Il provvedimento provvisorio che sospende gli incontri tra genitore e figlio non è impugnabile in Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.

Il provvedimento provvisorio che autorizza i servizi sociali a sospendere gli incontri tra madre e figlio non riveste in alcun modo gli effetti del giudicato, e pertanto non può essere impugnato presso la Suprema Corte ai sensi dell’art. 111 della Costituzione.

Questo l’importante principio, che è stato stabilito dalla Corte di Cassazione in un ricorso risalente al 2019, con l’articolata ordinanza n. 28724/20, emessa il 25 novembre e depositata il successivo 16 dicembre. Il provvedimento è stato emesso in particolare dal Collegio della prima Sezione civile, a seguito di lungo e articolato ragionamento, anche relativamente alle differenze tra giudicato interno ed esterno, nonché sulle caratteristiche del provvedimento impugnato e sulla sua eventuale assoggettabilità al rimedio previsto dall’art. 111 della Costituzione. Si trattava, in origine, di questione riguardante un decreto del Tribunale, impugnato con esito negativo presso la Corte d’Appello competente, che autorizzava i servizi sociali ad interrompere gli incontri tra madre e figlio fin quando la prima non avesse instaurato con CSM Centro di Salute Mentale e NPI Neuropsichiatria Infantile un rapporto di effettiva collaborazione. Il caso. La questione nasce da un decreto della Corte di Appello di Torino, che ha rigettato il ricorso proposto da una madre avverso l’originario decreto del Tribunale per i minorenni di Torino con cui questo, decidendo in via provvisoria, aveva autorizzato i servizi sociali a sospendere gli incontri tra madre e figlio, sino a quando la madre non avesse instaurato un rapporto di effettiva collaborazione con CSM Centro di Salute Mentale e NPI Neuropsichiatria Infantile un rapporto di effettiva collaborazione. Il provvedimento impugnato vietava alla madre di frequentare e avvicinarsi ai luoghi frequentati dal figlio e delegava un giudice per l'attività istruttoria. La Corte d’Appello, oltre a rilevare che gran parte del reclamo era fondato su errate valutazioni di merito in ordine alla consulenza tecnica psicologica, aveva affermato che il ricorso del Pubblico Ministero aveva evidenziato che anche i rapporti in luogo neutrale erano fonte di intensa sofferenza per il piccolo , spaventato dai comportamenti della madre ed alle modalità con le quali la stessa si rapportava con gli estranei, invadendo tutti gli spazi del minore. Inoltre, la madre aveva esternato sui social network pesanti critiche nei confronti di tutti coloro che a qualsiasi titolo si erano occupati della sua situazione familiare. Pertanto, Secondo la Corte territoriale, il provvedimento assunto in attesa della decisione sul ricorso del Pubblico Ministero di decadenza della responsabilità genitoriale era teso a salvaguardare medio tempore la serenità del minore e non era accoglibile l’istanza di audizione del minore, in quanto si trattava di un reclamo contro un provvedimento veramente provvisorio e temporaneo, in attesa di ulteriore istruttoria. La madre proponeva quindi ricorso per Cassazione affidato a due motivi, mentre il padre non svolgeva difese. Secondo il ricorso, nel provvedimento impugnato era stato violato l'articolo 111 della Costituzione, nonché alcuni articoli della CEDU e delle Convenzioni di New York e di Strasburgo. La ricorrente sosteneva che fosse stato violato il diritto alla bigenitorialità e che fosse necessario tenere conto del modo con cui i genitori avessero precedentemente svolto i propri compiti e delle rispettive capacità di relazione affettiva, comprensione, attenzione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto. Al riguardo, sosteneva che la Corte d'Appello non avesse dato adeguata attenzione alla certificazione dell'azienda sanitaria locale competente in cui lo specialista, accertata attenzione alla relazione della ASL competente, che aveva attestato la completa capacità mentale della madre e non aveva ritenuto necessario intraprendere un percorso di recupero, nonché alle plurime relazioni peritali in atto e al percorso educativo di sostegno alla genitorialità seguito presso un centro per le famiglie, circostanza neppure considerata dal Giudice di merito. Infine, lamentava il fatto che la Corte non avesse proceduto all’ ascolto del minore capace di discernimento, rigettando la relativa richiesta. Il provvedimento che dispone il momentaneo divieto di visita tra genitore e figlio non ha carattere di giudicato e non può essere impugnato ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione, essendo un provvedimento emesso in via provvisoria e senza carattere di definitività e suscettibile di modifiche anche da parte di chi lo ha emesso. La Suprema Corte ha esaminato con grande attenzione la questione e ha ritenuto di dichiarare il ricorso inammissibile. Secondo la Suprema Corte, infatti, essa era stata chiamata a valutare se anche nei provvedimenti de potestate pronunciati in via provvisoria fosse configurabile una preclusione da cosa giudicata e se di conseguenza nei loro confronti fosse ammesso il ricorso per Cassazione ai sensi dell'articolo 111, comma settimo, della Costituzione. Secondo l'attenta disamina riportata nell’ordinanza, il giudicato non si forma su enunciazioni puramente incidentali, nonché su considerazioni prive di relazione causale con quanto abbia formato oggetto della decisione, perché mancanti di collegamento con il contenuto del dispositivo, non hanno efficacia decisoria e non possono pregiudicare i diritti delle parti. Inoltre, non hanno attitudine ad acquisire autorità di cosa giudicata i provvedimenti provvisori , e questo per un duplice profilo prima di tutto perché la provvisorietà non li fa sopravvivere al normale esito finale del procedimento e in secondo luogo perché in quanto provvisori non stabiliscono alcuna disciplina definitiva in ordine al rapporto sostanziale dedotto in giudizio. Infine, i provvedimenti provvisori, non contenendo un accertamento vincolante per il futuro non impediscono che la stessa situazione giuridica soggettiva venga esaminato nuovamente e sulla base degli stessi elementi. Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il provvedimento giurisdizionale avverso il quale è sempre ammesso il ricorso in Cassazione, a prescindere dalla sua tipologia, va interpretato in senso sostanziale come provvedimento che abbia i caratteri della decisorietà e della definitività , ovvero che pronunci irrevocabilmente e senza possibilità di impugnazione su diritti soggettivi, caratteristiche non presenti nel decreto della Corte di Appello e in quello originario del Tribunale, che non rivestono carattere di definitività e possono essere modificati in qualsiasi momento. Secondo la Suprema Corte, deve quindi negarsi carattere di decisorietà e di definitività del provvedimento impugnato, in quanto assunto in via provvisoria, sia perché tale decreto non ha l'attitudine ad incidere su diritti soggettivi con efficacia di giudicato, perché è un provvedimento che non contiene un accertamento di merito sull’esistenza dei presupposti della decadenza dalla potestà genitoriale, che è il provvedimento cui è specificamente finalizzato il procedimento in esame, sia perché non è stato emesso a conclusione del procedimento e potrà essere revocato, modificato ho riformato dallo stesso giudice che lo ha emesso, anche in assenza di nuovi elementi sopravvenuti ciò quindi, diversamente dal decreto con il quale si dispone la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale , che non è né revocabile né modificabile, se non per la sopravvenienza di fatti nuovi e che quindi ha attitudine al cosiddetto giudicato rebus sic stantibus ed è quindi impugnabile con il ricorso per cassazione, diversamente dal provvedimento impugnato. In applicazione di detti principi, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 25 novembre – 16 dicembre 2020, n. 28724 Presidente Genovese – Relatore Caradonna Rilevato che 1. Con decreto del 14 gennaio 2019, la Corte di appello di Torino ha rigettato il ricorso proposto da C.O. avverso il decreto del Tribunale per i Minorenni di Torino del 17 luglio 2018, con il quale il Tribunale, decidendo in via provvisoria, aveva autorizzato i Servizi a sospendere gli incontri madre/figlio, sino a quando la madre non avesse instaurato un rapporto di effettiva collaborazione con il CSM e con la NPI, volto alla comprensione del suo ruolo, facendo contestualmente divieto alla madre di frequentare ed avvicinarsi ai luoghi frequentati dal figlio e delegando altresì la Dott.ssa M. per l’attività istruttoria. 2. La Corte di appello di Torino, premesso che gran parte del reclamo si fondava su ultronee valutazioni di merito in ordine a CTU psicologica espletata in pregresso e diverso procedimento e ritenendo priva di pregio l’istanza istruttoria di nuova CTU, ha affermato che il ricorso del PM aveva evidenziato che anche i rapporti in luogo neutro erano fonte di intensa sofferenza per il piccolo, che era spaventato dall’irruenza della madre e dalle modalità con le quali la signora si rapportava con le persone, rivendicando il proprio figlio e invadendo ogni spazio nel quale il minore si trovava quotidianamente e che la madre aveva esternato sui social pesanti critiche nei confronti di tutti coloro che a qualsiasi titolo si erano occupati della sua situazione familiare che il provvedimento assunto, in attesa della decisione sul ricorso del PM di decadenza dalla responsabilità genitoriale, era teso a salvaguardare medio tempore la serenità del minore e che non era accoglibile l’istanza di audizione del minore, poiché si trattava di un reclamo avverso un provvedimento meramente provvisorio e temporaneo, in attesa di istruttoria ulteriore, nè rilevava la certificazione dell’ASL del omissis che attestava che la signora vi si era recata per una visita specialistica e ci si era trattenuta per un’ora, non avendo un valore dirimente e di dimostrazione dell’avvenuta instaurazione della collaborazione con il CSM e con la NPI. 3. C.O. , avverso il detto decreto, ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi. 4. D.D. non ha svolto difese. Considerato che 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 111 Cost., artt. 316 e 317 bis c.c. e artt. 6-8 della CEDU. 2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 11 Cost., artt. 315 bis, 316 bis e 337 octies c.c., art. 12 della Convenzione di new York e dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo. La ricorrente assume che era stato violato il diritto alla bigenitorialità e che era necessario tenere conto del modo con il quale i genitori avessero precedentemente svolto i propri compiti e delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto e, al riguardo, evidenziava che D.D. era stato condannato con sentenza penale del 20 gennaio 2015 del Tribunale di Torino per il reato di cui all’art. 582 c.p. e che sia il figlio minore che lei stessa risultavano persone offese, il primo per i reati di cui agli artt. 572, 323, 328, 582 e 585 c.p., per fatti accaduti nel 2017 e lei stessa per i reati di cui all’art. 610 c.p., per fatti commessi nel e art. 570 c.p Assume, inoltre, che ciò che era descritto a suo carico risultava essere la conseguenza del mancato rispetto delle disposizioni rese nella sentenza n. 5488/2017 emessa dal Tribunale ordinario di Torino, disposizioni che non erano state rispettate nè dal padre, nè dai servizi sociali e che la relazione dei servizi sociali da cui era scaturito il provvedimento del Tribunale per i minorenni era riferibile ad un assistente sociale non più competente, atteso il cambio di circoscrizione che aveva in cura il minore. Ancora in relazione alla certificazione dell’ASL competente del omissis , lo specialista, accertata la sua completa capacità mentale, non aveva ritenuto necessario intraprendere un percorso di recupero, come dimostrato anche dalle plurime relazioni peritali in atto e dal percorso educativo di sostegno alla genitorialità seguito presso il Centro per le famiglie della città di Torino, circostanza questa neppure considerata dal Giudice di merito. In ultimo, la Corte non aveva proceduto all’ascolto del minore capace di discernimento, rigettando la relativa richiesta. 3. Il ricorso è inammissibile. 3.1 Le Sezioni Unite di questa Corte, con specifico riferimento ai provvedimenti de potestate emessi ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., a conclusione del procedimento camerale specificamente previsto dal legislatore, rimeditando il proprio precedente contrario orientamento pure affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 6220 del 1986 hanno affermato che i provvedimenti de potestate , emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., hanno attitudine al giudicato rebus sic stantibus , in quanto non sono revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi pertanto, il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica i predetti provvedimenti, è impugnabile mediante ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7 Cass., Sez. U., 13 dicembre 2018, n. 32359 . Più specificamente, le Sezioni Unite, alla luce delle modifiche introdotto dalla L. n. 154 del 2013 e dalla L. n. 219 del 2012, hanno precisato che - la L. n. 154 del 2013, ha modificato la struttura dei procedimenti de potestate perché ha previsto che il minore che abbia compiuto i dodici anni o il minore di età, se capace di discernimento, debba essere ascoltato e, ove si ipotizzi un conflitto di interessi coi genitori, deve essergli nominato un curatore speciale - il legislatore ha pure previsto che debba essere ascoltato anche il genitore contro cui è chiesto il provvedimento di decadenza o di compressione della responsabilità genitoriale e sia il genitore, che il minore debbono essere assistiti da un difensore - di conseguenza, i procedimenti de potestate sono caratterizzati dal contraddittorio tra le parti e procedimenti che dirimono conflitti tra posizioni giuridiche diverse - la previsione del procedimento camerale, da sempre impiegato per la trattazione di controversie su diritti e status, non è univoca al fine di escludere l’idoneità dei provvedimenti emessi alla formazione del giudicato rebus sic stantibus, così i provvedimenti in tema di affidamento dei figli che sono ritenuti a carattere decisorio e dotati di stabilità, con la conseguenza che nei loro confronti è ammesso il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7 - l’esercizio della responsabilità genitoriale ben può essere regolato attraverso la sua parziale o totale compromissione o comunque risentirne e, comunque, anche in materia di affidamento dei figli i provvedimenti sono assunti nel loro esclusivo interesse morale e materiale e sono sottratti alla disponibilità delle parti e al rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, essendo volti a soddisfare esigenze pubblicistiche - nell’esegesi dell’art. 38 disp. att. c.c., quale riformulato dalla L. n. 219 del 2012, art. 3, comma 1, la stessa sentenza potrebbe contenere, in relazione alla medesima materia, statuizioni assunte ai sensi degli artt. 337 bis c.c. e segg., ed altre assunte ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c., con evidente incongruità del sistema, ove si ritenesse di continuare ad operare una distinzione nell’ambito di esse attribuendo solo alle prime e non anche alle seconde, attitudine al giudicato rebus sic stantibus e se ne differenziasse, di conseguenza, il regime impugnatorio - tale aporia si risolve riconoscendo alle statuizioni de potestate il carattere della stabilità e la disposizione di cui all’art. 742 c.p.c., va interpretata riconoscendo la possibilità di operare modifiche e revoche limitatamente alla valutazione di vizi di merito o di legittimità sopravvenuti, con esclusione di una rinnovata valutazione di circostanze o fatti preesistenti. - i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale incidono su diritti di natura personalissima e di rango costituzionale e tenuto conto del potenziale grado di incisività degli effetti che possono prodursi medio tempore nell’ambito delle relazioni familiari sui diritti dei soggetti implicati e sulla vita del minore costituisce un vulnus del diritto di difesa non consentire il controllo della Corte, ritenendoli non decisori e definitivi. 3.2 Si è, quindi, affermato che i provvedimenti cosiddetti de potestate, che attengono alla compressione della titolarità della responsabilità genitoriale, ovvero i provvedimenti di decadenza limitativi di cui agli artt. 330 e 333 c.c., hanno l’attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, con la conseguente ammissibilità del ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7. Nello specifico, le Sezioni Unite, non mancando di affrontare, seppure indirettamente, la questione della natura dei procedimenti camerali ex artt. 737 c.p.c. e segg., specificamente previsti anche per la trattazione di controversie aventi ad oggetto diritti e status, hanno messo in evidenza che i provvedimenti conclusivi di tali procedimenti dirimono conflitti tra posizioni giuridiche soggettive diverse e, per ciò, sono caratterizzati da una forte esigenza di contraddittorio sono provvedimenti assunti nell’interesse esclusivo del minore e sottratti alla disponibilità delle parti per le forti esigenze pubblicistiche agli stessi sottese, sono dotati di stabilità rebus sic stantibus e hanno carattere decisorio . Già le Sezioni Unite, con la sentenza 19 giugno 1996, n. 5629, intervenuta dopo la sentenza della Corte Costituzionale 27 giugno 1975, n. 202 che aveva affermato la legittimità costituzionale dei procedimenti camerali su diritti, rilevando che il processo ordinario di cognizione e la cognizione piena non erano costituzionalizzati , ha evidenziato che l’interpretazione giurisprudenziale prevalente aveva finito con il coniugare giurisdizione con volontaria giurisdizione, contemperando gli interventi legislativi in favore del rito camerale, a tutela delle innegabili esigenze di celerità, snellezza e concentrazione con l’inderogabile necessità della tutela giurisdizionale dei diritti e che la crisi del processo ordinario di cognizione e le peculiarità di alcune controversie separazione, adozione, divorzio, filiazione, procedure concorsuali , avevano fatto sì che il legislatore più che soffermarsi sui dati strutturali del procedimento che ne regolavano lo svolgimento formale, si era preoccupato di sottrarre questi processi alle lungaggini e alle disfunzioni dell’ordinario giudizio di cognizione per inserirli tra i procedimenti a contenuto oggettivo , caratterizzati dal rilievo riconosciuto ai poteri del giudice. Nel contesto, poi, caratterizzato dall’art. 111 Cost., come modificato dalla L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2, art. 1, che prevede che la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge comma 1 e che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata comma 2 , la Corte Costituzionale è nuovamente intervenuta sulla questione di legittimità costituzionale del procedimento camerale rispetto al novellato art. 111 Cost., confermando la legittimità di una interpretazione adeguatrice delle norme processuali interessate dal giudizio di costituzionalità Corte Costituzionale, 16 gennaio 2002, n. 1 , a cui hanno fatto seguito numerose pronunce di questa Corte sulla disciplina dettata dagli artt. 737 c.p.c. e segg., con specifico riferimento agli interessi dei minori e della famiglia e alla materia fallimentare, riguardanti l’instaurazione del contraddittorio, la difesa tecnica, l’audizione degli interessati le impugnazioni e l’immodificabilità della decisione assicurata dal giudicato correlata all’art. 111 Cost., comma 7. 3.3 Ciò posto, questa Corte è chiamata a valutare se anche nei provvedimenti de potestate pronunciati in via provvisoria , sia configurabile una preclusione da cosa giudicata, sia pure rebus sic stantibus, e se, di conseguenza, nei loro confronti sia ammesso il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7. 3.4 Ai fini della trattazione della esposta questione si impongono alcune considerazioni preliminari sul giudicato, istituto giuridico che costituisce una delle principali espressioni del valore della certezza del diritto Cass. 13 novembre 2013, n. 25508 . Secondo la dottrina più autorevole la cosa giudicata, che non può prescindere dalla presenza nel processo di specifiche garanzie formali, da un lato si riferisce all’accertamento contenuto nella sentenza che abbia acquisito l’autorità della cosa giudicata formale, in quanto non più soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione dall’altro si realizza in un preciso vincolo giuridico, in forza del quale l’accertamento e la tutela delle situazioni giuridiche soggettive fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi ed aventi causa. Ne consegue che mentre il giudicato formale attiene all’irrevocabilità della sentenza, il giudicato sostanziale riguarda specificamente il diritto tutelato e la stabilità del rapporto giuridico deciso. Ora, con specifico riferimento ai provvedimenti suscettibili di acquisire l’autorità di giudicato sostanziale disciplinato dall’art. 2909 c.c., collocato a ragione nel titolo relativo alla Tutela giurisdizionale dei diritti , vengono in rilievo innanzi tutto i provvedimenti conclusivi del giudizio, perché provvedimenti che affermano o negano il diritto fatto valere con la domanda e che realizzano il fine peculiare del processo che è quello della risposta alla specifica domanda giudiziale formulata dalla parte che agisce. Questi provvedimenti, poi, diventano immodificabili una volta che siano esauriti i mezzi di impugnazione predisposti dall’ordinamento. Il giudicato interno, inoltre, non si determina sul fatto, ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia Cass., 17 aprile 2019, n. 10760 . Non si forma, invece, su enunciazioni puramente incidentali, nonché su considerazioni prive di relazione causale con quanto abbia formato oggetto della decisione, le quali, appunto perché mancanti di collegamento con il contenuto del dispositivo, non hanno efficacia decisoria e non possono pregiudicare i diritti delle parti Cass., 31 maggio 2006, n. 13003 . Per converso, non hanno attitudine ad acquistare autorità di cosa giudicata, quanto meno rebus sic stantibus, i provvedimenti provvisori per un duplice profilo innanzi tutto perché la provvisorietà non li fa sopravvivere al normale esito finale del procedimento in secondo luogo perché in quanto provvisori non stabiliscono alcuna disciplina definitiva in ordine al rapporto sostanziale dedotto in giudizio. Inoltre, i provvedimenti provvisori, non contenendo un accertamento vincolante per il futuro, non impediscono che la stessa situazione giuridica soggettiva venga esaminata nuovamente e sulla base degli stessi elementi. 3.5 Anche secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte di cassazione, il provvedimento giurisdizionale avverso il quale è sempre ammesso il ricorso in Cassazione, sia esso sentenza, ordinanza o decreto, va interpretato in senso sostanziale come provvedimento che abbia i caratteri della decisorietà e della definitività, ovvero che pronunci irrevocabilmente e senza possibilità di impugnazioni su diritti soggettivi Cass., 22 novembre 2016, n. 23763 Cass., 20 aprile 2018, n. 9830 . Nello specifico è stato evidenziato che un provvedimento assume carattere decisorio quando pronuncia o, comunque, incide con efficacia di giudicato su diritti soggettivi, e riveste la connotazione della definitività in quanto non altrimenti modificabile, con la conseguenza che ogni provvedimento giudiziario che abbia i caratteri della decisorietà e della definitività, nei termini sopra esposti può essere oggetto di ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost. Cass., Sez. U., 2 febbraio 2016, n. 1914 Cass. 25 ottobre 2016, n. 21522 . Pure di recente, questa Corte ha individuato i requisiti richiesti ai fini del ricorso straordinario nella decisorietà e nella definitività dei provvedimenti decisorietà, nel senso che incidano su diritti o status definitività, in quanto l’accertamento giudiziale e l’attribuzione dei beni della vita non possono più essere rimessi in discussione, o, più in generale, quando manchi un rimedio impugnatorio e il provvedimento non sia modificabile e revocabile ad opera dello stesso giudice che lo ha emesso Cass., 11 settembre 2018, n. 22122 . Con riguardo specifico ai provvedimenti che dispongono misure cautelari e provvisorie, la Corte ha evidenziato che il provvedimento che costituisce misura cautelare e provvisoria, pur coinvolgendo diritti soggettivi, non statuisce su di essi a definizione di una controversia, nè ha attitudine ad acquistare autorità di giudicato sostanziale, con la conseguente inimpugnabilità con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. parimenti, in relazione ai provvedimenti resi in sede di reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c., ha precisato che sono destinati, al pari dei provvedimenti cautelari oggetto di reclamo, a perdere efficacia e vigore a seguito della decisione di merito ed inidonei a produrre effetti di diritto sostanziale e processuale con autorità di giudicato Cass., Sez. U., 24 gennaio 1985, n. 824 Cass., Sez. U., 2 aprile 1998, n. 3380 Cass., 27 marzo 1999, n. 2942 Cass., 17 maggio 2000, n. 6398 Cass., 2 febbraio 2012, n. 1518 Cass., 18 giugno 2013, n. 15263 . 3.6 Il principio, quindi, che se ne ricava è che in tanto si può parlare di attitudine al giudicato rebus sic stantibus in quando ci si trova in presenza di provvedimenti decisori e definitivi. È un principio che il Collegio condivide e che deve considerarsi applicabile anche alla fattispecie in esame, con la necessaria considerazione che nel caso in esame il provvedimento emesso dal Tribunale per i minorenni di Torino e confermato dalla Corte di appello con il decreto in questa sede impugnata, non riveste i suddetti requisiti non ha carattere decisorio, in quanto non ha l’attitudine a incidere su diritti soggettivi con efficacia di giudicato rebus sic stantibus, essendo stato adottato formalmente e sostanzialmente a titolo provvisorio, e non è definitivo, non essendo stato emesso a conclusione del procedimento e potendo essere revocato, modificato o riformato dallo stesso giudice che lo ha emesso anche in assenza di nuovi elementi sopravvenuti. Nello specifico, il decreto del Tribunale per i Minorenni di Torino del 17 luglio 2018, ha autorizzato, in attesa dell’istruttoria pure disposta ai fini della decisione sul ricorso proposto dal P.M. ai sensi dell’art. 330 c.c., i servizi sociali a sospendere gli incontri madre/figlio, sino a quando la madre non avesse instaurato un rapporto di effettiva collaborazione con il CSM e con la NPI, volto alla comprensione del suo ruolo, facendo contestualmente divieto alla madre di frequentare ed avvicinarsi ai luoghi frequentati dal figlio e delegando altresì la Dott.ssa M. per l’attività istruttoria. Non può dirsi, dunque, che l’atto giurisdizionale in esame rivesta autonoma valenza di provvedimento decisorio rebus sic stantibus in quanto è finalizzato ad essere superato, aperta la discussione del merito, con l’adozione del provvedimento definitivo. 3.7 In conclusione, deve negarsi carattere di decisorietà e di definitività al provvedimento assunto in via provvisoria , sia perché tale decreto non ha l’attitudine a incidere su diritti soggettivi con efficacia di giudicato rebus sic stantibus perché è un provvedimento che non contiene un accertamento di merito sull’esistenza dei presupposti della decadenza dalla potestà genitoriale, provvedimento cui è specificamente finalizzato il procedimento in esame sia perché non è stato emesso a conclusione del procedimento e potendo essere revocato, modificato o riformato dallo stesso giudice che lo ha emesso anche in assenza di nuovi elementi sopravvenuti. E ciò diversamente dal decreto con il quale si dispone la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, che, come affermato dalla richiamata sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte, è emesso all’esito di un procedimento - che si svolge con la presenza di parti processuali in conflitto tra loro - e che non è nè revocabile, nè modificabile, se non per la sopravvenienza di fatti nuovi che ha attitudine al cd. giudicato rebus sic stantibus ed è, quindi, senz’altro impugnabile con il ricorso per cassazione che va, di conseguenza, ritenuto pienamente ammissibile. 4. Il ricorso va, conseguentemente, dichiarato inammissibile. Nulla sulle spese non avendo la parte controricorrente svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.