Assegno divorzile: chiarimenti dalla Cassazione sulla determinazione della cifra dovuta all’ex coniuge

In tema di divorzio, non possono computarsi nel patrimonio del coniuge creditore dell’assegno divorzile, calcolato ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898/1970, anche gli introiti percepiti dal medesimo a seguito di inadempimento nella corresponsione dell’assegno di separazione, corrisposti in unica soluzione a seguito di azione esecutiva svolta con successo.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 4215/21, depositata il 17 febbraio. La Corte d’Appello di L’Aquila accoglieva l’appello incidentale proposto dall’ex moglie avverso la sentenza di prime cure che aveva fissato a 5mila euro la cifra dovuta dall’ex coniuge come assegno divorzile . I Giudici di seconde cure hanno raddoppiato l’importo mensile dell’assegno dopo aver esaminato le situazioni economiche delle parti anche in base alla CTU contabile, alle ragioni di addebito della separazione, al contributo economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune, nonché alla durata del vincolo matrimoniale. L’ex marito ha proposto ricorso in Cassazione dolendosi per la mancata valutazione, nel reddito della controparte, della somma di oltre 380mila euro assegnatale all’esito di una procedura esecutiva a titolo di arretrati dell’assegno di mantenimento. Il Collegio ha ritenuto infondata la doglianza in virtù del principio secondo cui in tema di divorzio, non possono computarsi nel patrimonio del coniuge creditore dell’assegno divorzile, calcolato ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898/1970, anche gli introiti percepiti dal medesimo a seguito di inadempimento nella corresponsione dell’assegno di separazione , corrisposti in unica soluzione a seguito di azione esecutiva svolta con successo . Viene invece ritenuto parzialmente fondato il ricorso là dove lamenta la determinazione del quantum dell’assegno in relazione alla più recente giurisprudenza di legittimità sul tema. La Corte territoriale non ha infatti fatto corretta applicazione dell’art. 5 l. n. 898/1970 avendo incentrato la decisione essenzialmente sul parametro del mantenimento di un tenore di vita pari a quello goduto in costanza di matrimonio. In conclusione, la pronuncia impugnata viene cassata nei limiti delle doglianze accolte con rinvio al giudice di merito che dovrà attenersi al principio secondo cui l’ assegno divorzile , che è attribuito e quantificato facendo applicazione, in posizione pariordinata, dei parametri di cui alla l. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, e non del parametro del tenore di vita godibile durante il matrimonio, deve assicurare all’ex coniuge richiedente, in ragione della sua finalità composita - assistenziale, perequativa e compensativa -, un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito in ogni ambito di rilevanza declinato tramite i suddetti parametri, mediante complessiva ponderazione, relativa allo specifico contesto, dell’ intera storia coniugale e della prognosi futura , tenendo conto, altresì, delle eventuali attribuzioni o degli introiti che abbiano compensato il sacrificio delle aspettative professionali dell’avente diritto e realizzato l’esigenza perequativa .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 11 novembre 2020 – 17 febbraio 2021, n. 4215 Presidente Genovese – Relatore Parise Fatti di causa 1. Con sentenza definitiva n. OMISSIS , il Tribunale di Pescara, all’esito della pronuncia non definitiva degli effetti civili del matrimonio contratto dai coniugi C.F. e M.A.M. in data OMISSIS , poneva a carico dell’ex marito, con decorrenza dalla data della domanda, l’assegno divorzile di Euro 5.000. 2. Con sentenza depositata l’8-11-2016 la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’appello principale proposto da C.F. avverso la citata sentenza del Tribunale di Pescara ed ha accolto l’appello incidentale proposto da M.A.M. avverso la medesima sentenza, disponendo, per l’effetto, l’aumento dell’assegno divorzile, a carico dell’ex marito e in favore dell’appellante incidentale, all’importo mensile di Euro 10.000, oltre adeguamento Istat dalla data della domanda. La Corte d’appello, dopo aver esaminato in dettaglio le situazioni economiche delle parti anche in base all’acquisita C.T.U. contabile, ha ritenuto che, valutate comparativamente le risorse economiche e patrimoniali degli ex coniugi, la determinazione dell’assegno divorzile in Euro 5.000 effettuata dal Tribunale fosse inadeguata per difetto, anche in considerazione degli altri parametri normativamente previsti per la liquidazione dell’importo dovuto, ossia delle ragioni della decisione di addebito della separazione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno degli ex coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno o di quello comune, del reddito di entrambi e della durata del vincolo matrimoniale. La Corte territoriale ha rilevato, in particolare, che i la causa della disgregazione della comunione materiale e spirituale di vita tra i coniugi era riconducibile alla condotta violenta e vessatoria del C. , sanzionata con condanna penale passata in giudicato, posta in essere reiteratamente nel corso della vita matrimoniale in danno della moglie, pur dopo che quest’ultima aveva accettato la convivenza con il figlio avuto dal marito da una relazione extraconiugale ii anche dopo la separazione l’ex marito, come risultava dalle sentenze penali richiamate, aveva continuato a tenere una condotta connotata da persistente violenza fisica e verbale nei confronti dell’ex coniuge, che era stata esclusa arbitrariamente dagli utili e dalla stessa compagine sociale della Caffè Lunik S.r.l. iii l’ex moglie aveva fornito il proprio apporto alla conduzione della famiglia, accogliendo e prendendosi cura del figlio naturale del marito, nato in costanza di matrimonio da una relazione extra-coniugale, e soprattutto contribuendo alla formazione, anche quale socia della Caffè Lunik S.r.l., dell’ingente ricchezza immobiliare e mobiliare, intestata al solo marito, accumulata nel corso della vita matrimoniale, di cui ha rimarcato la lunga durata dal OMISSIS . La Corte d’appello ha determinato, pertanto, nell’importo Euro 10.000 l’assegno divorzile, ritenendolo contributo congruo ed adeguato a consentire alla M. la conservazione dell’alto tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e che la stessa poteva verosimilmente aspettarsi dalla protrazione della convivenza coniugale. 3. Avverso questa sentenza C.F. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti di M.A.M. , che resiste con controricorso. 4. All’esito di accoglimento dell’istanza di prelievo presentata dal ricorrente il 18 maggio 2020, il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1c.p.c Le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 50, comma 1, lett. i . Lamenta la mancata valutazione, come reddito della M. o come posta passiva del patrimonio del C. , della somma di Euro 386.283,09, oltre interessi, assegnata alla ex moglie all’esito di una procedura esecutiva a titolo di arretrati dell’assegno di mantenimento. Deduce che, ai sensi dell’art. 50 citato, gli assegni periodici corrisposti all’ex coniuge sono redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente per il beneficiario ed erroneamente la Corte territoriale non ha considerato quell’ingente somma nella valutazione dei redditi degli ex coniugi, potendosi altresì ritenere che l’incasso del suindicato importo in unica soluzione rappresentasse di fatto un risparmio, ovvero un capitale produttivo di utili. 2. Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, denuncia la violazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, dell’art. 282 c.p.c. e degli artt. 2473 e 2473 bis c.c., dolendosi della mancata considerazione nel patrimonio della sig.ra M. del diritto di credito alla liquidazione della quota del 15% nella società Caffè Lunik s.r.l Deduce che la Corte territoriale ha compiuto un errore di diritto richiamando, al fine di escludere ogni rilevanza di quella posta, il mancato passaggio in giudicato della statuizione di annullamento della delibera di esclusione della M. dalla suddetta società. In particolare, in violazione dell’art. 282 c.p.c., trattandosi di sentenza di accertamento, il rapporto obbligatorio continuava ad essere produttivo di effetti e l’ex moglie, in ogni caso, quale socio escluso, ai sensi dell’art. 2473 bis c.c. era titolare del diritto alla liquidazione della quota del 15% nella società Caffè Lunik s.r.l 3. Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, dolendosi della mancata considerazione, come reddito della M. o come posta passiva del patrimonio del C. , del diritto di credito dell’ex moglie pari a nominali Euro 182.801,18, attualmente pari a oltre Euro 310.000,00, con interessi e rivalutazione, accertato con sentenza n. 613/2016 del Tribunale di Pescara. Detto credito aveva fonte nella scrittura privata del 10.9.1992, con cui le parti avevano regolato i loro rapporti dell’impresa familiare estinta, prima della costituzione della s.r.l. Caffè Lunik, e la Corte d’appello, pur menzionando la circostanza nel riassumere il motivo d’appello dell’attuale ricorrente vedente su quel credito, non ne ha tenuto conto tra le componenti del patrimonio della M. , implicitamente ritenendo di non poter considerare posta attiva quel diritto di credito, che era stato riconosciuto con la sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, seppur impugnata. 4. Con il quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente denuncia la nullità della sentenza in relazione alla tardiva allegazione della titolarità in capo al ricorrente stesso di titoli obbligazionari, in violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, e, dunque, per inosservanza dei termini perentori previsti da detta norma. Deduce che l’ex moglie solo con la seconda memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, aveva allegato che tra le cospicue risorse economiche del ricorrente avrebbero dovuto ricomprendersi anche rendimenti di investimenti su titoli, da stimarsi nell’ordine di Euro 7.000.000, e la ricostruzione e l’ammontare di tali disponibilità veniva contestato dal ricorrente con la terza memoria istruttoria. Ad avviso del ricorrente, la sentenza di primo grado è nulla per avere il Tribunale indagato sull’esistenza dei titoli di investimento che costituivano un fatto principale nuovo, allegato tardivamente dalla M. . La nullità della sentenza del Tribunale aveva investito anche la sentenza d’appello, non potendo ritenersi sanata per mancanza di apposito motivo di gravame in appello da parte dell’attuale ricorrente, atteso che il Tribunale, implicitamente considerando rituale e non tardiva l’allegazione sui titoli di investimento, aveva, in ogni caso, ritenuto che non risultassero intestati i suddetti titoli in capo al C. , sicché non sussisteva l’interesse di quest’ultimo ad impugnare la relativa statuizione. 5. Con il quinto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, e si duole della mancata considerazione, come parte del reddito della M. , dell’utilità derivante dalla sua pacifica occupazione dell’immobile sito in OMISSIS . Lamenta che la Corte territoriale non abbia fatto menzione, tra le poste attive del patrimonio della M. , di quell’immobile, che assume intestato solo fittiziamente alla sorella dell’ex moglie, implicitamente rigettando quella doglianza, nonché che la Corte d’appello non abbia tenuto conto dell’utilità derivante dall’occupazione da parte dell’ex moglie di un immobile di assoluto prestigio e, quindi, del risparmio di spesa che ne conseguiva. 6. Prioritariamente deve essere esaminato il quarto motivo in quanto concernente una doglianza di natura processuale. Il ricorrente denuncia la nullità della sentenza di primo grado, per avere il Tribunale preso in esame la circostanza relativa all’esistenza di titoli di investimento a lui intestati, pur ritenendo, nel merito, non fornita la prova della suddetta intestazione, e ciò nonostante che l’allegazione di quei fatti da parte dell’altro coniuge fosse avvenuta, a suo dire, tardivamente nel giudizio di primo grado. Assume, inoltre, che la nullità si sia riverberata sulla sentenza di secondo grado, per avere la Corte d’appello tenuto conto dei titoli di investimento, in accoglimento dell’appello incidentale della M. , a nulla rilevando la mancata proposizione, da parte sua, di appello principale sulla questione, stante l’insussistenza di interesse ad impugnare dato l’esito a lui favorevole della decisione di primo grado sul punto. 6.1. Il motivo è infondato. Secondo l’orientamento di questa Corte al quale il Collegio intende dare continuità, il rito previsto per il giudizio di appello di divorzio si svolge secondo il rito camerale, ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, comma 12 nel testo sostituito ad opera della L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 8 e l’acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, è ammissibile sino all’udienza di discussione in camera di consiglio, sempre che sulla produzione si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio, che costituisce esigenza irrinunziabile anche nei procedimenti camerali cfr. Cass. Sez. 1, Cass. n. 5876/2012 n. 6562/2014 n. 16864/2017 n. 11319/2005 Corte Cost. n. 543/1989 . Premesso che nessuna doglianza in ordine all’eventuale violazione del contraddittorio è stata espressa dal ricorrente, nel rito camerale in materia di famiglia la preclusione processuale non opera, dunque, neppure nel corso del giudizio di secondo grado, ma solo fino all’udienza di discussione, discendendo il suddetto ultimo limite temporale dal raccordo con il principio di ragionevole durata del processo, sicché non ricorre la lamentata violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, inapplicabile perché incompatibile con quel rito, nei termini precisati. 6.2. Sotto ulteriori profili, rileva il Collegio che, per un verso, la questione della tardività non è stata sollevata in appello dall’attuale ricorrente, come egli stesso dà atto, ed invece avrebbe dovuto essere eccepita in replica all’appello incidentale della M. cfr. Cass. n. 8206/2016 e n. 20678/2016 , e che, per altro verso, la deduzione di cui trattasi concerne non il fatto principale ingente consistenza di disponibilità finanziarie dell’ex marito , tempestivamente allegato cfr. pag. n. 19 e 20 del controricorso , ma il fatto secondario, consistente nel possesso, da parte del C. , di titoli di investimento, che può essere dedotto entro il termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2 cfr. Cass. n. 8525/2020 , come avvenuto nella specie. 7. Passando all’esame degli altri motivi, il primo è infondato. 7.1. Il ricorrente si duole della mancata considerazione da parte della Corte di merito, nel giudizio di comparazione delle condizioni economiche e patrimoniali degli ex coniugi, del rilevante credito Euro 386.283,09 maturato dalla M. nei confronti dell’ex marito a titolo di arretrati per l’assegno di mantenimento non versato e dovuto in forza della sentenza d’appello di separazione giudiziale. Il ricorrente sostiene che il credito di cui si discute, in quanto reddito equiparato a quello da lavoro dipendente in base alla disciplina fiscale e comunque utilità suscettibile di valutazione economica, debba farsi rientrare tra le poste patrimoniali oggetto di comparazione tra le posizioni economiche degli ex coniugi, al fine della determinazione dell’assegno divorzile. 7.2. La ricostruzione prospettata dal ricorrente non ha fondamento, considerato che l’assegno separativo ha fonte legale nel diritto all’assistenza materiale correlato al vincolo coniugale, ed è infatti il vincolo matrimoniale il presupposto dei provvedimenti di mantenimento in regime separativo. Nella specie, l’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex moglie non è stato corrisposto periodicamente, contrariamente a quanto per legge deve avvenire, sia perché, come incontroverso tra le parti, la sua determinazione giudiziale ha richiesto un non breve iter processuale, sia perché ai fini dell’assegnazione della somma dovuta per il suddetto titolo si è resa necessaria l’esecuzione forzata in danno del C. . La natura di quel credito, il cui ammontare complessivo è divenuto, nel tempo, di rilevante entità per le peculiari ragioni di cui si è detto, è ostativa a che se ne possa tenere conto per valutare la sproporzione tra le posizioni economiche delle parti ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, e ciò in quanto il notevole ritardo nella corresponsione dell’assegno separativo, all’esito avvenuta, nella fattispecie scrutinata, in unica soluzione, non può all’evidenza vanificare la finalità, sancita dall’art. 156 c.c., di sostentamento periodico e continuativo del coniuge economicamente più debole, che, nel caso concreto, non si è realizzata anche a causa del pregresso inadempimento del coniuge onerato. A ciò si aggiunga che, con riguardo all’attribuzione dell’assegno divorzile, la valutazione della consistenza economico-patrimoniale della posizione di ciascun coniuge è funzionale a ristabilire una situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo matrimoniale può essere venuta a mancare e che va modulata secondo i criteri assistenziali, perequativi e compensativi declinati come da sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 18287/2018, di cui di seguito più approfonditamente si dirà. In detto contesto, che è nettamente distinto e autonomo, sul piano sostanziale, quanto a presupposti, natura ed effetti, da quello che caratterizza il regime separativo, l’indagine sul montante economico-patrimoniale di ciascun coniuge ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, non può comprendere una posta creditoria che, in quanto, per l’appunto, afferente al regime patrimoniale della separazione coniugale, è necessariamente destinata ad estinguersi, temporalmente, nel momento del venir meno del vincolo matrimoniale, mentre, prima di tale momento, in situazioni normali e fisiologiche , poiché serve a mantenere e sostenere, nel periodo della separazione, il coniuge economicamente più debole, sarà stata da quest’ultimo, nel frattempo, utilizzata per far fronte alle sue esigenze di vita. Nella stessa ottica e per le medesime argomentazioni, risulta inconferente ai fini che qui interessano il richiamo al regime fiscale cui è assoggettato l’assegno separativo, che è onere deducibile per il soggetto che lo eroga e reddito assimilato a quello di lavoro dipendente per il coniuge che lo percepisce. Pertanto va affermato il seguente principio di diritto In tema di divorzio, non possono computarsi nel patrimonio del coniuge creditore dell’assegno divorzi/e, calcolato ai sensi della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 6, anche gli introiti percepiti dal medesimo a seguito di inadempimento nella corresponsione dell’assegno di separazione, corrisposti in unica soluzione a seguito di azione esecutiva svolta con successo . 8. I motivi secondo e terzo meritano accoglimento nei limiti che si vanno ad illustrare. 8.1. Premesso che va disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente perché le doglianze, svolte sub specie del vizio di violazione di legge, denunciano, in buona sostanza, il mancato rispetto dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, occorre richiamare l’innovativo e più recente orientamento di questa Corte, secondo il quale il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. In particolare, si impone una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente l’assegno divorzile alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, conduce, quindi, al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi Cass. Sez. U., 11/07/2018, n. 18287 Cass., 23/01/2019, n. 1882 . 8.2. Occorre, altresì, precisare che sull’elevato tenore di vita coniugale non può ritenersi affatto formato il giudicato interno, contrariamente a quanto sostiene parte controricorrente nella memoria conclusiva. La giurisprudenza più recente di Corte ha chiarito, esprimendo un orientamento a cui il Collegio intende dare continuità Cass. n. 2217/2016 e Cass. n. 24783/2018 , che, ai fini della selezione delle questioni, di fatto o di diritto, suscettibili di devoluzione e, quindi, di giudicato interno se non censurate in appello, la locuzione giurisprudenziale minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esistenza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico. Ne consegue che, sebbene ciascun elemento di detta sequenza possa essere oggetto di singolo motivo di appello, nondimeno l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo di essi riapre la cognizione sull’intera statuizione. Ciò posto, nel caso che si sta scrutinando, l’elevato tenore di vita coniugale si è posto nel giudizio d’appello, nonché si pone nel presente giudizio come un elemento della suddetta sequenza logica, che dovrà essere nuovamente valutato dai Giudici di merito in virtù dell’innovativo orientamento interpretativo di cui si è detto, che ha reimpostato i termini giuridici della controversia. 8.3. Passando all’esame delle censure espresse con i motivi secondo e terzo del ricorso, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 e dei principi suesposti, avendo incentrato la decisione essenzialmente sul parametro escluso dall’indirizzo suindicato del mantenimento di un tenore di vita pari a quello goduto in costanza di matrimonio. La Corte di merito, sulla premessa dell’accertata sussistenza della precondizione fattuale costituita dallo squilibrio tra le posizioni economico-patrimoniali delle parti, nel richiamare il precedente indirizzo di questa Corte, ha quantificato l’assegno mensile in Euro 10.000 in quanto adeguato a consentire alla M. la conservazione dell’alto tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e che la stessa poteva verosimilmente aspettarsi dalla protrazione della convivenza coniugale . Dunque, la Corte d’appello, pur dando conto di altri parametri legali responsabilità del fallimento del matrimonio in capo al marito violento e prevaricatore, contributo dell’ex moglie alla vita familiare e al patrimonio del marito, durata del vincolo matrimoniale , che, in ogni caso, anche in base all’attuale nuovo orientamento meritano adeguata considerazione, ma sotto diversi profili di indagine e di rilevanza, ha accertato l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente in base al parametro del tenore potenziale di vita. La Corte di merito non ha, invece, valutato se e in che misura lo squilibrio economico fosse riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all’interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due. Non ha, altresì, valutato, con riferimento al criterio composito di cui si è detto ed ai parametri cui occorre attenersi per decidere sia sull’attribuzione, sia sulla quantificazione dell’assegno, il contributo che la richiedente, in ogni ambito di rilevanza, ha apportato al nucleo familiare e alla creazione del patrimonio comune e/o personale dell’altro coniuge e se in concreto l’assegno di divorzio, all’esito di una complessiva ponderazione, relativa allo specifico contesto, dell’intera storia coniugale e della prognosi futura, sia in grado di assicurare all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo fornito e rimasto non compensato, tenendo conto, in tale ottica, anche degli eventuali proventi ad esso correlati. Sotto tale ultimo aspetto, con il secondo motivo il ricorrente ha evidenziato che nei suoi confronti la M. ha il rilevante credito, sub judice alla data della decisione impugnata e divenuto definitivamente accertato all’esito della pronuncia di questa Corte n. 16013/2019 cfr. documenti allegati all’istanza di prelievo del ricorrente , per la liquidazione della quota del 15% nella società Caffè Lunik s.r.l., o comunque per il valore corrispondente alla suddetta partecipazione societaria. La M. ha anche altro rilevante credito nei confronti dell’ex marito, sub judice alla data della decisione della Corte d’appello di L’Aquila impugnata e divenuto definitivamente accertato all’esito della pronuncia della medesima Corte d’appello n. 814/2017 cfr. documenti allegati all’istanza di prelievo del ricorrente , per la liquidazione della quota di partecipazione all’impresa familiare, come da accordi stipulati dagli ex coniugi nel 1992, prima della separazione, allorquando venne estinta la suddetta impresa familiare, di cui la M. era coadiutore terzo motivo con l’accordo del 1992 i coniugi stabilirono che all’ex moglie, a titolo di crediti per incrementi, spettavano nominali Euro 182.802,18 in danaro e il resto con attribuzione del 15% della costituenda Caffè Lunik s.r.l. pag. 14 ricorso . Si tratta di crediti, definitivamente ora accertati con giudicati esterni intervenuti tra le stesse parti successivamente alla sentenza impugnata Cass. n. 1534/2018 e Cass. n. 11754/2018 , la cui valutazione, che non può che essere rimessa all’apprezzamento dei giudici di merito, dovrà essere effettuata sulla scorta della nuova regola interpretativa affermata dalle Sezioni Unite, rendendo perciò necessario l’accertamento di nuovi fatti, in ordine non solo al nesso causale tra sperequazione e complessivo contributo del coniuge richiedente sotto ogni profilo di rilevanza secondo il criterio composito assistenziale, perequativo e compensativo di cui si è detto, ma anche in ordine all’eventuale remunerazione già ottenuta dall’ex moglie per il suo apporto, mediante eventuali attribuzioni o introiti che abbiano compensato il sacrificio delle sue aspettative professionali e realizzato l’esigenza perequativa. In altri termini, i giudici di merito, che hanno preso in considerazione, nella comparazione, la quota nella società Caffè Lunik s.r.l. invero non anche l’altro credito -, ma solo al fine di escluderne l’incidenza rispetto al parametro del mantenimento del precedente standard di vita da parte dell’ex moglie pag. n. 9 sentenza impugnata , dovranno rivalutare la sproporzione economico e patrimoniale in relazione a tutti i diversi parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, nonché dovranno accertare il nesso causale tra lo squilibrio economico e il ruolo endo-familiare svolto dalla richiedente, il contributo fornito dalla stessa in ogni ambito di rilevanza declinato tramite i suddetti parametri e se e in che misura quel contributo possa ritenersi già compensato. 8.4. Resta da aggiungere che, come di recente pure precisato da questa Corte Cass. n. 11178/2019 , la cassazione della pronuncia impugnata con rinvio per un vizio di violazione o falsa applicazione di legge che reimposti in virtù di un nuovo orientamento interpretativo i termini giuridici della controversia così da richiedere l’accertamento di fatti, intesi in senso storico e normativo, non trattati dalle parti e non esaminati dal giudice del merito, impone, perché si possa dispiegare effettivamente il diritto di difesa, che le parti siano rimesse nei poteri di allegazione e prova conseguenti alle esigenze istruttorie conseguenti al nuovo principio di diritto da applicare in sede di giudizio di rinvio. 8.5. In conclusione, i motivi secondo e terzo meritano accoglimento nel senso precisato, la sentenza impugnata va cassata nei limiti dei motivi accolti e la causa va rimessa alla Corte di merito che dovrà attenersi al seguente principio di diritto L’assegno divorzile, che è attribuito e quantificato facendo applicazione, in posizione pariordinata, dei parametri di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, prima parte, e non del parametro del tenore di vita godibile durante il matrimonio, deve assicurare all’ex coniuge richiedente, in ragione della sua finalità composita assistenziale, perequativa e compensativa -, un livello reddituale adeguato al contributo dallo stesso fornito in ogni ambito di rilevanza declinato tramite i suddetti parametri, mediante complessiva ponderazione, relativa allo specifico contesto, dell’intera storia coniugale e della prognosi futura, tenendo conto, altresì, delle eventuali attribuzioni o degli introiti che abbiano compensato il sacrificio delle aspettative professionali dell’avente diritto e realizzato l’esigenza perequativa . 9. Il quinto motivo è inammissibile. 9.1. Il ricorrente, nel denunciare la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, si duole della mancata considerazione, da parte della Corte territoriale, della posta attiva costituita dall’immobile di prestigio sito in OMISSIS , che assume fittiziamente intestato alla sorella della M. , ma in realtà di proprietà di quest’ultima, e si duole, principalmente, della mancata considerazione del risparmio di spesa determinato dal fatto che la M. risiedeva ed abitava in un immobile prestigioso intestato alla sorella. La censura è inammissibile con riferimento alla prima deduzione, che era stata proposta in appello, come risulta dalle parti dell’atto d’appello trascritte in ricorso pag. n. 24 , e che, per quanto è dato comprendere, viene riproposta nel presente giudizio, sostenendo il ricorrente che la Corte di merito non abbia esaminato la questione, così implicitamente rigettando la sua prospettazione difensiva. La doglianza è, infatti, formulata in modo generico, senza che neppure sia precisato in base a quali argomentazioni, in tesi disattese implicitamente dal giudice d’appello, sia stato basato l’assunto dell’appartenenza alla M. dell’immobile per interposta persona e senza che neppure sia denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti storici decisivi oggetto di discussione tra le parti. La censura è inammissibile anche con riferimento alla deduzione secondo cui l’abitazione della M. presso la casa della sorella costituisce un’utilità, integrante un risparmio di spesa, non valutata dalla Corte di merito. A fronte dell’eccezione di novità della suddetta deduzione sollevata dalla controricorrente, nella memoria illustrativa il ricorrente riconosce di aver prospettato in appello solo la questione dell’intestazione fittizia della casa in cui la M. risiedeva pag. n. 12 memoria di replica , ma assume che in ogni caso fosse acquisito al processo il fatto della residenza della controricorrente presso quell’abitazione e che la Corte di merito avrebbe dovuto tenerne conto. L’assunto difensivo è privo di fondamento, stante l’evidente novità della questione allegata solo in sede di legittimità risparmio di spesa conseguente alla protratta e durevole abitazione della M. presso la casa della sorella rispetto a quella allegata nei giudizi di merito proprietà, in capo alla controricorrente, di quella stessa casa, intestata solo fittiziamente alla sorella , sì rendere inammissibile la doglianza, che richiede accertamenti di fatto la cui indagine è ora preclusa, in assenza di rituale instaurazione del contraddittorio sul punto nel giudizio di merito, nè potendo quegli accertamenti collegarsi al nuovo orientamento interpretativo di cui si è detto cfr. § 8.4 . 10. Alla stregua delle considerazioni che precedono, meritano accoglimento, nei limiti precisati, i motivi secondo e terzo, rigettati il primo ed il quarto e dichiarato inammissibile il quinto, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52. P.Q.M. La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i motivi secondo e terzo di ricorso, rigettati il primo ed il quarto e dichiarato inammissibile il quinto, cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.