Il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici è liberamente valutabile dal giudice

Il giudizio sull'ammissibilità dell'azione di dichiarazione della paternità o maternità naturale ed il successivo giudizio di merito, pur essendo tra loro collegati, hanno integrale autonomia, tanto che ben possono svolgersi innanzi a giudici diversi con la conseguenza che, definito il procedimento di ammissibilità a seguito dell'irrevocabilità acquisita dal relativo provvedimento autorizzatorio, l'azione introduttiva del giudizio di cognizione piena non è soggetta al termine perentorio di sei mesi per la riassunzione art. 133- bis disp. att. c.p.c. , ma soltanto alle condizioni ed ai termini posti dal c.c

In tema di dichiarazione giudiziale della paternità naturale , nell'ipotesi di maggior età di colui che richiede l'accertamento non può configurarsi un interesse principale ad agire della madre naturale ai sensi dell'art. 276, ultimo comma, c.c., non essendo in tale evenienza ravvisabile un obbligo legale di assistenza o mantenimento nei confronti del figlio, potendo peraltro essa svolgere un intervento adesivo dipendente, allorché sia ravvisabile un suo interesse di fatto tutelabile in giudizio. Il consulente tecnico è un ausiliario del giudice ex art. 61 e ss. c.p.c. , il quale può decidere di avvalersene nell’ambito dell’esercizio del potere finalizzato ad acquisire elementi tecnici utili a definire la controversia e non è rinunciabile da alcuna delle parti. Con specifico riferimento agli accertamenti della paternità e della maternità , la CTU ha funzione di mezzo obiettivo di prova, costituendo lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’accertamento del rapporto di filiazione. Dunque, le indagini ematologiche e genetiche non rappresentano solo un mezzo per valutare elementi di prova dati dalle parti, ma il più valido strumento per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione. In tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, l'ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all'esito della prova storica dell'esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall'art. 269, comma 2, c.c., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, né, conseguentemente, mediante l'imposizione, al giudice, di una sorta di ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status”. La sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò né una restrizione della libertà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in merito all'assoggettamento o meno ai prelievi, né una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l'uso dei dati nell'ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l'accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali. Conseguentemente, la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle altre emergenze istruttorie e della portata delle difese del convenuto. L’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali, nella specie, la indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento. La violazione dei doveri verso i figli non è sanzionata solo con le misure tipiche del diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove siano lesi interessi costituzionalmente protetti dunque può avere corso un’autonoma azione tesa ad ottenere il riconoscimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c. e che può essere esperita anche nell’ambito del giudizio di dichiarazione della paternità e maternità. L’obbligo dei genitori di mantenere i figli sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde dalla domanda giudiziale, sicché, ove il figlio alla nascita sia riconosciuto da uno solo dei due genitori, non per questo viene meno l’obbligo in capo all’altro per il periodo precedente alla dichiarazione di paternità o maternità, sorgendo il diritto del figlio sin dalla nascita. La domanda risarcitoria del figlio e quella di rimborso delle spese sostenute per il mantenimento da parte del genitore coobbligato presuppongono l’accertamento dello status di figlio e non sono azionabili se non dopo che diviene definitiva la sentenza di accertamento della filiazione, che costituisce il dies a quo della decorrenza dell’ordinaria prescrizione. Tale in sintesi il contenuto dell’ordinanza della Corte di Cassazione numero 28330/20, depositata l’11 dicembre, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. Fatti di causa. Il giudizio riguarda un’azione di dichiarazione giudiziale di paternità avviata nel 1997 con ricorso ex art. 274 c.c. secondo la disciplina allora vigente ottenuta l’ammissibilità dell’azione da parte della Corte di Cassazione, nel 2003 la donna agiva chiedendo al giudice la detta dichiarazione giudiziale nonché la condanna al risarcimento dei danni che assumeva avere patito, esistenziali ed alla vita di relazione, per la mancanza della figura paterna, a cui l’uomo si oppose. Nel giudizio intervenne la madre, chiedendo l’accoglimento della domanda, proposta dalla figlia, di dichiarazione di paternità nonché il rimborso della quota parte delle spese da lei sostenute per mantenere la figlia dalla nascita. L’uomo contestò la tardività, l’inammissibilità e l’infondatezza dell’intervento. Il tribunale, svoltasi la fase istruttoria e disposta la C.T.U. genetica a cui l’uomo non si sottopose, accolse la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità e condannò l’uomo a pagare all’attrice e all’intervenuta una somma di molto inferiore a quella da loro richiesta oltre interessi legali e spese . L’appello fu proposto in via principale dall’uomo ed in via incidentale dalle due donne ma la Corte d’Appello li respinse tutti. L’uomo ricorre dunque in Cassazione con ben dieci motivi, mentre le due donne propongono controricorso. Nelle more l’uomo decede, come riferito nell’istanza di fissazione di udienza. Inapplicabile il termine ex art. 133- bis disp. att. e trans. c.p.c. tra giudizio di ammissibilità e quello di dichiarazione della paternità/maternità. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente contesta la sentenza d’appello per aver respinto con motivazione apparente la sua eccezione circa la decadenza dall’azione di accertamento per decorrenza del termine semestrale di cui all’art. 133- bis disp. att. e trans. c.p.c. – l’azione era stata introdotta oltre sei mesi dal deposito della sentenza della Cassazione che la dichiarava ammissibile – nonché per violazione delle norme sulla riassunzione. Il motivo è respinto con la conferma del principio già affermato in sede di Legittimità, secondo cui Il giudizio sull'ammissibilità dell'azione di dichiarazione della paternità o maternità naturale ed il successivo giudizio di merito, pur essendo tra loro collegati, hanno integrale autonomia, tanto che ben possono svolgersi innanzi a giudici diversi con la conseguenza che, definito il procedimento di ammissibilità a seguito dell'irrevocabilità acquisita dal relativo provvedimento autorizzatorio, l'azione introduttiva del giudizio di cognizione piena non è soggetta al termine perentorio di sei mesi per la riassunzione art. 133 bis disp. att. c.p.c. , ma soltanto alle condizioni ed ai termini posti dal c.c. si richiama Cass. numero 11035/1996 . Se il richiedente è maggiorenne la madre non ha interesse principale ad agire esperibile un intervento adesivo dipendente. Con il secondo motivo il ricorrente afferma che la sentenza d’appello ha errato nell’ammettere l’intervento volontario della madre dell’attrice, avendo questa interesse al positivo accertamento della paternità, onde farvi derivare il rimborso delle spese richiesto e sostiene che nel giudizio di accertamento della paternità è legittimato passivo solo il presunto genitore o, in mancanza, i suoi eredi. Replica la Corte anche qui riaffermando un principio in precedenza enunciato in sede di Legittimità e cioè che in tema di dichiarazione giudiziale della paternità naturale, nell'ipotesi di maggior età di colui che richiede l'accertamento non può configurarsi un interesse principale ad agire della madre naturale ai sensi dell'art. 276, ultimo comma, c.c., non essendo in tale evenienza ravvisabile un obbligo legale di assistenza o mantenimento nei confronti del figlio, potendo peraltro essa svolgere un intervento adesivo dipendente, allorché sia ravvisabile un suo interesse di fatto tutelabile in giudizio” si richiama Cass. numero 12198/2012 . Nel caso di specie, osserva la Corte, l’intervento della madre è adesivo” e, come lo stesso ricorrente rileva, ella ha interesse ad esercitare il diritto di regresso per le spese sostenute, dunque la decisione impugnata è corretta perché conforme al principio testè enunciato. Funzione della CTU ematologica nel procedimento de quo e analisi del rifiuto di sottoporsi all’esame. Con il terzo motivo il ricorrente afferma che nella sentenza impugnata vi è motivazione apparente e comunque errata circa il fatto che l’attrice aveva rinunciato alla CTU e che solo successivamente questa era stata disposta d’ufficio. Mentre con il quarto motivo si contesta la nullità della sentenza per motivazione apparente nonché per l’omesso esame di un fatto decisivo il ricorrente sostiene che rifiutando di sottoporsi all’esame ematologico egli ha esercitato un suo diritto di libertà e lamenta la lesione del suo diritto di difesa. I motivi, trattati congiuntamente in quanto connessi, sono respinti. L’argomento relativo alla rinuncia alla C.T.U. da parte dell’attrice non ha rilievo, dato che il consulente tecnico è un ausiliario del giudice ex art. 61 e ss. c.p.c. e Questi può decidere di avvalersene nell’ambito dell’esercizio del potere finalizzato ad acquisire elementi tecnici utili a definire la controversia e non è rinunciabile da alcuna delle parti . Peraltro, si aggiunge, con specifico riferimento agli accertamenti della paternità e della maternità, la C.T.U. ha funzione di mezzo obiettivo di prova, costituendo lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’accertamento del rapporto di filiazione”. Dunque, si prosegue, le indagini ematologiche e genetiche non rappresentano solo un mezzo per valutare elementi di prova dati dalle parti, ma il più valido strumento per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione si richiamano sul punto i precedenti di Legittimità di Cass. numero 3563/2006 e Cass. numero 15568/2011 . La Corte inoltre ribadisce quanto già affermato in precedenza e cioè che In tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, l'ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all'esito della prova storica dell'esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall'art. 269, comma 2, c.c., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, né, conseguentemente, mediante l'imposizione, al giudice, di una sorta di ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status”” si richiama tra le altre Cass. numero 3479/2016 . In conclusione, la decisione per la Corte di Cassazione è adeguatamente motivata sul punto, anche per relationem. Viene respinta anche la doglianza relativa alla violazione della libertà personale. L’art. 269 c.c. non costituisce un limite alla libertà di persona, giacché ognuno può scegliere se sottoporsi oppure no ai prelievi, ed il trarre argomenti di prova dal comportamento delle parti è applicazione del principio di libera valutazione della prova da parte del giudice, senza pregiudizio del diritto di difesa inoltre, il rifiuto aprioristico di sottoporsi a detti esami non può trovare giustificazione nella tutela della riservatezza, giacché l’uso dei dati non può che essere rivolto ad esigenze di giustizia ed il sanitario chiamato ad espletare la consulenza è tenuto al segreto professionale e al rispetto della normativa sulla privacy principio quest’ultimo, già affermato tra le altre da Cass. numero 14458/2018 richiamata nell’ordinanza. Il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici è liberamente valutabile dal giudice. Con il quinto motivo, per quel che rileva, si contesta la sentenza per essere motivata per relationem alla sentenza di primo grado, senza che se ne possa desumere l’iter argomentativo che ha condotto a tale conferma e che è evidente la mancata considerazione di specifiche doglianze, che però non sono trascritte vi è un rinvio alle pagine dell’appello . In via subordinata si lamenta l’omesso esame della circostanza per cui la nascita della donna avvenne a fine 1971, cioè dopo che, secondo il teste di parte convenuta, il rapporto tra i presunti genitori era cessato. Il quinto motivo è respinto, essendo volto a superare i limiti del sindacato di legittimità. Quanto alla motivazione per relationem, la Corte richiama quanto già altrove affermato la sentenza d’appello può essere motivata per relationem”, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame” si richiama tra le altre Cass. numero 20883/2019 . Nel caso di specie la Corte d’Appello ha dato conto del suo percorso motivazionale, incentrato sostanzialmente sul rifiuto dell’uomo di sottoporsi all’esame ematologico, avvalorato dalle risultanze degli altri mezzi istruttori che davano prova del rapporto affettivo intercorso, mentre non veniva considerata attendibile l’unica testimonianza secondo cui i rapporti affettivi erano cessati nel 1970, in base al fatto che non si poteva escludere che essi si fossero protratti senza che il teste lo sapesse teste della cui attendibilità, comunque, si dubitava. Le risultanze probatorie sono sufficienti, per la Corte d’Appello, a fondare l’accoglimento della domanda mentre l’assenza di prove circa il momento del concepimento non rileva e la data di nascita non costituisce un fatto decisivo non esaminato, come sostenuto invece dal ricorrente, che non coglie la ratio decidendi . Dunque, la decisione risulta adottata nel rispetto di principi già enunciati, a cui la Corte intende dare qui continuità e che peraltro sono già stati in parte ribaditi nel provvedimento in esame Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell'art. 116, comma 2, cod. proc. civ., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò né una restrizione della libertà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in merito all'assoggettamento o meno ai prelievi, né una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l'uso dei dati nell'ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l'accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali” si richiama Cass. numero 11223/2014, ma si tratta di principi più volte enunciati conseguentemente, si è detto che la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente,” tenendo conto delle altre risultanze istruttorie e del contenuto delle difese del convenuto si richiamano i precedenti di Cass. numero 12971/2012, numero 6694/2006, numero 14976/2007 . L'obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli è connesso alla procreazione e la violazione può anche costituire illecito civile. Con il sesto motivo, per quel che rileva, si contesta la sentenza per mancato esame di un fatto decisivo l’omissione riguarda il motivo di appello ove si censurava la sentenza di primo grado per avere valutato come ammissibile la richiesta risarcitoria posta prima dell’accertamento dello status con sentenza passata in giudicato o attribuendone efficacia sin dalla nascita, facendo così retroagire la responsabilità” ad un momento precedente all’accertamento della colpevolezza del convenuto. La Corte d’Appello ha implicitamente respinto l’eccezione di inammissibilità laddove ha espressamente respinto l’eccezione di prescrizione. Il motivo è respinto. La Corte rammenta di avere già affermato in precedenza che L’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli artt. 147 e 148 c.c. è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali, nella specie, la indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento” si richiama Cass. numero 26205/2013 la violazione dei doveri verso i figli non è sanzionata solo con le misure del diritto di famiglia, ma anche con quelle previste in materia di illecito civile, ove siano lesi interessi costituzionalmente protetti dunque può avere corso un’autonoma azione tesa ad ottenere il riconoscimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c. e che può essere esperita anche nell’ambito del giudizio di dichiarazione della paternità e maternità qui si richiama Cass. numero 5652/2012 . Inoltre, se l’obbligo dei genitori di mantenere i figli sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde dalla domanda giudiziale, ove il figlio alla nascita sia riconosciuto da uno solo dei due genitori, non per questo viene meno l’obbligo in capo all’altro per il periodo precedente alla dichiarazione di paternità o maternità, sorgendo il diritto del figlio sin dalla nascita si richiama nuovamente Cass. numero 5652/2012 . L’accertamento dello status di figlio è il presupposto per l’esercizio dei diritti connessi. Secondo il ricorrente le richieste risarcitoria e di regresso sono prescritte perché il relativo termine decorre dal momento della nascita per la prima e dal momento dell’esborso per la seconda e non dal momento dell’accertamento definitivo del presupposto su cui sono fondate. Il motivo è respinto. L’accertamento dello status di figlio è il presupposto per l’esercizio dei diritti connessi, poiché prima non vi è pronuncia sullo status. Le due domande presuppongono l’accertamento dello status di figlio e sono utilmente azionabili solo in seguito allo stesso, che costituisce dunque il dies a quo per la decorrenza del termine prescrizionale decennale il principio è stato molte volte affermato tra le tante il provvedimento menziona Cass. numero 21364/2018, Cass. numero 7986/2014, Cass. numero 17914/2010, Cass. numero 23596/2006 . Il principio non è messo in discussione dalla osservazione che l’azione di regresso può essere esercitata anche con la domanda di dichiarazione giudiziale si richiama il precedente recente di Cass. numero 16561/2020 in tal caso l’azione è funzionale alla costituzione del titolo, che è in ogni caso eseguibile solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della paternità. Omessa pronuncia sulle censure relative al quantum cassazione con rinvio. Con l’ottavo motivo il ricorrente afferma che la sentenza è nulla e va cassata per difetto di motivazione in quanto non si è pronunciata sulle censure dell’appello relative all’ an e al quantum dell’importo liquidato in sentenza a favore di madre e figlia. La Corte accoglie il motivo la sentenza sul punto si è pronunciata sulle doglianze delle due donne contenute negli appelli incidentali, ma non su quelle dell’uomo, nell’appello principale. I motivi nono e decimo, anche questi relativi all’omesso esame di fatti decisivi in merito alla quantificazione, sono assorbiti dall’accoglimento dell’ottavo. La sentenza è pertanto cassata ed il giudizio rinviato alla Corte d’Appello in diversa composizione, anche per le spese.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 11 novembre – 11 dicembre 2020, n. 28330 Presidente Genovese – Relatore Tricomi Ritenuto che La controversia concerne l’azione di dichiarazione giudiziale di paternità promossa in data omissis da D.P.F. con ricorso ex art. 274 c.c. secondo la disciplina all’epoca vigente nei confronti di F.L. una volta dichiarata ammissibile l’azione con sentenza della Corte di Cassazione del 26/9/2003, con atto di citazione del 24/4/2004 D.P.F. propose l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e formulò richiesta di risarcimento danni per l’importo di Euro 7.000.000,00, assumendo danni esistenziali ed alla vita di relazione per l’assenza della figura paterna, alla quale F. si oppose. All’udienza di prima trattazione spiegò intervento la madre dell’attrice, D.P.M. chiedendo l’accoglimento della domanda principale di dichiarazione giudiziale di paternità e, per l’effetto, la condanna al rimborso della quota parte delle spese da lei sostenute per il mantenimento della figlia dalla nascita, da quantificarsi in Euro 4.000.000,00, ovvero nella somma ritenuta equa F. propose eccezione di tardività ed inammissibilità dell’intervento e ne contestò la fondatezza. Espletata l’attività istruttoria e disposta CTU genetica, alla quale F. non si sottopose, il Tribunale di Bari con la sentenza n. 2438/2014 accolse la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità, condannando F.L. al pagamento di Euro 200.000,00, in favore di D.P.F. e di Euro 374.000,00, in favore di D.P.M. , oltre interessi legali e spese. F. propose appello principale avverso questa sentenza e le D.P. proposero appello incidentale. La Corte di appello di Bari, con la sentenza depositata il 31/7/2017, oggetto del presente ricorso, ha respinto tutti gli appelli proposti, confermando la prima decisione e compensando le spese del grado. F.L. ricorre con dieci mezzi avverso detta sentenza. D.P.F. e D.P.M. hanno replicato con controricorso. Nell’istanza di fissazione dell’udienza, depositata dalle controricorrenti, è riferito che F.L. è deceduto il omissis . Sono state depositate memorie sia per F.L. che per D.P.F. e M. . Considerato che 1.1. Con il primo motivo si denuncia motivazione apparente, violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 si denuncia anche violazione degli artt. 392 e 393 c.p.c., ed erronea applicazione degli effetti della sentenza di incostituzionalità n. 50 del 2006, violazione e falsa applicazione dell’art. 133 bis disp. att. c.p.c., comma 2. Il ricorrente, sulla premessa che aveva eccepito la decadenza dall’azione di accertamento della paternità per decorrenza del termine semestrale ex art. 133-bis disp. att. c.p.c., perché introdotta oltre sei mesi dal deposito della sentenza della Corte di cassazione che aveva dichiarato l’ammissibilità dell’azione ex art. 274 c.c. nel testo all’epoca vigente , si duole che la Corte territoriale abbia respinto tale eccezione con motivazione apparente ed abbia violato le norme sulla riassunzione. 1.2. Il primo motivo è infondato. Va confermato in proposito il principio secondo il quale Il giudizio sull’ammissibilità dell’azione di dichiarazione della paternità o maternità naturale ed il successivo giudizio di merito, pur essendo tra loro collegati, hanno integrale autonomia, tanto che ben possono svolgersi innanzi a giudici diversi con la conseguenza che, definito il procedimento di ammissibilità a seguito dell’irrevocabilità acquisita dal relativo provvedimento autorizza torio, l’azione introduttiva del giudizio di cognizione piena non è soggetta al termine perentorio di sei mesi per la riassunzione art. 133 bis disp. att. c.p.c. , ma soltanto alle condizioni ed ai termini posti dal c.c. Cass. civ. Sez. I, 11/12/1996, n. 11035 e va osservato che la Corte territoriale vi ha dato corretta applicazione. 2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 276 c.c. e degli artt. 105, 268 c.p.c., art. 167 c.p.c., comma 2. Il ricorrente si duole che sia stato ritenuto ammissibile l’intervento volontario di D.P.M. madre dell’originaria attrice , sostenendo che questa aveva interesse al positivo accertamento del rapporto di filiazione per farvi derivare il preteso rimborso pro quota delle spese di mantenimento sostenute dalla nascita della figlia F. . Sostiene che nel giudizio di accertamento della paternità è legittimato passivo solo il presunto genitore o in mancanza i suoi eredi e argomenta su vari profili. 2.1. Il secondo motivo è infondato. Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire In tema di dichiarazione giudiziale della paternità naturale, nell’ipotesi di maggior età di colui che richiede l’accertamento non può configurarsi un interesse principale ad agire della madre naturale ai sensi dell’art. 276 c.c., u.c., non essendo in tale evenienza ravvisabile un obbligo legale di assistenza o mantenimento nei confronti del figlio, potendo peraltro essa svolgere un intervento adesivo dipendente, allorché sia ravvisabile un suo interesse di fatto tutelabile in giudizio. Cass. civ. Sez. I Sent., 17/07/2012, n. 12198 Acierno - conf. n. 6025 del 25/03/2015 . Nel caso di specie l’intervento della madre è adesivo e lo stesso ricorrente assume l’esistenza da parte di questa di un interesse ad esercitare il presunto diritto di regresso per le spese di mantenimento sostenute per la figlia la decisione è conforme al ricordato principio ed immune dai vizi dedotti. 3.1. Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto motivata in modo apparente. Si denuncia inoltre l’illegittimo esercizio del potere di disporre d’ufficio la CTU ematologica nonostante la rinuncia della parte che ne aveva interesse e la violazione e falsa applicazione dell’art. 208 c.p.c., comma 1, art. 61 c.p.c. e art. 2697 c.c A parere del ricorrente la Corte di appello ha motivato in maniera apparente e, comunque, errata in merito alla ammissibilità della CTU disposta di ufficio, in particolare omettendo di considerare che la parte attrice aveva rinunciato all’espletamento della CTU e che solo successivamente questa era stata disposta d’ufficio. 3.2. Con il quarto motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente nonché l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla legittimità del rifiuto del F. di sottoporsi a consulenza immunoematologica e la violazione dell’art. 187 c.p.c., commi 2 e 3 e art. 116 c.p.c Il ricorrente sostiene di avere esercitato un suo diritto di libertà e si duole che sia stato leso il suo diritto di difesa. 3.3. Vanno respinti perché infondati i motivi terzo e quarto, relativi entrambi all’espletamento della CTU ed ai suoi effetti, da trattarsi congiuntamente per connessione. 3.4. Innanzi tutto va rilevato che l’argomento relativo alla rinuncia all’espletamento della CTU espressa dall’attrice è privo di rilievo, in quanto il Consulente tecnico d’ufficio è un ausiliario del giudice ex artt. 61 c.p.c. e segg. e la decisione di avvalersi della sua collaborazione attiene al potere che il giudice può esercitare per acquisire elementi tecnici utili a definire la vicenda dedotta in giudizio e non è rinunciabile da alcuna delle parti. Peraltro, nello specifico campo di indagine in esame, la giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che, in materia di accertamenti relativi alla paternità e alla maternità, la consulenza tecnica ha funzione di mezzo obbiettivo di prova, costituendo lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’accertamento del rapporto di filiazione. Le indagini ematologiche e genetiche, affidate al consulente d’ufficio, non rappresentano, pertanto, nella fattispecie in esame, soltanto un mezzo per valutare elementi di prova offerti dalle parti, ma costituiscono il più valido strumento per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione Cass. n. 3563 del 17/02/2006 Cass. n. 15568 del 14/07/2011 . A ciò va aggiunto che In tema di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, l’ammissione degli accertamenti immunoematologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito, in materia, dall’art. 269 c.c., comma 2, non tollera surrettizie limitazioni, nè mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, nè, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di una sorta di ordine cronologico nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status Cass. n. 3479 del 23/02/2016 , e va rimarcato che la Corte territoriale, contrariamente a quanto assume il ricorrente, ha adeguatamente motivato sull’esigenza istruttoria connessa alla decisione di espletamento della CTU, anche per relationem. La doglianza non si può condividere nemmeno ove prospetta una violazione della libertà personale connessa alla disposta indagine ematologica. Invero, dall’art. 269 c.c., non deriva una restrizione della libertà personale, avendo il soggetto piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, mentre il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa, e, inoltre, il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato nemmeno con esigenze di tutela della riservatezza, tenuto conto sia del fatto che l’uso dei dati nell’ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia, sia del fatto che il sanitario chiamato dal giudice a compiere l’accertamento è tenuto tanto al segreto professionale che al rispetto della L. 31 dicembre 1996, n. 675 Cass. n. 14458 del 05/06/2018 . In proposito si osserva che, nel caso di specie, come si evince dalla sentenza, F. aveva dichiarato sin dalla comparsa di risposta in primo grado il suo rifiuto a sottoporsi a prove ematolologiche ed aveva rinnovato tale determinazione nel corso del giudizio è, inoltre, incontestato che la CTU non venne eseguita proprio per il rifiuto liberamente opposto da F. , circostanza che conferma il pieno esercizio da parte sua della libera scelta personale. 4.1. Con il quinto motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente nonché l’omesso esame del fatto decisivo costituito dalla nullità delle prove orali in quanto de relato ex parte actoris, e dalla inidoneità delle stesse a provare la paternità per violazione dell’art. 244 c.p.c Il ricorrente lamenta che la sentenza sia motivata per relationem alla sentenza di primo grado, senza che sia possibile desumere l’iter argomentativo seguito per giungere alla condivisione della prima decisione e sostiene che emerge ictu oculi che non vennero esaminate le specifiche doglianze dallo stesso proposte - che tuttavia non trascrive, limitandosi a rinviare integralmente alle pagine dell’atto di appello 37/49. In via subordinata lamenta l’omesso esame della circostanza che D.P.F. era nata il OMISSIS e che il teste da lui presentato aveva negato la persistenza di rapporti tra F.L. e D.P.M. successivamente al . In via ulteriormente subordinata denuncia la violazione dell’art. 244 c.p.c., perché le deposizioni di parte attrice erano nulle o inattendibili e le esamina sottolineando quelle che, a suo parere, erano incongruenze o genericità, o il carattere de relato. 4.2. Il quinto motivo è infondato, volendo superare i profili di inammissibilità. Come già affermato da questa Corte La sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. Cass. n. 20883 del 05/08/2019 . Nel caso in esame la Corte territoriale, ha confermato la prima decisione dando conto del suo percorso motivazionale, fondato essenzialmente sulla valorizzazione del rifiuto di F. a sottoporsi all’esame ematologico, corroborato dalle risultanze degli altri mezzi istruttori con cui era stata accerta l’esistenza di una relazione affettiva tra F. e D.P. . In proposito, la Corte barese ha rimarcato la non decisività dell’unica testimonianza che aveva ricondotto la cessazione dei rapporti affettivi tra le parti al 1970, sulla considerazione che non si poteva arrivare ad escludere la persistenza degli stessi al di là dell’effettiva conoscenza del teste assunto, della cui attendibilità peraltro dubitava. Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la decisione dà conto del ragionamento seguito dalla Corte di appello, fondato sulla decisiva mancata sottoposizione all’esame ematologico di F. e corroborato dalle testimonianze che avvaloravano l’esistenza di un rapporto affettivo tra le parti non smentito nemmeno dal teste presentato da F. , compendio probatorio ritenuto adeguato e sufficiente all’accoglimento della domanda, e ciò a prescindere dalla assenza di prove testimoniali riferibili specificamente al probabile momento del concepimento ne discende che la data di nascita della ricorrente non costituisce fatto decisivo non esaminato, come sostenuto dal ricorrente che non coglie sul punto la ratio decidendi. La statuizione risulta pertanto adottata nel rispetto dei principi già affermati da questa Corte ed ai quali si intende dare continuità, secondo il quali Nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò nè una restrizione della libertà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, nè una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l’uso dei dati nell’ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l’accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali Cass. Sentenza n. 11223 del 21/05/2014 con l’effetto che la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle altre emergenze istruttorie e della portata delle difese del convenuto, non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l’accertamento giudiziale della paternità e maternità naturale Cass. n. 12971 del 24/07/2012 v. anche, Cass. n. 6694 del 24/3/2006 Cass. n. 14976 del 2/7/2007 . Di contro, con evidenti ricadute sull’ammissibilità del motivo, il ricorrente non trascrive con la dovuta specificità i motivi di appello e non dà conto delle questioni da lui prospettate che non sarebbero state esaminate, impedendo a questa Corte ulteriori considerazioni. 4.3. Il motivo è poi inammissibile laddove lamenta la violazione dell’art. 244 c.p.c., perché non illustra se ed in che termini questioni inerenti all’applicazione di questa disposizione siano state sottoposte alla Corte territoriale. Ancora, il motivo è inammissibile laddove, nella seconda parte, sostanzialmente prospetta un errore di valutazione ed insiste sulla natura de relato di alcune testimonianze, in quanto dà conto di non avere compreso la ratio decidendi, atteso che il convincimento del giudice - come già chiarito - si è fondato principalmente sul rifiuto di F. di sottoporsi ad indagine ematologica, anche se corroborato dalla circostanza non controversa perché riconosciuta anche dal teste presentato da F. della effettiva esistenza di una relazione affettiva tra questi e D.P.M. , in epoca prossima a quella dell’evento concepimento. Il motivo sembra, inoltre, inammissibilmente volto a pervenire ad una rivalutazione del merito. 5.1. Con il sesto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo in ordine alla pretesa ammissibilità della domanda risarcitoria proposta da D.P.F. e di quella di regresso proposta da D.P.M. . Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata è viziata per aver omesso di esaminare il sesto motivo di appello con cui F. aveva censurato la sentenza di primo grado per avere ritenuto ammissibile l’azione risarcitoria proposta dalla presunta figlia prima dell’accertamento dello status con sentenza passata in giudicato o, quanto meno, attribuendone efficacia ex tunc dalla nascita, facendo così retroagire la responsabilità ad un momento anteriore all’accertamento della colpevolezza del convenuto. Si duole anche che non sia stata ravvista la incompatibilità tra la domanda risarcitoria proposta dalla figlia e la domanda di regresso proposta dalla madre, sulla considerazione che le somme che la madre sosteneva di avere speso per il mantenimento della figlia ove corrispondenti al vero davano atto di una vita più che agiata della stessa. 5.2. Il sesto motivo è infondato. La Corte territoriale ha implicitamente disatteso le eccezioni di inammissibilità, nel momento in cui ha espressamente respinto l’eccezione di prescrizione fol. 6 della sent. imp. dando così conto della ritenuta ammissibilità delle domande risarcitoria e di regresso, in linea con i precedenti di legittimità. Invero, questa Corte ha già affermato, che L’obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli artt. 147 e 148 c.c. è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali, nella specie, la indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all’epoca del concepimento Cass. n. 26205 del 22/11/2013 e la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole non trova sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, potendo integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti questa, pertanto, può dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità Cass. n. 5652 del 10/04/2012 . Inoltre, l’obbligo dei genitori di mantenere i figli artt. 147 e 148 c.c. sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché nell’ipotesi in cui, al momento della nascita, il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori Cass. n. 5652 del 10/04/2012 . Quanto al diritto di regresso si rinvia ai principi già ricordati sub 21. 6.1 Con il settimo motivo si denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 2935, 279, 148, 315 bis c.c Secondo il ricorrente è errata l’affermazione della Corte di appello secondo la quale il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria e dell’azione di regresso decorre dall’accertamento definitivo del presupposto su cui sono fondate. Il ricorrente sostiene che, anche ove ritenute ammissibili, l’azione risarcitoria avrebbe dovuto essere respinta per intervenuta prescrizione decorrente dalla data della nascita e l’azione di regresso avrebbe dovuto essere respinta per intervenuta prescrizione decorrente dai relativi esborsi. 6.2. Il settimo motivo è infondato. L’accertamento dello status di figlio naturale costituisce il presupposto per l’esercizio dei diritti connessi a tale status, perché prima di tale momento non vi è pronuncia sullo status. La domanda risarcitoria da parte del figlio e quella di rimborso delle spese sostenute per il mantenimento del figlio da parte del genitore coobbligato presuppongono tale accertamento e non sono utilmente azionabili se non dal momento in cui diviene definitiva la sentenza di accertamento della filiazione naturale, che conseguentemente costituisce il dies a quo della decorrenza della ordinaria prescrizione decennale tra le tante, Cass. n. 21364 del 29/08/2018 Cass. n. 7986 del 4/4/14 Cass. n. 17914 del 20/10/2010 Cass. n. 23596 del 3/11/2006 tale principio non è inficiato dalla puntualizzazione che l’azione di regresso può essere esercitata dal genitore che ha provveduto in via esclusiva al mantenimento del figlio anche unitamente alla domanda di dichiarazione giudiziale della paternità naturale v. di recente Cass. n. 16561 del 3/7/2020 difatti in tal caso l’azione serve alla precostituzione del titolo, il quale è comunque e sempre eseguibile soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza di accertamento della paternità naturale. 7.1. Con l’ottavo motivo si denuncia - quale error in procedendo l’omessa pronuncia, la nullità della sentenza, la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c Il ricorrente sostiene che la sentenza è nulla per aver omesso di pronunciarsi sulle censure mosse con i motivi ottavo e nono dell’atto di appello, che investivano l’an ed il quantum dell’ammontare liquidato dalla sentenza di primo grado a D.P.F. , a titolo risarcitorio, ed a D.P.M. , a titolo di regresso. A suo parere la sentenza va cassata per mancanza di motivazione, quale requisito essenziale del provvedimento. 7.2. L’ottavo motivo è fondato e va accolto. La Corte di appello ha esaminato gli appelli incidentali relativi alla quantificazione delle domande risarcitoria e di regresso formulate dalle D.P. , ma non i motivi di appello proposti in merito dal ricorrente e non si è pronunciato sulle relative questioni, di guisa che ricorre sul punto la dedotta nullità. 8.1. Con il nono motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2043, 2056 c.c., in relazione al risarcimento del danno riconosciuto a D.P.F. , nonché l’omesso esame di fatti decisivi in relazione alla quantificazione. 8.2. Con il decimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 147, 148, 1299, 2045 c.c., in relazione alla domanda di regresso di D.P.M. si lamenta altresì l’omesso esame di un fatto decisivo in ordine alla quantificazione del rimborso in favore di D.P.M. . 8.3. I motivi nono e decimo sono assorbiti dall’accoglimento dell’ottavo motivo. 9. In conclusione, va accolto l’ottavo motivo di ricorso, assorbiti i motivi nono e decimo vanno respinti perché infondati i motivi primo, secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo la sentenza impugnata va cassata con rinvio della causa alla Corte di appello di Bari in diversa composizione per il riesame e la liquidazione delle spese anche del presente grado. Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52. P.Q.M. - Accoglie l’ottavo motivo, assorbiti i motivi nono e decimo, infondati tutti i restanti cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Bari in diversa composizione anche per le spese - Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.