Quattro anni di convivenza a distanza: niente riconoscimento della nullità del matrimonio

Respinta definitivamente la pretesa avanzata dalla moglie. Decisivo per i Giudici il dato rappresentato dalla durata del matrimonio. Sufficiente anche una convivenza anomala, caratterizzata cioè da una specifica residenza anagrafica per ognuno dei due coniugi.

Convivenza anomala tra moglie e marito lei a casa della madre, lui nella casa vacanza dei genitori. Ciò nonostante, i quattro anni di matrimonio – arricchiti anche dalla nascita di due figli – sono sufficienti per ritenere non accettabile dallo Stato italiano la nullità delle nozze stabilita in ambito ecclesiastico. Cassazione, ordinanza n. 367/21, sez. I Civile, depositata il 13 gennaio . A portare il caso in Cassazione è la moglie. Lei ha mal digerito la decisione con cui i Giudici dell’appello hanno respinto la sua domanda di dichiarazione di efficacia della sentenza ecclesiastica – munita del decreto di esecutività emesso dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica – con cui è stata dichiarata la nullità del matrimonio da lei contratto col marito alla fine degli anni ’90. Fondamentale per i giudici di merito la valorizzazione della durata del matrimonio, durata pari a quattro anni e sufficiente a parlare di contrarietà all’ordine pubblico per l’ipotesi del riconoscimento della nullità stabilita in ambito ecclesiastico. Su questo fronte, però, la donna, tramite il proprio avvocato, lamenta in Cassazione che non vi sono prove che la convivenza col marito è durata più di tre anni . Anzi, a questo proposito, il legale pone in evidenza che in appello si è accertato che il periodo di convivenza coniugale è stato inferiore a tre anni , in quanto il marito ha sempre tenuto la residenza anagrafica ben distinta da quella della moglie, trasferendola nella ‘casa vacanza’ dei suoi genitori già dopo pochi mesi dalla celebrazione del matrimonio . E in questo quadro la nascita di due figli è avvenuta nei limiti del triennio e pertanto non costituisce alcuna prova decisiva in ordine alla durata della convivenza , aggiunge il legale. Alle obiezioni proposte dall’avvocato che rappresenta la donna i Giudici della Cassazione ribattono con una considerazione la convivenza tra coniugi non richiede necessariamente la loro coabitazione materiale . In questo caso specifico, peraltro, il marito aveva giustificato la scelta di tenere separata la sua residenza con la circostanza che la moglie aveva scelto come domicilio coniugale la casa della madre, alla quale era legata da un eccessivo attaccamento simbiosi con la figura materna”, come da relazione del perito di ufficio . Ciò significa, secondo i giudici della Cassazione, che la presenza ridotta del marito nel domicilio coniugale non esclude la convivenza , protrattasi, secondo la versione dell’uomo, fino a quando si è verificata definitivamente la rottura del rapporto . Corretto, quindi, il richiamo al principio secondo cui la convivenz a come coniugi, quale elemento essenziale del ‘matrimonio-rapporto’, ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del ‘matrimonio-atto’ . In questo caso, la seppur anomala convivenza dei coniugi , durata quattro anni, è catalogabile, concludono dalla Cassazione, quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 16 settembre 2020 – 13 gennaio 2021, n. 367 Presidente De Chiara – Relatore Meloni Fatti di causa La Corte di Appello di Milano con sentenza in data 4/6/2015, respinse la domanda di Ar. Ma. di dichiarazione di efficacia della sentenza emessa in data 31/5/2012 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo e confermata con provvedimento del 22/2/2013 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Ligure, munita del decreto di esecutività emesso in data 17 settembre 2013 dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica Regionale della Liguria, con la quale era stata dichiarata la nullità del matrimonio da lei contratto in Chiavenna in data 25/4/1998 con Si. Al. An Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione Ar. Ma. affidato a due motivi e memoria. Al. Si. resiste con controricorso. Ragioni della decisione Il Collegio ha disposto che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata non ponendosi nel ricorso questioni di rilevanza nomofilattica. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. in riferimento all'articolo 360 comma 1 nr.3 c.p.c. in quanto il giudice territoriale ha violato il principio dell'onere della prova e negato la dichiarazione di efficacia in Italia della sentenza emessa in data 31/5/2012 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo e confermata con provvedimento del 22/2/2013 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Ligure, munita del decreto di esecutività emesso in data 17 settembre 2013 dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica Regionale della Liguria, per contrarietà all'ordine pubblico interno per essere il matrimonio durato più di tre anni nonostante il coniuge Si. Al., sul quale gravava l'onere, non abbia provato che la convivenza era durata più di tre anni. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2727 e 2729 c.c. in riferimento all'articolo 360 comma 1 nr.3 c.p.c. in quanto il giudice territoriale ha ritenuto che la convivenza coniugale era durata più di tre anni sulla base di fatti che non integravano in alcun modo presunzioni gravi, precise o concordanti. Espone la ricorrente che la stessa Corte territoriale aveva accertato che il periodo di convivenza tra i coniugi era inferiore a tre anni e ciò in quanto il marito aveva sempre tenuto la residenza anagrafica ben distinta da quella della moglie in Milano trasferendola in Grumello nella casa di vacanza dei suoi genitori già dopo pochi mesi dalla celebrazione del matrimonio avvenuto in data 25 aprile 1998. La nascita dei due figli avvenuta nel 1999 e nel 2000 inoltre era avvenuta nei limiti del triennio e pertanto non costituiva alcuna prova decisiva in ordine alla durata della convivenza. Il ricorso è infondato e deve essere respinto. Questa Corte ritiene infatti di condividere il contenuto del provvedimento impugnato. A tal riguardo il giudice di merito ha correttamente motivato con la considerazione che la convivenza tra coniugi non richiede necessariamente la coabitazione materiale dei medesimi ed il Si. aveva giustificato la scelta di tenere separata la sua residenza con la circostanza che la moglie aveva scelto come domicilio coniugale la casa della madre alla quale era legata da un eccessivo attaccamento simbiosi con la figura materna come da relazione del perito di ufficio dr. Ro. . Pertanto la presenza ridotta del marito dal domicilio coniugale non escludeva la convivenza protrattasi secondo il Si. fino al 2002 nel mese di marzo in cui si era verificata definitivamente la rottura del rapporto. La sentenza a Sezioni unite di questa Corte n. 16379 del 17/07/2014 in materia di delibazione di sentenze in materia matrimoniale emesse da Tribunali ecclesiastici ha stabilito il principio secondo il quale la convivenza come coniugi , quale elemento essenziale del matrimonio-rapporto , ove protrattasi per almeno tre anni dalla celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di ordine pubblico italiano , la cui inderogabile tutela trova fondamento nei principi supremi di sovranità e di laicità dello Stato, già affermato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 18 del 1982 e n. 203 del 1989, ostativa alla dichiarazione di efficacia della sentenza di nullità pronunciata dal tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio genetico del matrimonio-atto . Nella fattispecie risulta accertata dal giudice di merito con argomentazioni condivisibili, una seppur anomala convivenza ultratriennale come coniugi , precisamente al 1998 al 2002, quale situazione giuridica di ordine pubblico ostativa alla delibazione della sentenza canonica di nullità del matrimonio, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all'esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima. Pertanto tale circostanza era ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana della predetta sentenza di nullità pronunciata dal Tribunale Ecclesiastico in quanto trattavasi di una situazione giuridica disciplinata da norme costituzionali ed ordinarie di ordine pubblico italiano . Il ricorso deve pertanto essere respinto nei termini di cui sopra con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità. Ricorrono i presupposti per l'applicazione del doppio contributo di cui all'articolo 13 comma 1 quater D.P.R. 115/2002. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore del controricorrente che si liquidano in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater D.P.R. nr.115 del 30 maggio 2002 ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.