiere una valutazione specifica delle proposte e dei lavori ricercati o reperiti dalla donna, nonché della raggiunta prova del diritto a non compierli e delle ragioni di questa decisione , prima di decidere sull’assegno di mantenimento a lei riconosciuto in Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 2 febbraio – 4 marzo 2021, n. 5932 Presidente Scotti – Relatore Nazzicone Rilevato - che è proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, avverso la sentenza del 7 maggio 2019, n. 288, con la quale la Corte d'appello di Trieste, in controversia relativa alla separazione personale tra l'odierno ricorrente e la moglie, ha rigettato le doglianze proposte dal medesimo avverso la sentenza di primo grado - che l'intimata si difende con controricorso, depositando memoria Considerato - che i motivi vanno come di seguito riassunti 1 omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. con riguardo all'addebito della separazione al marito, confermato dalla corte territoriale, la quale ha omesso di valutare il passaggio della espletata c.t.u., secondo cui i figli hanno personalità armoniche, tanto da permettere l'affidamento condiviso ad entrambi i genitori dei medesimi, pur conviventi con la madre 2 omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. con riguardo all'addebito della separazione al marito, confermato dalla corte territoriale, anche sull'inesatto presupposto che la relazione extraconiugale del marito sia stata causalmente influente ai fini della cessazione della comunione di vita tra i coniugi, come sarebbe emerso da un migliore apprezzamento delle risultanze di causa 3 violazione o falsa applicazione dell'art. 337-ter ce., con riguardo all'assegno in favore della prole, senza considerare che il tenore di vita anteatto è un mero principio tendenziale e che il ricorrente non gode più delle precedenti disponibilità economiche, come emerge dagli atti di causa 4 violazione o falsa applicazione dell'art. 115, comma 1, ce. [rectius c.p.c. come agevolmente desumibile dal contenuto del motivo], con riguardo all'assegno in favore della moglie, confermato nella misura di Euro 1.000,00 mensili, con superficiale valutazione delle risultanze di causa, non essendo oltretutto, a differenza di quanto opinato dalla sentenza impugnata, la controparte laureata in farmacia, ma in lingue ed avendo sempre rifiutato i lavori propostile dal marito 5 violazione o falsa applicazione dell'art. 156, comma 1, ce, essendosi la corte territoriale limitata ad affermare che la moglie ha redditi assai modesti, trascurando però che ha diverse entrate e che, comunque, l'assegno di mantenimento nella separazione - contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale - non mira a mantenere lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio, ma assicura solo un contributo al coniuge economicamente più debole, sempre che, però, lo stesso si sia attivato per la ricerca di un lavoro, e non sia invece rimasto al riguardo del tutto inerte, sempre rifiutando, come nella specie, le molteplici possibilità lavorative proposte dal marito in tal modo, la moglie ha aggravato ingiustificatamente la posizione debitoria del ricorrente - che la corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che a va confermato l'addebito della crisi coniugale al marito, in ragione della condotta del medesimo, risultante da documenti e dalle deposizioni testimoniali raccolte, anche nel corso del procedimento penale a suo carico, nonché in relazione alla relazione extraconiugale, causa del deterioramento dei reciproci rapporti b la comparazione dei redditi e del patrimonio delle parti mostra un elevato dislivello a favore del marito, onde su tale base è stato correttamente determinato dal tribunale l'assegno di mantenimento in favore dei due figli in Euro 650,00 mensili ciascuno, oltre alla metà delle spese straordinarie c quanto all'assegno in favore della moglie per Euro 1.000,00, le sue attitudini lavorative vanno ricondotte alla laurea in farmacia, ma il profilo individuale dell'avente diritto non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate, non potendosi pretendere che una donna quarantottenne, laureata, che aveva goduto di un livello di vita invidiabile , poi sia condannata al banco di mescita o al badantato - che, ciò posto, i primi due motivi - i quali possono essere congiuntamente trattati, presentando il medesimo vizio - sono inammissibili - che, invero, con riguardo all'art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c. come novellato dall'art. 54, comma 1, n. 1, lett. b , D.L. n. 83 del 2012, convertito con L. n. 134 del 2012, si è da tempo chiarito da questa Corte come la nuova previsione contempli un vizio della sentenza diverso da quelli afferenti alla motivazione, e che si traduca nell'omesso esame di un fatto materiale, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo cfr., per tutte, Cass. s.u. n. 8053/2014 - che, nella specie, la corte del merito, con amplia argomentazione, ha dato conto delle conclusioni raggiunte, in particolare quanto all'addebito della separazione al marito da essa, invero, fondato su due evenienze del tutto in linea con i principi dettati da questa Corte in ordine alle ragioni che possono fondare tale pronuncia - che il terzo motivo è del pari inammissibile, in quanto esso, pur sotto l'egida del vizio di violazione di legge, prospetta invece, nella realtà, una diversa valutazione delle risultanze di causa, riservate all'apprezzamento del giudice del merito onde le doglianze relative alla presunta diversa portata dei documenti si risolve in un sindacato di fatto circa l'esito della valutazione probatoria - che il quarto ed il quinto motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto censurano sotto diversi profili la determinazione della misura dell'assegno in favore della moglie, sono manifestamente fondati - che, invero, nel ragionamento esposto in sentenza dalla corte territoriale, essa afferma l'irrilevanza della ricerca di un lavoro, quale fonte di reddito anzi, dà piena giustificazione al rifiuto di impiego, quando non fosse esattamente adeguato al titolo di studio ed alle aspirazioni individuali del coniuge che reclami l'assegno di mantenimento a carico dell'altro coniuge separato afferma, quindi, che il profilo individuale non va mortificato con possibili occupazioni inadeguate , affermando il diritto del coniuge richiedente a rifiutare ogni lavoro, in quanto non ogni proposta può ritenersi pertinente ed adeguata mostra di ritenere svilente che una persona laureata, in precedenza avendo goduto di un livello di vita invidiabile , in seguito possa essere condannata al banco di mescita o al badantato - che in tal modo, la corte territoriale si pone manifestamente in contrasto con il disposto dell'art. 156 ce, come interpretato da questa Corte invero, in tema di separazione personale dei coniugi, l'attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento che è indispensabile valutare, ai fini delle statuizioni afferenti l'assegno di mantenimento, dovendo il giudice del merito accertare l'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale donde rileva, ad esempio, la possibilità di acquisire professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle possedute in precedenza, o la circostanza che il coniuge abbia ricevuto, successivamente alla separazione, effettive offerte di lavoro, ovvero che comunque avrebbe potuto concretamente procurarsi una specifica occupazione cfr., fra le altre, Cass. 19 giugno 2019, n. 16405 Cass. 9 marzo 2018, n. 5817 Cass. 13 gennaio 2017, n. 789 Cass. 13 gennaio 2017, n. 789 - che la corte territoriale non menziona le concrete, singole attività lavorative eventualmente reperite dalla richiedente l'assegno, che non vengono precisate, al pari di quelle eventualmente oggetto dell'attività di ricerca di un lavoro in suo favore svolta dal marito, limitandosi la corte ad affermare il diritto di non reperire alcuna attività lavorativa reputata inferiore, senza però affermare di avere valutato gli impieghi effettivamente reperiti o proposti, al fine di poterne fondatamente affermare, all'esito della valutazione dei medesimi, la reale inadeguatezza e inaccettabilità per la richiedente - che l'impugnata sentenza ha confermato il diritto al mantenimento, quindi, sulla base di rilievi del tutto astratti, giungendo a negare dignità al lavoro manuale o di assistenza alla persona mentre, al contrario, ha omesso di porre la propria attenzione sugli elementi rilevanti, come l'essere o no la coniuge in grado di procurarsi redditi adeguati, l'esistenza o no di proposte di lavoro, l'eventuale rifiuto immotivato di accettarle o comunque, l'attivazione concreta alla ricerca di una occupazione lavorativa essa non si cala nel contesto concreto, al contrario essendo all'uopo necessario compiere una valutazione specifica delle proposte e dei lavori ricercati o reperiti, nonché della raggiunta prova del diritto a non compierli e delle ragioni di ciò - che, pertanto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla corte del merito, in diversa composizione, affinché proceda agli accertamenti necessari alla corretta applicazione dei principi esposti P.Q.M. La Corte accoglie il quarto ed il quinto motivo, inammissibili gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d'appello di Trieste, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 febbraio 2021.