Divorzio: è inammissibile il ricorso proposto contro il coniuge deceduto e non contro i suoi eredi

Non è possibile ricorrere in Appello e in Cassazione contro la sentenza di divorzio, nei confronti del coniuge nel frattempo deceduto, ma è necessario individuare gli eredi e se non vi sono, citare il curatore dell’eredità giacente.

È questo il principio stabilito o meglio ribadito dalla Corte di Cassazione in un ricorso risalente al 2019, con la breve ma ben motivata ordinanza n. 1079/21, emessa il 5 novembre 2020 e depositata il 20 gennaio 2021. Il provvedimento è stato emesso in particolare dal Collegio della Sesta Sezione Civile, a seguito di articolato ragionamento, a seguito del quale il ricorso è stato dichiarato inammissibile, senza provvedimenti sulle spese in quanto non vi è stata costituzione di controparte. Si trattava, in origine, di questione riguardante una sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, impugnata dalla moglie presso la Corte d’Appello territoriale a seguito del decesso del marito. Il caso. La questione nasce quindi dalla sentenza della Corte d'Appello di Trieste dell' 11 settembre 2018, con cui la Corte territoriale aveva dichiarato inammissibile, per difetto di soccombenza, il ricorso presentato dalla odierna ricorrente contro la sentenza emessa il 12 dicembre 2017, con cui il Tribunale di Trieste aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalla ricorrente con il coniuge, sul ricorso congiunto di entrambi. Con l'unico motivo di impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 149, primo comma, del codice civile poiché a suo dire, dichiarando inammissibile il gravame, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto del suo interesse a ottenere la dichiarazione di nullità o inefficacia della pronuncia di divorzio e della cessazione della materia del contendere, per effetto del decesso del coniuge e del conseguente scioglimento del matrimonio, verificatesi prima del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Secondo la ricorrente invece, il suo interesse era quello di conservare lo stato di coniuge superstite in modo tale da garantirle riconoscimento della pensione di reversibilità, che non avrebbe potuto esserle altrimenti accordata, non risultando essa ricorrente titolare dell'assegno di divorzio. Inoltre, secondo la ricorrente l'appello non avrebbe potuto essere proposto nei confronti dell'unica figlia nata dal matrimonio, avendo questa rinunciato all'eredità. Non può che essere dichiarato inammissibile il ricorso per la cassazione di una sentenza di appello relativa allo scioglimento degli effetti civili di un matrimonio se proposto nei confronti del coniuge deceduto e non dei suoi eredi. La Suprema Corte ha esaminato con grande attenzione la questione e ha ritenuto di dichiarare il ricorso inammissibile. Secondo la Suprema Corte, infatti, l'impugnazione è inammissibile in quanto proposta nei confronti del coniuge deceduto anziché degli eredi e peraltro notificata nel domicilio eletto presso il procuratore costituito nel giudizio di primo grado, nonostante questi non si fosse nemmeno costituito nel giudizio di Appello inoltre con riguardo all’ipotesi in cui una delle parti è deceduta nel corso del giudizio, la Suprema Corte ha precisato più volte che pur avendo il giudizio di divorzio ad oggetto un diritto non trasmissibile agli eredi, la legittimazione a resistere spetta comunque a questi ultimi, in qualità di successori a titolo universale , ai sensi dell'articolo 110 del codice di procedura civile. Nel caso che ci occupa, la mancata proposizione del ricorso per cassazione nei confronti degli eredi è stata giustificata dalla difesa della ricorrente con la circostanza per cui l'unica erede aveva rinunciato all'eredità e quindi sarebbe stata priva della legittimazione a resistere secondo la Suprema Corte, invece, la rinuncia all’eredità o la mancata accettazione della stessa non escludono la possibilità di individuare altri legittimati, considerando che trova applicazione la disciplina della giacenza dell'eredità , ai sensi della quale il curatore dell'eredità giacente risulta legittimato passivo nei riguardi di tutte le azioni proponibili nei confronti dell'erede, nonché la disposizione di cui all'articolo 586 del codice civile che dispone che in caso di rinuncia di tutti chiamati e in assenza di altri soggetti successibili, l’eredità è dovuta di diritto senza peraltro necessità di accettazione, allo Stato, che non può rinunciarvi. Peraltro, nel caso in esame non può essere presa in considerazione neppure la circostanza relativa al fatto che il decesso sia avvenuto in pendenza del termine per la proposizione dell'appello, dato che il procuratore dell'appellato non si era costituito e quindi non viene ad operare il principio dell’ ultrattività del mandato , con l'ulteriore conseguenza che anche in questo caso l'impugnazione avrebbe dovuto essere notificata agli eredi. Di conseguenza, secondo l'ordinanza in commento, l'avvenuta proposizione dell'impugnazione nei confronti di un soggetto inesistente, quale il de cuius , esclude la possibilità di sanare il vizio attraverso la rinnovazione della notificazione e rende il ricorso inammissibile. In applicazione di detti principi, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 5 novembre 2020 – 21 gennaio 2021, n. 1079 Presidente Scaldaferri – Relatore Mercolino Rilevato che C.I. ha proposto ricorso per cassazione, per un solo motivo, illustrato anche con memoria, avverso la sentenza dell’11 settembre 2018, con cui la Corte d’appello di Trieste ha dichiarato inammissibile, per difetto di soccombenza, il gravame da lei interposto avverso la sentenza emessa il 12 dicembre 2017, con cui il Tribunale di Trieste aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalla ricorrente con Cr.La. , su ricorso congiunto dei coniugi che l’intimato non ha svolto attività difensiva. Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 149 c.c., comma 1, sostenendo che, nel dichiarare inammissibile il gravame, la Corte d’appello non ha tenuto conto dell’interesse di essa ricorrente ad ottenere la dichiarazione di nullità o inefficacia della pronunzia di divorzio e della cessazione della materia del contendere, per effetto del decesso del coniuge e del conseguente scioglimento del matrimonio, verificatisi prima del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che, secondo la ricorrente, detto interesse trovava giustificazione nell’intento di conservare lo status di coniuge superstite, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità, che non avrebbe potuto esserle altrimenti accordata, non risultando essa ricorrente titolare dell’assegno divorzile che, inoltre, l’appello non avrebbe potuto essere proposto nei confronti dell’unica figlia nata dal matrimonio, avendo quest’ultima rinunciato all’eredità del padre, in pendenza del termine per l’impugnazione, e non potendo quindi trovare applicazione l’art. 110 c.p.c. che l’impugnazione è inammissibile, in quanto proposta nei confronti del coniuge deceduto, anziché degli eredi, e notificata nel domicilio eletto presso il procuratore costituito nel giudizio di primo grado, nonostante la mancata costituzione dello stesso nel giudizio di appello che, in tema di divorzio, e con riguardo all’ipotesi in cui una delle parti sia deceduta nel corso del giudizio, anche in pendenza del termine per l’impugnazione, questa Corte, nel riconoscere l’ammissibilità del gravame interposto dal coniuge superstite avverso la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, al fine di ottenere una pronuncia di cessazione della materia del contendere, ha infatti precisato che, pur avendo il giudizio ad oggetto un diritto non trasmissibile agli eredi della parte deceduta, la legittimazione a resistere spetta a questi ultimi, in qualità di successori a titolo universale, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. cfr. Cass., Sez. I, 17/07/2009, n. 16801 18/08/1992, n. 9592 che, nella specie, la mancata proposizione del ricorso per cassazione nei confronti degli eredi del Cr. è stata giustificata dalla difesa della ricorrente con la considerazione che l’unica figlia nata dal matrimonio, Cr.El. , era priva della legittimazione a resistere, non essendo in possesso della qualità di erede, per aver rinunciato all’eredità con atto del 18 febbraio 2018 che la rinuncia all’eredità o la mancata accettazione della stessa da parte di uno o più chiamati non esclude peraltro la possibilità d’individuare altri legittimati, trovando applicazione la disciplina della giacenza dell’eredità, dettata dagli artt. 528 e ss. c.c., ai sensi della quale il curatore dell’eredità giacente risulta passivamente legittimato nei riguardi di tutte le azioni proponibili nei confronti dell’erede, e la disposizione di cui all’art. 586 c.c., a norma del quale, in caso di rinuncia di tutti i chiamati ed in assenza di altri successibili, l’eredita è devoluta di diritto, senza bisogno di accettazione, allo Stato, il quale non può rinunciarvi cfr. Cass., Sez. II, 8/06/1968, n. 1754 che l’applicabilità delle predette disposizioni non può essere esclusa, nella specie, in virtù dell’avvenuta verificazione del decesso in pendenza del termine per la proposizione dell’appello e della mancata dichiarazione dello evento interruttivo nel corso del giudizio di secondo grado, non essendosi costituito il procuratore dell’appellato, e non potendo dunque operare, ai fini della notificazione del ricorso per cassazione, il principio dell’ultrattività del mandato, con la conseguenza che, avuto riguardo anche al tempo trascorso dalla morte del Cr. , l’atto d’impugnazione avrebbe dovuto essere notificato agli eredi dello stesso, presso il loro domicilio effettivo cfr. Cass., Sez. II, 6/08/2015, n. 16555 che l’avvenuta proposizione dell’impugnazione nei confronti di un soggetto inesistente ed in un luogo non avente alcun collegamento con i soggetti legittimati esclude la possibilità di sanare il vizio attraverso la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c. che la mancata costituzione dell’intimato esclude la necessità di provvedere al regolamento delle spese processuali. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.