La volontà di distruggere il testamento non implica necessariamente la volontà di revoca

L’irreperibilità del testamento, di cui si provi l'esistenza in un certo tempo mediante la produzione di una copia, è equiparabile alla distruzione. L’onus probandi che esso fu distrutto da persona diversa dal testatore, oppure che costui non aveva intenzione di revocarlo, incombe su chi vi ha interesse.

Così la Cassazione con ordinanza n. 22191/20, depositata il 14 ottobre. In un giudizio in materia di eredità , il giudice di prime cure aveva accolto la domanda proposta da una donna contro gli eredi legittimi di un uomo cui era stata legata sentimentalmente, riconoscendo che quest'ultimo aveva disposto in favore di essa attrice con disposizioni contenute in un testamento olografo, del quale la donna possedeva solo una copia. In particolare, la copia del testamento debitamente pubblicata con verbale notarile, riproduceva in fotocopia le disposizioni testamentarie olografe con le relative data e sottoscrizione, da un lato, e conteneva frasi olografe , siglate e sottoscritte, oltre a un codicillo con cui il testatore revocava una delle disposizioni testamentarie, dall'altro lato. La sentenza di primo grado, tuttavia, veniva impugnata dalla legittima coniuge del testatore e la Corte d’appello competente rigettava la domanda dell’attrice del primo grado, proseguita nel frattempo dagli eredi, dato che la stessa era deceduta. La Corte territoriale, nello specifico, riconosceva che l’ irreperibilità del documento originale rendeva operante la presunzione di revoca stabilità ex art 684 c.c., presunzione che nella specie non era stata superata. Per la cassazione di quest'ultima sentenza, gli eredi della donna legata sentimentalmente al testatore proponevano ricorso. Gli Ermellini prima di esaminare i motivi di ricorso hanno ritenuto opportuno identificare le ragioni che avevano indotto il primo giudice ad accogliere la domanda ed il giudice di appello a riformare la decisione. Il Tribunale, in particolare, aveva riconosciuto che 1 il documento pubblicato dal notaio , in considerazione delle sue caratteristiche, fosse assimilabile all'originale 2 l'esistenza di un doppio originale, con la distruzione di uno solo di essi, poneva la fattispecie fuori dall'ambito di operatività dell'art. 684 c.c. e non consentiva di applicare la relativa presunzione , così come stabilito dalla precedente pronuncia della Suprema Corte n. 27395/2009 3 la scomparsa del testamento olografo non consente di presumere né la distruzione né la revoca 4 in ogni caso, nella specie, la presunzione di revoca è stata superata, grazie alla prova della persistenza della volontà del testatore nei termini che risultano dalla copia, utilizzabile ai fini della ricostruzione del testamento in quanto non disconosciuta. D'altro canto, invece, la Corte d’Appello aveva riformato la decisione sulla base dei seguenti rilievi 1 la fotocopia del testamento , tale riconosciuta dal medesimo testatore, non è equiparabile all'originale 2 secondo la giurisprudenza di legittimità il mancato reperimento del testamento giustifica la presunzione che il de cuius lo abbia revocato, mediante la sua distruzione 3 il mancato disconoscimento della conformità della copia potrebbe consentire la sua utilizzazione, ai fini della prova dell’esistenza del testamento del suo contenuto, solo dopo che sia stata data la prova che il testamento ancora esisteva al momento dell'apertura della successione 4 tuttavia, nel caso di specie, tale prova non è stata fornita, non essendo idonei a questo fine i capitoli di prova per testimoni richiesti dall’iniziale attrice. La Suprema Corte osserva che, in relazione a queste ragioni del decidere, non risultava oggetto di censura l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui il documento pubblicato dal notaio non aveva natura di originale . Infatti, anche se nel primo motivo di cassazione viene sostenuto che con l'intervento olografo nella scheda il testatore avrebbe manifestato la volontà di redigere due originali, con il preciso scopo di assicurare che la propria volontà fosse contenuta in due documenti di pari valore, tuttavia, si tratta di un passaggio argomentativo, inteso a suffragare ulteriormente l’inverosimiglianza di una volontà di revoca del testatore. Sostanzialmente -secondo la Suprema Corte i motivi di ricorso sono intesi a sostenere che la presunzione di revoca non opera in presenza del testamento scomparso , risultando necessario, perché scattino le presunzioni ex art. 684 c.c., che chi afferma la revoca provi il fatto che il testamento sia andato distrutto, cancellato oppure lacerato dal testatore. Qualora tale prova non sia fornita, chi afferma l'esistenza del testamento è libero di provare con ogni mezzo la sua esistenza ed il suo contenuto. Tale prova, nella specie, derivava dalla copia non disconosciuta dell’olografo, tenuto conto della particolarità dei modi di formazione del documento. Inoltre, la Corte d’appello avrebbe dovuto ammettere la prova testimoniale intesa a dimostrare che il testatore non aveva volontà di revocare, per cui la presunzione, qualora in ipotesi operante, poteva essere superata grazie a tale prova. Tuttavia, per la Suprema Corte i motivi di ricorso, esaminati congiuntamente perché connessi, risultano infondati. Gli Ermellini ricordano che è pacifico che l'art. 684 c.c. pone due presunzioni e precisamente uno si riferisce all' imputabilità della distruzione al testatore l'altra alla concomitanza, in questa distruzione, che si presume imputabile al testatore, dell' intenzione di revocare . La dottrina, dal proprio canto, riconosce il carattere relativo di ambedue le presunzioni stabilite dalla norma. Così ammette la prova -da parte di chi vi abbia interesse che la distruzione, lacerazione o cancellazione non fu opera del testatore ma di un terzo ovvero che fu opera del testatore ma senza volontà di revoca. Si fa l'esempio del testatore che abbia volontariamente distrutto il testamento non per revocarlo ma perché aveva intenzione di farlo identico, migliorando nello stile. Secondo una diversa tesi, invece, avrebbe carattere relativo solo la prima delle due presunzioni previste dalla norma, mentre la distruzione ad opera del testatore darebbe luogo a una presunzione iuris et de iure di volontà di revoca. In base a questa opinione l'espressione legislativa sulla prova della mancanza dell'intenzione di revocare dovrebbe essere intesa come mancanza dell'intenzione di distruggere, lacerare o cancellare il documento. Una volta accertata l'intenzione di distruggere non si potrebbe assumere di provare che il testatore non aveva con ciò l'intenzione di revocare. In argomento la giurisprudenza risulta sempre orientata nel senso della dottrina prevalente, vale a dire che la volontà di distruggere non implica necessariamente volontà di revoca, ammettendosi prova che la distruzione del testamento olografo ad opera del testatore non era accompagnata dall’intenzione di revocare le disposizioni testamentarie ivi contenute. In particolare, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, il mancato reperimento del testamento olografo giustifica la presunzione che il testatore l'abbia distrutto. Infatti, il fatto che una scheda testamentaria, di cui si afferma o si provi l'esistenza in un periodo precedente alla morte del de cuius , sia divenuta irreperibile pone in essere una presunzione di revoca, nel senso che possa essere stato lo stesso testatore a distruggerlo ai fini di revoca. Proprio per vincere tale presunzione occorre che colui che mira a ricostruire mediante prove testimoniali il testamento, che asserisce smarrito o distrutto non ad opera dello stesso testatore, fornisca la prova dell'esistenza del testamento stesso al momento dell'apertura della successione. Infatti, solo in tal modo si può raggiungere l'assoluta certezza del fatto che non sia stato lo stesso de cuius a distruggere la scheda, e così a revocare il testamento. Ai fini di tale prova può ricorrersi, rammenta la Suprema Corte, anche alle presunzioni semplici. Da ultimo, gli Ermellini rammentano che per la giurisprudenza di legittimità A l' ammissibilità della prova per testi , diretta a ricostruire l’olografo, è da considerare inammissibile in caso di dolo o colpa dell' erede che possedeva la scheda B l’ammissibilità della prova che la scomparsa del testamento non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione presuppone in ogni caso il positivo esperimento della prova contraria alla presunzione di avvenuta revoca della disposizione testamentaria C laddove esista copia informe del testamento, l'eventuale mancanza di un espresso disconoscimento della conformità all'originale della prodotta fotocopia, di per sé, è irrilevante ai fini del superamento della presunzione di revoca D infatti, il mancato disconoscimento potrebbe venire in considerazione solo dopo che sia stata superata la presunzione di revoca, essendo evidente che detta conformità non sarebbe valsa ad escludere la possibilità che il testamento dopo essere stato fotocopiato fosse stato revocato mediante distruzione da parte dello stesso testatore. Per tutti questi motivi la sentenza impugnata è risultata alla Suprema Corte in linea con i principi dettati dalla giurisprudenza, non solo con riguardo all’equiparazione dell’irreperibilità del testamento alla sua distruzione, ma anche al rapporto dell'onere della prova a carico di chi intenda provare l'esistenza delle disposizioni testamentarie. Tra l'altro, nel caso di specie, i capitoli di prova risultavano giustamente non ammessi dalla Corte territoriale dato che non miravano a fornire la prova di un fatto tale da far apparire la scomparsa quale conseguenza del fatto del terzo o di un evento fortuito, né di un fatto non compatibile con la distruzione operata dal testatore, nel periodo compreso tra la confezione della copia e la sua morte. Per tali motivi il ricorso è stato rigettato sebbene con spese compensate in ragione della relativa novità della questione. Con l'occasione, la Suprema Corte a séguito dell'esame della propria giurisprudenza ha ribadito i seguenti principi di diritto A L’irreperibilità del testamento, di cui si provi l'esistenza in un certo tempo mediante la produzione di una copia, è equiparabile alla distruzione, per cui incombe su chi vi ha interesse l'onere di provare che esso fu distrutto, lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore oppure che costui non aveva intenzione di revocarlo B la prova contraria può essere data, anche per presunzioni, non solo attraverso la prova dell’esistenza del testamento al momento della morte ma anche provando che il testamento, seppure scomparso prima della morte del testatore, sia stato distrutto da un terzo o sei andato perduto fortuitamente o, comunque, senza alcun concorso della volontà del testatore stesso C è ammessa anche la prova che la distruzione dell'olografo, da parte del testatore, non era accompagnata dall’intenzione di togliere efficacia alle disposizioni ivi contenute D in presenza di una copia informale del testamento olografo, il mancato disconoscimento della conformità all'originale diventa rilevante solo una volta che sia stata superata la presunzione di revoca E infine, ferma la prioritaria esigenza che sia stata data la prova contraria alla presunzione di revoca, sono applicabili al testamento gli artt. 2724, n. 3, e 2725 c.c., con la conseguenza che è ammessa ogni prova, compresa quella testimoniale e per presunzioni, sull'esistenza del testamento purché la scomparsa non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione del testamento.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 1° luglio – 14 ottobre 2020, n. 22191 Presidente Di Virgilio – Relatore Tedesco Fatti di causa Il Tribunale di Cagliari accoglieva la domanda proposta da V.G. contro gli eredi legittimi di P.G. il coniuge C.R. e il figlio P.A. , riconoscendo che il de cuius, deceduto il omissis , aveva disposto in favore di essa attrice, già legata sentimentalmente a P.G. dal , con disposizioni contenute in un testamento olografo, del quale l’attrice aveva rinvenuto solamente una copia. La copia del testamento, debitamente pubblicata con verbale notarile, in parte, riproduceva in fotocopia le disposizioni testamentarie olografe con le relative data omissis e sottoscrizione per altra parte, conteneva frasi olografe, siglate e sottoscritte la presente fotocopia firmata in originale è copia dell’originale nella disponibilità di V.G. destinataria C.R. , oltre a un codicillo, preceduto dalla data 20 dicembre 2002, con cui il testatore revocava una delle disposizioni testamentarie. Impugnata la sentenza dalla C. , la Corte d’appello di Cagliari rigettava la domanda, proseguita dagli eredi della V. , nel frattempo deceduta, D.B. e V.A. . La corte di merito riconosceva che la irreperibilità del documento originale rendeva operante la presunzione di revoca stabilita dall’art. 684 c.p.c., presunzione che, nella specie, non era stata superata. Per la cassazione della sentenza D.B. e V.A. hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi. C.R. ha resistito con controricorso. P.A. è rimasto intimato. Ragioni della decisione 1. In principio del ricorso i ricorrenti riportano la sintesi dei motivi, che di seguito si trascrive 1 violazione e/o falsa applicazione dell’art. 684 c.c., anche in relazione agli artt. 2712, 2719, 2727 c.c., si censura la decisione della Corte d’appello di Cagliari che ha ritenuto che al testamento in questione pubblicato per i rogiti del notaio Dottor M.L. il 30 luglio 2004, rappresentato da un foglio contenente parte delle disposizioni testamentarie olografe riprodotte in fotocopia e parte in olografo originale, stante il mancato rinvenimento del documento contenente la parte originale dei prodotti in fotocopia dovesse applicarsi la presunzione di revoca ex art. 684 . 2 Violazione di legge e/o falsa interpretazione delle norme che regolano la utilizzabilità e la validità di una riproduzione fotostatica di una scrittura privata diventata irreperibile anche in relazione all’art. 684 c.c. e all’art. 12 preleggi, perché la sentenza impugnata ha ritenuto che l’unica possibilità di utilizzare il documento, rappresentato dal testamento olografo pubblicato il 30 luglio 2004 per i rogiti del notaio Dottor M.L. , fosse subordinata alla prova dell’esistenza della scheda, riprodotta fotostaticamente nell’anzidetto testamento, al momento del decesso del testatore . 3 Violazione di legge e/o falsa interpretazione delle norme che regolano gli oneri probatori nel processo anche in relazione all’art. 684 c.c., per avere ritenuto che, nel caso di specie, l’unica possibilità di fornire una prova contraria alla presunzione di revoca contenuta nell’art. 684 c.c., fosse quella di dimostrare che il documento originale, contenente le disposizioni testamentarie riprodotte nel documento pubblicato dal notaio, fosse ancora esistente al momento del decesso del de cuius . 2. Prima di esaminare i motivi di ricorso è opportuno identificare le ragioni che avevano indotto il primo giudice ad accogliere la domanda e il giudice d’appello a riformare la decisione. Il tribunale ha riconosciuto che a il documento pubblicato dal notaio, in considerazione delle sue caratteristiche, fosse assimilabile all’originale b l’esistenza di un doppio originale, con la distruzione di uno solo di essi, poneva la fattispecie fuori dall’ambito di operatività dell’art. 684 c.c. e non consentiva di applicare la relativa presunzione Cass. n. 27395/2009 c la scomparsa del testamento olografo non consente di presumerne la distruzione e quindi la revoca d in ogni caso, nella specie, la presunzione di revoca era stata superata, grazie alla prova della persistenza della volontà del testatore nei termini che risultavano dalla copia, utilizzabile ai fini della ricostruzione del testamento in quanto non disconosciuta. 3. La corte d’appello ha riformato la decisione sulla base dei seguenti rilievi a la fotocopia del testamento, tale riconosciuta dal medesimo testatore, non è equiparabile all’originale b secondo la giurisprudenza di legittimità il mancato reperimento del testamento giustifica la presunzione che il de cuius lo abbia revocato, distruggendolo c il mancato disconoscimento della conformità della copia potrebbe consentire la sua utilizzazione, ai fini della prova della esistenza del testamento e del suo contenuto, solo dopo che sia stata data la prova che il testamento ancora esisteva al momento dell’apertura della successione d tale prova nella specie non è stata fornita, non essendo idonei a questo fine i capitoli di prova per testimoni richiesti dall’attrice. In relazione a tali ragioni del decidere si ritiene di dover precisare che non ha costituito oggetto di censura l’affermazione della corte d’appello, secondo cui il documento pubblicato dal notaio non aveva natura di originale. In verità, nel primo motivo, si sostiene che con l’intervento olografo nella scheda il testatore avrebbe manifestato la volontà di redigere due originali con il preciso scopo di assicurare che la propria volontà fosse contenuta in due documenti di pari valore pag. 11 del ricorso . Si tratta tuttavia di un passaggio argomentativo, inteso a suffragare ulteriormente l’inverosimiglianza di una volontà di revoca del testatore, tant’è che, nel seguito del ricorso, si riconosce che fintanto che il ragionamento seguito dalla Corte d’appello verte sulla natura di originale o meno del documento trattando di accertamento di fatto sarebbe comunque escluso dalle attenzioni di questo il giudice pag. 14 del ricorso . In effetti, i motivi di ricorso sono intesi a sostenere che la presunzione di revoca non opera in presenza del testamento scomparso. Si sostiene essere necessario, perché scattino le presunzioni dell’art. 684 c.c., che chi afferma la revoca provi il fatto che il testamento sia andato distrutto, sia stato cancellato o lacerato dal testatore. Qualora tale prova non sia fornita, chi afferma la esistenza del testamento è libero di provare, con ogni mezzo, la sua esistenza e il suo contenuto. Tale prova nella specie derivava dalla copia non disconosciuta dell’olografo, tenuto conto della particolarità dei modi di formazione del documento. La corte d’appello avrebbe poi dovuto ammettere la prova testimoniale, intesa a dimostrare che il testatore non aveva volontà di revocare, per cui la presunzione, qualora in ipotesi operante, poteva essere superata grazia a tale prova. 4. I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono infondati. È pacifico che l’art. 684 c.c., pone due presunzioni l’una si riferisce all’imputabilità della distruzione al testatore, l’altra alla concomitanza, in questa distruzione, che si presume imputabile al testatore, dell’intenzione di revocare. La dottrina riconosce il carattere relativo di ambedue le presunzioni stabilite dalla norma. Si ammette così la prova - da parte di chi vi abbia interesse - che la distruzione, lacerazione o cancellazione non fu opera del testatore, ma di un terzo ovvero che fu opera del testatore, ma senza volontà di revoca. Si fa l’esempio del testatore, il quale abbia volontariamente distrutto il testamento non per revocarlo, ma perché aveva intenzione di farlo identico, migliorandone lo stile. Secondo una diversa tesi avrebbe carattere relativo solo la prima delle due presunzioni previste dall’art. 684 c.c., mentre la distruzione ad opera del testatore darebbe luogo a una presunzione iuris et de iure di volontà di revoca. In base a questa opinione l’espressione legislativa, sulla prova della mancanza dell’intenzione di revocare, dovrebbe essere intesa come mancanza dell’ intenzione di distruggere lacerare o cancellare il documento. Una volta accertata l’intenzione di distruggere non si potrebbe assumere di provare che il testatore non aveva con ciò l’intenzione di revocare, in quanto l’art. 684 c.c., ricollega alla distruzione volontaria del documento per opera del testatore una presunzione assoluta di revoca. La giurisprudenza sembra orientata nello stesso senso della dottrina prevalente la volontà di distruggere non implica necessariamente volontà di revoca, ammettendosi pertanto la prova che la distruzione del testamento olografo ad opera del testatore non era accompagnata dalla intenzione di revocare le disposizioni testamentarie ivi contenute in questo senso, oltre a Cass. n. 12090/1995, Cass. n. 918/2010 . 5. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte Cass. n. 3286/1975 il mancato reperimento del testamento olografo giustifica la presunzione che il testatore l’abbia distrutto. Il fatto che una scheda testamentaria, di cui si affermi o si provi, l’esistenza in un periodo precedente alla morte del de cuius, sia divenuta irreperibile pone in essere una presunzione di revoca, nel senso che possa essere stato lo stesso testatore a distruggerla a fini di revoca. Proprio per vincere tale presunzione, occorre che colui che mira a ricostruire mediante prove testimoniali, ai sensi dell’art. 2724 c.c., n. 3, art. 2725 c.c., il testamento che asserisce smarrito distrutto non ad opera dello stesso testatore fornisca la prova della esistenza del testamento stesso al momento dell’apertura della successione. Solo in tal modo si può infatti raggiungere l’assoluta certezza del fatto che non sia stato lo stesso de cuius a distruggere la scheda e così a revocare il testamento . Ai fini di tale prova può ricorrersi, secondo la Suprema Corte, anche alle presunzioni semplici conf. 17237/2011 . Nello stesso tempo la giurisprudenza di legittimità chiarisce che a l’ammissibilità della prova per testimoni, diretta alla ricostruzione dell’olografo, deve coordinarsi con il disposto dell’art. 2724 c.c., n. 3, art. 2725 c.c. la prova è da considerare inammissibile in caso di dolo o colpa dell’erede che possedeva la scheda Cass. n. 952/1967 n. 918/2010 b la ammissibilità della prova che la scomparsa del testamento non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione presuppone in ogni caso il positivo esperimento della prova contraria alla presunzione di avvenuta revoca della disposizione testamentaria Cass. n. 918/1910 c laddove esista copia informe dal testamento, l’eventuale mancanza di un espresso disconoscimento della conformità all’originale della prodotta fotocopia, di per sé, è irrilevante ai fini del superamento della presunzione di revoca d infatti, il mancato disconoscimento potrebbe venire in considerazione solo dopo che sia stata superata la presunzione di revoca, essendo evidente che detta conformità non sarebbe valsa ad escludere la possibilità che il testamento dopo essere fotocopiato fosse stato revocato mediante distruzione dallo stesso testatore Cass. n. 12098/1995 conf. Cass. n. 3636/2004 . 6. È stato obiettato che Cass. n. 3286/1975, nel decidere la controversia nella specie l’attore aveva prodotto una minuta informe asserendo che il de cuius aveva manifestato l’intenzione di disporre in quel senso e chiedendo così di provare l’esistenza dell’originale redatto in conformità di quella minuta originale di cui si assumeva lo smarrimento - non si è limitata ad affermare l’esigenza che fosse offerta la prova che la minuta era stata riprodotta in una vera e propria scheda ad opera del testatore, ma ha ritenuto altresì indispensabile la prova che detta scheda esistesse alla morte del testatore e non soltanto in un momento anteriore. Ciò non si concilierebbe con l’art. 684 c.c., che prevede la possibilità di vincere la presunzione di revoca dimostrando o che il testamento venne distrutto da persona diversa dal testatore ovvero, in alternativa, che il testatore non ebbe intenzione di revocarlo. A maggior ragione la tesi accolta da Cass. n. 3286/1975 non sarebbe compatibile con la interpretazione corrente dell’art. 684 c.c., in base alla quale deve ammettersi la possibilità di dimostrare, persino nell’ipotesi di distruzione dell’olografo avvenuta ad opera dello stesso testatore, che questi non aveva intenzione di revocare. Quand’anche fosse sicuro che il testamento non esisteva al momento della morte del testatore, si potrebbe pur sempre dimostrare che il testamento, anche prima della morte del de cuius, era andato smarrito per fatto di terzi o per evento accidentale o comunque all’insaputa del testatore. Cass. n. 12098 del 1995, nel riaffermare il principio che il mancato rinvenimento della scheda, ossia la sua irreperibilità, basta a legittimare la presunzione, posta dall’art. 684 c.c., che il de cuius lo abbia revocato, distruggendolo, sembra introdurre una significativa precisazione in ordine alla prova idonea a vincere la presunzione. Secondo la pronuncia in esame occorre provare o che la scheda testamentaria, ovviamente quella originale, esisteva ancora al momento dell’apertura della successione e che, quindi, la sua irreperibilità non può farsi risalire in alcun modo al testatore, oppure che quest’ultimo, benché autore materiale della distruzione, non era animato da volontà di revoca . L’esame della giurisprudenza della Corte consente di riconoscere che, nel caso di irreperibilità del testamento di cui si provi l’esistenza in un momento precedente alla morte del de cuius, la prova contraria alla presunzione di revoca non passa esclusivamente attraverso la prova che il testamento ancora esisteva al tempo della morte del testatore. È chiaro che, una prova siffatta, laddove fornita, consentirebbe di raggiungere la certezza assoluta del fatto che non sia stato lo stesso testatore a distruggere la scheda, come riconosce Cass. 3286 del 1975 da ciò, però, non si può trarre argomento per negare che, a vincere la presunzione di revoca, non possa servire anche la prova che la irreperibilità della scheda non può farsi risalire in alcun modo al testatore , secondo la precisazione di Cass. n. 12098 del 1995. In verità, in tale pronuncia, l’espressione della non riconducibilità della mancanza della scheda al testatore sembra concepita quale conseguenza della prova della esistenza della scheda al tempo della morte, ma per questa parte la pronuncia non può essere presa alla lettera. Non si può negare che l’ipotesi dello smarrimento non riconducibile al testatore comprenda, in linea di principio, anche l’ipotesi del testamento distrutto da un terzo o andato smarrito per un evento accidentale prima dell’apertura della successione. Cass. 12098 del 1995 ammette inoltre senza mezzi termini, in alternativa alla prova della sparizione non riconducibile al testatore, la prova che il testatore benché autore materiale della distruzione, non era animato da volontà di revoca . 7. L’esame della giurisprudenza della Corte consente di enucleare i seguenti principi. A La irreperibilità del testamento, di cui si provi l’esistenza in un certo tempo mediante la produzione di una copia, è equiparabile alla distruzione, per cui incombe su chi vi ha interesse l’onere di provare che esso fu distrutto lacerato o cancellato da persona diversa dal testatore oppure che costui non ebbe intenzione di revocarlo . A tale orientamento, pur nella consapevolezza di autorevoli opinioni diverse riecheggiate dal ricorrente , in base alle quali non esiste una presunzione nel senso che il testamento, di cui consti la confezione, ma che attualmente non si può ritrovare, sia distrutto, occorre dare continuità. B La prova contraria può essere data, anche per presunzioni, non solo attraverso la prova della esistenza del testamento al momento della morte ciò che darebbe la certezza che il testamento non è stato revocato dal testatore , ma anche provando che il testamento, seppure scomparso prima della morte del testatore, sia stato distrutto da un terzo o sia andato perduto fortuitamente o comunque senza alcun concorso della volontà del testatore stesso. C È ammessa anche la prova che la distruzione dell’olografo da parte del testatore non era accompagnata dalla intenzione di togliere efficacia alle disposizioni ivi contenute. D In presenza di una copia informale dell’olografo il mancato disconoscimento della conformità all’originale diventa rilevante solo una volta che sia stata superata la presunzione di revoca. E Ferma la prioritaria esigenza che sia stata data la prova contraria alla presunzione di revoca, sono applicabili al testamento le norme dell’art. 2724 c.c., n. 3 e art. 2725 c.c., sui contratti. È quindi ammessa ogni prova, compresa quella testimoniale e per presunzioni, sull’esistenza del testamento, purché beninteso la scomparsa non sia dovuta a chi chiede la ricostruzione del testamento. 8. La sentenza impugnata è in linea con tali principi, non solo con riguardo alla equiparazione della irreperibilità del testamento alla sua distruzione, ma anche in rapporto all’onere della prova a carico di chi intenda provare l’esistenza delle disposizioni testamentarie. La corte d’appello ha riconosciuto che la copia forniva la prova della esistenza dell’olografo e del suo contenuto nel momento in cui essa è stata formata, aggiungendo,. non potersi desumere da ciò il persistere della volontà del testatore fino al decesso, avvenuto il OMISSIS , essendo la copia del 20 dicembre 2002. Si tratta di una valutazione di fatto, logicamente coerente, incensurabile in questa sede. D’altronde non risulta che i ricorrenti avessero dedotto nei gradi di merito che il testatore si fosse trovato nella impossibilità di distruggere la scheda nel periodo compreso fra la formazione della copia e la morte. La corte d’appello, seppure indichi la prova occorrente in quella di esistenza del testamento al tempo della morte, non esclude la possibile idoneità anche della prova intesa a dimostrare l’eventualità dello smarrimento del testamento non riferibile al testatore o comunque non intenzionale se riferibile a questi pag. 13 della sentenza impugnata . 9. A un attento esame, la questione sul contenuto della prova contraria alla presunzione di revoca, nella specie, ha molto meno importanza di quella che emerge dalla lettura del ricorso. I capitoli di prova, giustamente non ammessi della corte, non miravano a fornire la prova di un fatto tale da far apparire la scomparsa quale conseguenza del fatto del terzo o di un evento fortuito, nè di un fatto non compatibile con la distruzione operata dal testatore nel periodo compreso fra la confezione della copia e la morte. Occorre poi tenere conto di quanto si legge a pag. 15 della sentenza Peraltro la prova dell’esistenza dell’originale del testamento al momento del decesso nel caso concreto deve essere particolarmente rigorosa perché dalla fotocopia di esso risulta che l’originale secondo le intenzioni del de cuius era stato messo nella disponibilità di V.G. , che al riguardo si è limitata ad affermare genericamente di non averlo reperito al momento del decesso del testatore. La circostanza, desumibile da tale affermazione, che ella non aveva avuto la disponibilità del testamento contrasta con la allegata sussistenza della volontà del P. fino al momento della morte di non revocare le disposizioni testamentarie in favore della V. . Il mettere l’originale nella disponibilità della beneficiaria era infatti chiaramente finalizzato a garantire la conservazione dell’atto fino al suo decesso perché le sue volontà trovassero certa esecuzione. La sua mancata attuazione non può che essere considerato indicativo di un mutamento della volontà del de cuius . La considerazione della corte di merito ispira una ulteriore riflessione, che rende ancora più evanescente e generica la prova contraria alla revoca che si voleva dare attraverso i testimoni. Delle due, infatti, l’una o il testamento, in conformità alla dichiarazione del testatore, era nel possesso della V. , e allora, giusti i principi sopra richiamati, la prova del contenuto del testamento implicava non solo che fosse superata la presunzione ciò che la corte d’appello ha negato , ma implicava inoltre che la V. provasse che la perdita non era a lei imputabile oppure, diversamente da quanto dichiarato dal testatore, costui non aveva attuato il proposito di dare l’originale della scheda alla V. , e allora la prova contraria alla presunzione, imposta alla V. , doveva farsi carico di dare ragione di tale circostanza, nella quale la corte di merito, con apprezzamento incensurabile in questa sede, ha ravvisato un elemento di fatto coerente con la presunzione di revoca e quindi, per definizione ostativo a ritenerla superata in considerazione delle circostanza indicate nei capitoli di prova per testimoni. 10. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Spese compensate in ragione della relativa novità della questione. Ci sono le condizioni per dare atto della ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto . P.Q.M. rigetta il ricorso dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio di legittimità ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.